Sotto le false vesti di voler difendere il superiore interesse del minore, la tutela dei diritti delle donne, la giustizia e la parità, oggigiorno, e da oltre un centinaio di anni in Occidente, l’industria del divorzio risulta essere la maggior fabbrica di violazioni dei diritti umani. La società occidentale è riuscita a normalizzare un’istituzione che viola sistematicamente i diritti umani, espropria la proprietà privata, priva dei propri beni, allontana e impedisce la frequentazione dei propri cari e, in alcuni casi, priva della libertà. Al di là dell’esito di ogni specifico divorzio, si tratta sempre di una pratica estorsiva che, in virtù della forza punitiva dello Stato, agisce sotto la minaccia di ripercussioni peggiori o privazione della libertà se non vengono accettate le condizioni proposte. Malgrado la terminologia adoperata, la maggior parte degli accordi di separazione non sono accordi volontari, ma accordi coartati sotto la minaccia di un probabile esito di gran lunga peggiore imposto dal Tribunale. Chiunque sano di mente, che tiene ai suoi figli e ai suoi beni, non acconsente volontariamente di restringere al di là della logica (cioè oltre la metà del tempo) la frequentazione dei figli, di allontanarsi volentieri dalla propria dimora o di cedere parte dei suoi beni, guadagnati con sacrificio, senza alcuna controprestazione in cambio. Eppure è ciò che succede di continuo nell’ambito del divorzio. Unicamente in questo ambito, in nessun altro. In questi accordi i soggetti interessati, in teoria “volontariamente”, si disfanno senza alcuna controprestazione dei loro beni e riducono ad un tratto, irragionevolmente, la frequentazione delle persone a loro più care. Basterebbe una semplice indagine da parte dello Stato per svelare il mistero, chiedendo a tutti quelli che hanno firmato accordi preliminari, se questi siano stati firmati volontariamente o coartati dai moniti dei loro avvocati o del giudice.
Il Divorzio, la normativa che lo regola, è un’istituzione umana, una creazione artificiale che non esiste in Natura: il sig. Volpe non deve mantenere la sig.ra Volpe dopo che l’ha lasciata, né deve cedere a lei la sua tana, né mantenere né proteggere cuccioli che non può frequentare. Lungo la Storia, gli uomini si sono dati delle istituzioni (il matrimonio, lo Stato, la proprietà, la famiglia…) all’interno delle quali l’umanità si è sviluppata. A seconda dell’epoca e della civiltà, molte società hanno normalizzato e moralmente accettato le più diverse istituzioni. Progressivamente, in alcuni casi, l’umanità ha espresso un giudizio morale di disapprovazione e respinto decisamente alcune di queste, all’epoca normalizzate, ad esempio la schiavitù, la tortura, l’infanticidio… Altre istituzioni, che prima risultavano fermamente condannate, godono oggi nel mondo occidentale di piena salute, ad esempio l’aborto o il divorzio. La Storia dovrebbe insegnarci ad essere cauti, distaccati e critici quando giudichiamo i valori e le istituzioni attuali, perché quello che oggi a noi può sembrare assolutamente normale, come lo è tutto l’ambito che regola il Divorzio, potrebbe diventare in futuro motivo di vergogna e biasimo morale, una fabbrica di dolore e ingiustizia, come è successo con la schiavitù, la tortura o l’infanticidio. Dunque, malgrado la diffusa accettazione e normalizzazione nell’attuale società del divorzio, dovremmo approcciare la questione criticamente e senza pregiudizi.
La complicazione giudiziaria.
