L’ideologia femminista possiede tanti modi per raggiungere e influenzare con i suoi messaggi la società e diventare mainstream. La produzione cinematografica è uno di questi, e tra i più efficaci. Talvolta viene adoperata la manipolazione talvolta la bugia spudorata, come è successo nel film C’è ancora domani. Non è necessario mentire esplicitamente. Molto più spesso emerge una lettura parziale, tendenziosa, priva di obiettività o, in altre parole, una censura, un’eclisse totale che riguarda l’altra parte, quella che non viene raccontata. Nel film appena citato la violenza femminile è oscurata, non se ne vede traccia, eppure esisteva ed esiste nella realtà. Il diritto di voto maschile, il sacrificio speso per ottenerlo, non emerge in nessun momento – solo emerge il diritto di voto femminile. Nel film, ambientato nel dopoguerra, subito dopo una guerra che aveva prodotto milioni di morti, feriti e mutilati tra gli uomini, e migliaia e migliaia di prigionieri che ancora non erano stati in grado di rincasare per votare, la sofferenza maschile non compare. Nulla. Nessuna traccia. Censura, cioè oblio. Se per smascherare un racconto bugiardo è necessario fare uno sforzo di ricerca, di verifica degli eventi narrati e dei dati forniti, e di contrapporli con gli eventi o con i dati trovati, per fare un’analisi critica di una narrazione parziale e tendenziosa ci vuole un ulteriore sforzo, perché gli eventi narrati e i dati forniti sono veri, solo che non sono completi. Per poter giudicare e trarre delle conclusioni in maniera logica, equa e obiettiva su quanto narrato, bisogna quindi ricostruire l’immagine completa, altrimenti abbiamo soltanto un’immagine parziale e sbilanciata della realtà. Una verità parziale è sempre una grande bugia.
A questo punto diventa necessario dissotterrare quella parte del racconto che non compare e che lo completa, e che è stato intenzionalmente occultato. La difficoltà risiede nel fatto che quella parte censurata non viene esplicitamente menzionata, per poterla ricostruire bisogna prima fare uno sforzo, quello di ipotizzarla. Dopo la visione di un film come C’è ancora domani, dove la violenza femminile, la sofferenza maschile o il diritto di voto maschile sono latitanti, bisogna fare lo sforzo di pensarli senza purtroppo alcun stimolo da parte del film. Se questo esercizio mentale per un adulto diventa un compito arduo e non sempre realizzabile, potete immaginare quanto questo compito sia immane per un bambino. Infatti, un modo ancora più efficiente di influenzare la società da parte dell’ideologia femminista consiste nella produzione cinematografica per bambini. Il bambino è ancora più indifeso e fa più fatica a ipotizzare una realtà diversa o alternativa a quella che gli viene prospettata. Se l’indottrinamento subdolo e velato merita un rimprovero morale, lo stesso indottrinamento sui bambini è osceno e molto più grave data la vulnerabilità dei minori. Purtroppo ciò capita ogni giorno e l’ideologia femminista lo mette sistematicamente in atto. In questo intervento vorrei riportare un esempio di un film per bambini, come avevo fatto per gli adulti col film C’è ancora domani.
La ribellione di Mulan.
Mulan 2 – La leggenda continua (2004) è il seguito di Mulan, film d’animazione della Disney e successo di pubblico del 1998. Grazie alla popolarità del primo, Mulan 2 ha avuto lo stesso una discreta diffusione tra il pubblico infantile, malgrado fosse stato accolto in maniera negativa dalla critica. Il film riflette sui matrimoni combinati e la responsabilità delle proprie scelte, punti focali del film. Mulan e il suo fidanzato, il generale Shan, assieme a tre soldati fedeli, devono scortare le tre figlie dell’imperatore della Cina, attraverso il paese, perché si sposino con tre principi, i figli del re della Mongolia, in modo da formare un’alleanza tra la Cina e la Mongolia, necessaria per salvare la Cina. Se l’alleanza non avrà luogo i mongoli distruggeranno la Cina. Durante il viaggio, le tre fanciulle si innamorano dei tre guerrieri della scorta, che corrispondono, e scelgono di interrompere la missione ispirandosi alle parole di Mulan (“ho un dovere verso il mio cuore“), che si mostra fermamente contraria all’idea di un matrimonio combinato. Ad un certo punto del viaggio, durante la difesa delle tre principesse da banditi, il generale Shan precipita in un fiume, e tutti credono che sia morto. Non volendo che le principesse siano obbligate a sposare i principi che non amano e sentendosi ancora devastata dalla morte di Shang, Mulan si offre allora come moglie per il figlio primogenito del re della Mongolia, che accetta l’offerta. Il film evidentemente ha un lieto fine: Shang non è morto, il matrimonio combinato non avrà luogo e la Cina sarà salva.
