Interagire con gli altri è fondamentale per l’essere umano che è un animale sociale e si nutre di relazione. Purtroppo non sempre è semplice coltivare relazioni positive perché ci sono momenti difficili nella vita di ognuno di noi che agiscono negativamente nell’incontro con l’altro. Desidero cercare di aiutare a comprendere con una serie di articoli come esista una importante differenza tra relazioni positive che possono avere momenti difficili ma essere capaci di superarli e relazioni negative che si alimentano di stress e di frustrazione senza riuscire a trovare il modo di spezzare un circolo vizioso che le tiene prigioniere e impedisce la loro evoluzione. Spesso questo ultimo tipo di relazioni sono anticamera della violenza e, spesso, diventa difficile comprendere quando sono iniziati gli agiti violenti. In questo percorso iniziamo ad esplorare come le relazioni cosi dette disfunzionali, cioè gestite in modo ottimale dalle persone coinvolte, posso essere l’anticamera della violenza se non si attivano gli opportuni strumenti di contenimento.
Le relazioni tra persone, che siano relazione tra due persone (relazione duale) o tra più persone (relazione sistemica), coinvolgono emozioni e sentimenti sia positivi che negativi. All’interno della relazione si tende ad assumere un ruolo nel rapportarsi con l’altro o con gli altri protagonisti. Se la relazione è funzionale, si ha un dinamico scambio di ruoli e la comunicazione fluisce. Ma cosa succede se la relazione in esame è un relazione disfunzionale cioè una relazione tossica? Il Triangolo di Karpaman o Triangolo Drammatico è uno schema psicologico individuato appunto da Karpman nel 1968 che consente di leggere una relazione tra tre attori aiutando la scoperta delle dinamiche relazionali esistenti tra i protagonisti della relazione e di come questi protagonisti vivano e si identifichino nel ruolo scelto. I tre ruoli sono: vittima, persecutore, salvatore.
I tre ruoli di una relazione disfunzionale.
Non sono ruoli necessariamente fissi ma possono mutare ma ricalcano schemi ben precisi. Imparare a riconoscere questi schemi è fondamentale per consentire al rapporto relazionale di uscire dalla situazione di stallo tossico in cui si trova e adottare il modo di costruire degli “antidoti” per superare la stagnazione e il conflitto negativo. Il nodo focale del processo è nella immutabilità degli schemi quando ognuno dei protagonisti resta ancorato sul proprio punto di vista e non riesce ad accogliere l’altro, a comprendere che esiste un differente approccio alla medesima questione. Ma vediamo quali sono questi ruoli e cosa comportano.
1) La vittima, che adotta lo schema “Povero me”. Questo ruolo ottiene l’attenzione di tutti perché ci si concentra su di lei e in questo modo viene soddisfatto il bisogno di dipendenza dell’individuo consentendo, nel contempo, di evitare di adottare assunzioni di responsabilità. Attenzione, la vittima non è realmente vittima ma si atteggia a tale, da voce alla sua incapacità di trovare soluzioni e risolvere problemi. In lei è molto forte la richiesta di essere sempre supportata o da uno degli altri due ruoli. 2) Il persecutore, che adotta lo schema “E’ tutta colpa tua”: controllante, critico, oppressivo. Si sente superiore e bullizza la vittima. Con questo agire nasconde in realtà la sua profonda insicurezza, la sua fragilità. Il persecutore, che all’apparenza sembra una persona molto forte, in realtà ha bisogno di trovare un individuo più debole su cui proiettare le proprie paure. 3) Il salvatore, che adotta lo schema “Ti aiuto io”: questo schema gli permette di mettersi in buona luce e, nel contempo, lo aiuta ad evitare i propri problemi. Il senso di colpa lo spinge a dover salvare gli altri ma non agisce in modo funzionale e permette sia alla vittima che al persecutore di rimanere nei loro ruoli senza alcuna evoluzione. Se da una parte può essere in grado di limitare l’azione del persecutore in realtà non aiuta la vittima perché la spinge a vivere in un forte stato di dipendenza psicologica da sé.
Oltre la maschera.
Analizzando la relazione da un punto di vista comunicativo, se non si instaura una dinamica evolutiva nella relazione, si possono creare i così detti “giochi pericolosi” cioè una forma di comunicazione distorta che ha come obiettivo o di stabilire o di eliminare uno degli attori coinvolti. È importante imparare a riconoscere ed affrontare questi giochi critici per evitare che degenerino in relazioni dannose e disfunzionali, terreno fertile per la violenza. Ma soprattutto poniamoci una domanda importante: si può uscire dal ruolo di vittima? Il primo passo che la vittima deve compiere è riconoscere l’auto-vittimizzazione ottenendo in questo modo una visione più obiettiva della situazione in esame e del ruolo che si ricopre all’interno del triangolo.
Riuscire a vedersi oltre la “maschera” abitualmente indossata all’interno della relazione in esame permette di avvicinarsi maggiormente alla propria identità e alla propria autenticità. Occorre identificare i pensieri autodistruttivi interrompendo il ciclo di stagnazione cognitiva riprendendo il controllo della propria vita. Ma allora la vittima può trasformarsi in persecutore? Se le ferite emotive non sono state affrontate con attenzione sensibilità e competenza, cioè cercando l’aiuto d professionisti e non tendando il fai da te o cercando l’appoggio degli amici, può avvenire questo cambiamento di ruolo consentendo alle emozioni represse di emergere come comportamento aggressivo verso gli altri.