Per inciso, una delle istituzioni più fortemente attaccata negli ultimi decenni è stata la famiglia. L’ideologia femminista, e certi settori marxisti, soprattutto all’inizio, hanno fatto esplicito appello a favore della scomparsa dell’istituzione familiare che sarebbe, a dir loro, patriarcale. Queste stesse femministe, paradossalmente, promuovono la persecuzione penale e la prigione per gli uomini che nelle separazioni non adempiono ai loro obblighi… familiari (!?). Storicamente, le femministe avrebbero voluto spezzare le presunte catene della dipendenza economica della donna rispetto all’uomo all’interno del matrimonio attraverso la conquista del divorzio. Con il divorzio, secondo loro, la donna avrebbe conquistato la libertà economica. Per quanto assurdo possa sembrare, i mariti che oggi non versano gli alimenti alle loro ex si comportano come dei veri femministi, a livello pratico non fanno altro che liberare le loro ex mogli. Ma il mondo dei desideri delle femministe non fece dimenticare loro la prosaica realtà, i soldi, il mantenimento della ex fu sempre parte integrante delle loro richieste. La conquista del divorzio è elencata oggi tra le grandi conquiste della lotta femminista, perché il femminismo non ha mai celebrato la conquista del diritto al divorzio tout court, ma la conquista del diritto al divorzio compreso degli alimenti. Se fosse vero che nel divorzio i coniugi hanno gli stessi diritti e doveri, come recita la Costituzione italiana (art. 29: «Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi») e tutte le Costituzioni del mondo occidentale, i suoi effetti, tanto nel danno recato come nel beneficio ottenuto, investirebbero parimenti l’uomo e la donna, e il femminismo non avrebbe quindi nulla da celebrare. Ma tutti sappiamo che questo non è vero, l’industria del divorzio è asimmetrica.
In somma sintesi, per primo, tutta l’industria del divorzio è basata su false premesse (tutela della donna, dei figli, giustizia…) allo scopo di violare con la coscienza pulita dei diritti umani (proprietà privata, bigenitorialità, parità…). Secondo, le violazioni non colpiscono parimenti tutti, ma soltanto e principalmente una parte: gli uomini. Prima di iniziare la disamina, bisogna menzionare un elemento discriminante molto importante. Anche se i negativi effetti sul patrimonio o sulla libertà sono perlopiù gli stessi, la questione del divorzio presenta due filoni che devono essere trattati in maniera separata: uno nei confronti della ex e uno nei confronti dei figli. Se il mantenimento di un adulto (l’ex) imposto a un altro adulto in maniera coercitiva rimane irragionevole e immorale, difficilmente giustificabile – ciò che gli storici hanno definito col termine di schiavitù – il mantenimento di figli minori è un argomento più complesso e merita una trattazione diversa, da affrontare nei successivi interventi. In successivo la questione del divorzio sarà esaminata soltanto nei confronti delle ex. Perché la fine delle relazioni sentimentali finiscono sistematicamente nei tribunali? Perché la fine delle amicizie non finiscono sistematicamente nei tribunali? Perché due amici coinquilini, quando si separano, raramente finiscono nei tribunali? Come è possibile che un’azione, in teoria semplice, come è quella della separazione tra due adulti, sia diventata il mondo complesso di avvocati, giudici, consulenti, assistenti, psicologi…?
Una questione di soldi.
