Dieci anni fa Boko Haram, il gruppo terroristico musulmano, rapì migliaia di scolari, circa 10.000 ragazzi e 300 ragazze nel nord della Nigeria, ma inspiegabilmente, la stragrande maggioranza dei resoconti dei media si è concentrata solo sulla difficile situazione delle ragazze. La negligenza dei media nei confronti dei ragazzi, molti dei quali furono costretti a imbracciare le armi e in seguito morirono in combattimento, rappresenta uno degli esempi più eclatanti di faziosità giornalistica dei tempi moderni. Ora, i ragazzi di tutto il mondo stanno affrontando quella che viene definita la “Boy Crisis” – il fatto che gli studenti di molti paesi si stanno allontanando dalle loro scuole, famiglie e dalla società in generale. Ma invece di riferire in modo fattuale sulla crisi, i media guidati dalle femministe stanno ora lavorando per creare una nuova narrazione tossica, quella di una gioventù di misogini.
La scorsa settimana il New York Times ha pubblicato un articolo di Jessica Grose intitolato «I ragazzi Tate-Pilled sono un problema per le scuole». I lettori non hanno avuto bisogno di leggere l’articolo per coglierne il messaggio implicito sulla presenza di una gioventù di misogini. Tutto quello che hanno dovuto fare è stato dare un’occhiata all’immagine, strategicamente posizionata in cima all’articolo, di un ragazzo adolescente arrabbiato, con i pugni chiusi, che lancia un’occhiata furibonda alla sua insegnante. L’ articolo del NYT cita il recente film Netflix “Adolescence”, un racconto di fantasia di un’aggressione con coltello da parte di un ragazzo di 13 anni a una studentessa britannica. Ma Netflix è un canale di intrattenimento e non è noto per la produzione di documentari equilibrati e giusti.

L’uso strumentale di “Adolescence”.
“Adolescence” è stato fortemente criticato in tutto il mondo. La editorialista americana Nicole Russell ha commentato: «”Adolescence” promuove un programma politico, e la narrazione è costruita attorno a questo. È una tirata sulla mascolinità tossica con al centro un bambino di 13 anni”. L’ articolo del New York Times fa anche riferimento a un articolo del 2023 di Stephanie Wescott, pubblicato in un’oscura rivista chiamata “Gender and Education”. La spinta ideologica dell’articolo può essere rapidamente intuita dal suo titolo incendiario: «Il problema dell’anti-femminista “Manfluencer” Andrew Tate nelle scuole australiane: le esperienze delle insegnanti donne di una supremazia maschile in ripresa». È per reprimere questa rinascita di “misogini” che occorre intervenire nelle scuole. Non l’avete già sentita questa?
Il progetto si basa su un tipo di ricerca noto come “qualitativo”, che consente al ricercatore di reclutare selettivamente i partecipanti, porre domande suggestive e manipolare i dati. In questo caso, Wescott ha intervistato solo 30 insegnanti, su oltre 320.000 insegnanti in Australia. L’articolo non specifica mai le domande esatte che sono state poste, o il numero di insegnanti che non hanno segnalato casi di abusi in classe. È tutto aneddotico e ridicolo. Invece di rispondere alla crisi dei ragazzi con empatia, compassione e saggezza, le femministe cercano di stereotipare i ragazzi come “tossici” e “misogini”. Prendere di mira e diffamare bambini innocenti, il cui unico peccato è stato quello di nascere maschi, rappresenta una forma speciale di male.