Quando di un qualcosa non si riesce a dare una definizione precisa e circostanziata, quella cosa solitamente è un mistero. E sui misteri, in genere, non si elaborano leggi. A meno che non si sia nel punto più basso della decadenza istituzionale di un paese facente parte di una sfera d’influenza anch’essa ormai rotolante nel precipizio del degrado più umiliante: in quel caso si riesce a legiferare anche su un mistero. Perché tale è il “femminicidio” in realtà, sia in termini teorici generali che, ancor più, in termini strettamente giuridici. Dal primo punto di vista, è dagli anni ’90 del secolo scorso che fior di organizzazioni internazionali, a partire da UNWomen, cercano di trovare un’elaborazione che possa soddisfare tutti, nel senso che possa criminalizzare pienamente tutti gli uomini del mondo e innescare un senso di colpevolezza tale da garantire soldi e potere alle lobby che s’impancano come rappresentanti di tutto il genere femminile. Tuttavia quella che viene prodotta è costantemente una definizione che scivola via da tutte le parti e finisce per non reggere o non soddisfare mai. Vediamo perché.
I punti chiave sono due: chi attua la violenza omicida e il motivo per cui lo fa. L’unico punto fermo è che l’autore dev’essere di sesso maschile, anche se talvolta chi tiene i conteggi a “La Repubblica” o al “Corriere della Sera” finge di dimenticarsene. Per il resto è tutto vago perché, uomo sì, ma qualunque uomo o un tipo di uomo nello specifico? Lo scippatore che trascina per terra la vecchietta fino ad ammazzarla, ha commesso femminicidio? Difficile sostenerlo: si fosse trattato del borsello portato da un vecchietto avrebbe agito allo stesso modo, visto che il suo interesse è rapinare la persona. Serviva un po’ più di precisione, così in molti si sono lanciati a ipotizzare categorie specifiche di uomini: i mariti? Troppo poco. Mariti ed ex mariti? Ok, meglio, ma se una donna vittima non è sposata? Ok, allora: mariti, ex mariti, compagni, ex compagni, fidanzati, ex fidanzati (e magari pure amanti ed ex amanti). Molto meglio, ma se poi vai a vedere le statistiche i casi rimangono un numero risibile. Dunque? Ampliamo ancora e aggiungiamo i familiari di sesso maschile (padre, fratello, zio, nonno, cugino, eccetera). Così facendo si amplia la platea, dunque anche i casi che possono essere conteggiati, ma si crea anche una contraddizione sul movente. Dal lato statistico è noto che i motivi per cui un marito, ex marito, fidanzato, ex fidanzato, compagno, ex compagno uccidono la propria moglie, ex moglie eccetera, sono profondamente diversi da quelli di un padre, fratello, zio, nonno, eccetera. I primi sono mossi in genere da gelosia, incapacità di accettare una separazione, quelli che una volta venivano chiamati “motivi passionali”, e che di certo non valgono per parenti e congiunti. Dunque che si fa?
I giudici del mistero.
Niente. Semplicemente niente. Si lascia tutto nel vago, aprendo la porta a un numero “n” di variabili della definizione, resa ancora più vaga dalla riduzione del movente alla famosa formula “uccisa in quanto donna”, ovvero sulla spinta di un senso di superiorità mirante a opprimere la vittima, a negarle dignità, libertà e diritti. Se non che l’autore di un omicidio con vittima donna, difficilmente siederà davanti al giudice e dirà: “l’ho uccisa perché, essendo donna, era inferiore e mia proprietà, dunque per questo ritenevo mio diritto di poterlo fare”. Dirà piuttosto che è stato preso da una gelosia irrazionale, che la disperazione per essere lasciato e allontanato dai figli gli ha fatto perdere il lume della ragione, se proprio è un troglodita d’altri tempi rimasto nell’oggi come un vecchio cimelio, dirà che l’ha fatto per tutelare il proprio onore (!!!), ma mai si giustificherà il proprio atto in base al genere della vittima. Perché nessuno uccide per quel motivo. A parte forse l’amante di un uomo che decide di sopprimerne la moglie, ma se lo dite alle teoriche femministe del “femminicidio” vedrete che troveranno un’eccezione per un caso del genere. Insomma che dal lato teorico come da quello puramente giuridico siamo davanti a qualcosa che «non si riesce a definire con precisione scientifica», come ebbe ad ammettere in TV l’ex Presidente della Commissione sul Mistero… ops, della Commissione sul femminicidio, Senatrice Valeria Valente (vedi video qua sopra). E alla fine questa natura fumosa è sempre stata utile: la vaghezza da cui è avvolto il concetto infatti consente di suggerire alle portatrici di interesse (amplificate dai media servili) che gli uomini abbiano verso le donne un atteggiamento simile a quello dei nazisti verso gli ebrei o dei coloni europei verso gli indios: un’ostilità violenta e spesso omicida per motivi intrinseci alla vittima. Le SS uccidevano gli ebrei in quanto ebrei, i coloni europei gli indios in quanto indios, gli uomini le donne in quanto donne.
Non sfugge a nessuno che è un trasferimento logico che non regge sotto nessun profilo, né logico, né statistico, né fattuale. Si tratta di pura fiction ideologica, su cui finiscono per schiantarsi tutti, compreso l’ISTAT, la Polizia di Stato, il Dipartimento delle Pari Opportunità, che quando si cimentano nel difficile compito di definire il fenomeno, s’imbrodano pietosamente o in un’interminabile ramificazione di distinguo o in supercazzole che fanno tenerezza e che, a conti fatti, significano una cosa sola: il “femminicidio” come categoria sociale o giuridica non ha alcun fondamento. Al massimo è una formula di marketing o un meme ideologico. E su una cosa del genere ha senso fare una legge? No, ovviamente. Ma sì se sei un Governo italiano di centro destra che vuole usare un’arma di distrazione di massa, oppure che vuole corteggiare le lobby di sinistra approfittando della distrazione di altri temi più rilevanti. Una delle due ipotesi è sicuramente vera, forse più la seconda, visto che tutti da giorni parlano di tutto tranne del vergognoso attacco sferrato da Meloni & Co. al principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione. Leggete la proposta di articolo che si vuole introdurre nel Codice Penale e rifletteteci attentamente, senza farvi influenzare dalle filosofeggianti esegesi di personaggi quanto meno problematici: ha una reale procedibilità in un tribunale? Ma soprattutto se ne può dedurre che in Italia, con quella legge, la soppressione di una vita maschile verrebbe punita in modo più leggero della soppressione di una vita femminile? Sì, è così. Detta in altro modo, in Italia la vita degli uomini varrà, per legge, meno di quella delle donne. Un concetto che, lo prevede lo stesso DdL di venerdì scorso, verrà avvitato a forza nei cervelli dei giudici tramite debito indottrinamento, per rendergli possibile, unici al mondo, primato tutto italiano, di emettere sentenze su una condotta criminale impossibile da descrivere, cioè di giudicare il mistero.