La risposta è semplice: i soldi. A una delle parti i tribunali offrono la possibilità di vincere, poco o molto, sempre qualcosa. Più giochi, più vinci, come al casinò. All’altra parte impongono la necessità di difendere il proprio patrimonio in modo da non perdere più di quanto sia tollerabile. Il catasto, valore supremo della proprietà in qualsiasi controversia giudiziale, nei tribunali del divorzio diventa carta straccia, e lo stesso per i conti bancari, le buste paghe, ecc. Quello che un minuto prima era legalmente tuo, non lo è più, è suo. Anche i beni e il lavoro futuro, come succede per i debitori di alimenti. Infatti, c’è un grosso equivoco col termine “debitore”, usato a sproposito, come ad esempio nel Registro de Deudores Alimentarios Morosos (Registro dei Debitori di Alimenti) creato in Argentina. Debitore è colui che ha speso troppi soldi e non può restituirli, a causa di un prestito, un investimento, un fallimento, una scommessa, il gioco d’azzardo… oppure qualcuno che ha recato un danno e deve risarcire per un incendio, un omicidio, un incidente, una negligenza… Nelle separazioni, il debitore di alimenti è colui che non ha né speso troppo né recato un danno, ma al quale è stato imposto dall’esterno un onere futuro senza esserne lui la causa. La sua condizione quindi è molto diversa. Al contrario degli altri debitori, il debitore di alimenti non ha né tratto alcun vantaggio precedente da questo debito né recato alcun danno da risarcire. Eppure anche lui viene raggruppato sotto la stessa definizione di “debitore”, giudicato quindi dalla società alla stessa stregua degli altri. In Italia gli ex mariti, se debitori, rischiano il carcere (art. 570 c.p.).
Nel diritto romano, il Nexum era un istituto giuridico che prevedeva una forma di garanzia del debito, dove il debitore dava in garanzia sé stesso al creditore, la sua libertà, diventando assoggettato a quest’ultimo. La schiavitù è stata a lungo legata al concetto di prigione per debiti. Quando oggi leggiamo le opere di Charles Dickens, siamo indignati dal fatto che ancora nell’Ottocento le persone potessero essere imprigionati per debiti. Per i padri debitori questo rischio non è mai scomparso in Occidente. Negli anni venti a New York si poteva trovare l’indirizzo e la voce sulla guida telefonica: Alimony Jail (carcere per i debitori di Alimenti). Quante donne sono mai andate in prigione lungo tutta la Storia dell’umanità per essersi rifiutate di mantenere gli ex? L’attuale codice penale spagnolo, art. 227, ad esempio, è molto esplicito: «Chi omette di pagare per due mesi consecutivi o quattro mesi non consecutivi qualsiasi tipo di prestazione economica a favore del coniuge o dei figli, stabilita in un accordo omologato dal giudice o in una decisione giudiziaria nei casi di separazione legale, divorzio, annullamento del matrimonio, procedimento di riconoscimento della filiazione o procedimento per il mantenimento dei figli, sarà punito con la pena della reclusione da tre mesi a un anno o con una multa da sei a ventiquattro mesi». Prigione per debiti, unico caso ammesso dalla legge, un chiaro esempio di schiavitù moderna a danno degli ex mariti.
Un’ingiustizia ignorata.
Non riguarda soltanto l’Occidente. Nel 2017 in Iran c’erano 2.297 uomini in carcere per non essere riusciti a pagare il mehrieh (gli alimenti) dopo il divorzio. Grazie a uno dei comandamenti che prevede la carità islamica, nel corso dell’anno dei donatori erano riusciti a saldare i debiti di 1.700 prigionieri, finalmente liberati. Al contrario dell’Iran, in Occidente le donne adultere non vengono lapidate, sono gli ex mariti delle donne adultere che rischiano di andare in prigione, se non passano loro l’assegno di mantenimento. Come si può parlare oggi in Occidente di diritti umani quando esiste ancora questo tipo di schiavitù? Essere costretto a lavorare per un’altra persona, non è forse violenza? Il lavoro forzato, non è violenza? Quando i nazisti imponevano agli uomini polacchi, russi o francesi il lavoro obbligatorio, non era violenza? Essere costretto a lavorare per le ex, non è forse la stessa cosa? Sono sempre sorpreso quando la società riesce ad organizzare grandi manifestazioni di protesta perché stipendi o pensioni non aumentano di un punto percentuale sull’inflazione e rimane in silenzio di fronte all’ingiustizia di ex mariti buttati per la strada dai tribunali nelle separazioni e costretti a pagare 1000 euro mensili tra affitto e alimenti, rischiando la prigione. Casi di ingiustizia, talvolta ributtanti, che presenterò nei prossimi interventi.