Dal primo momento, e successivamente lungo il film, viene messo in risalto il dovere opprimente che hanno le figlie di sottostare ad un matrimonio combinato, di sposarsi con principi che «non hanno mai visto» per un bene superiore: salvare la Cina. Dice l’imperatore: «Loro considerano un onore sposarsi per la causa della pace». «È un onore per noi servire l’imperatore», affermano le figlie, mettendo però sempre in atto un atteggiamento rassegnato ed addolorato. Dice una sorella, «ricordati che devi sposarti tra tre giorni, hai giurato solennemente», e l’altra risponde: «hai ragione». E ancora, «è il nostro dovere, ed è un onore anche se può diventare un fardello». «Una principessa deve compiere qualunque sacrificio per il proprio paese, è il nostro dovere», «io so qual è il mio dovere, e tu?». Al contrario del generale Shang, Mulan è l’unica che mostra da subito la sua opposizione: «un matrimonio combinato?!». «So che esiste un dovere verso la missione ma io ho un altro dovere verso il mio cuore». Chiede una principessa, «come hai fatto a decidere tra il dovere e il cuore?», e Mulan risponde: «non è stato facile, i miei sentimenti mi hanno guidato e ho finito per fare la cosa giusta, la lezione è: ho un dovere verso il mio cuore». Allora, «sei stata coraggiosa a combattere al posto di tuo padre, il tuo dovere era quello di restare a casa ma il tuo cuore ti ha detto di infrangere le regole». La ribellione di Mulan si propaga tra le principesse, malgrado gli sforzi del generale Shan, che persiste nell’errore: «in un mondo ideale tutti si sposerebbero per amore ma questo non è un mondo ideale».
Gli uomini usati.
In un gesto di liberazione le principesse proclamano: «la verità è che vorrei più libertà nella mia vita», «non più scarpe che fanno male!», «decidere io, non chiedo di più, sposarmi con chi è pazzo di me!», «scarpe via!» – buttandole via, in un gesto simile al falò inscenato da donne che bruciavano reggiseni durante la rivoluzione femminista della fine degli anni ’60. Insomma, «Mulan aveva ragione, nessuno deve sposare una persona che non ama». In poche parole, e senza neanche tanto dissimularlo, il film mette in scena la rivoluzione femminista e la lotta per la liberazione della donna. Questo è ciò che viene fatto pervenire ai bambini. Qui dovrebbe iniziare l’arduo compito dell’analisi critica per completare il quadro, che adulti e soprattutto bambini fanno fatica a mettere in atto: bisogna far emergere tutte quelle parti che nel film sono completamente latitanti. Innanzitutto, il matrimonio combinato è un’istituzione che colpisce i due componenti della coppia, che «non si sono mai visti»: le tre principesse cinesi ma anche i tre principi mongoli. Nel film non emerge il dovere maschile, la tragedia, forse, e la sofferenza per una decisione imposta ai principi. Anzi, dopo che Mulan si sacrifica in matrimonio per salvare le principesse, il film ci mostra il primogenito, promesso sposo, inetto, cretino, stupido. Al contrario che per le principesse, il film non solo non mostra alcuna sofferenza del principe ma lo schernisce, lo ridicolizza (in linea con altri film d’animazione. Nel film Ribelle – The Brave (2012), tutti i candidati che si fanno avanti a sposare la protagonista sono goffi, ridicoli, inetti). Nemmeno la sofferenza e le scelte coartate dei 3 soldati, che sono innamorati dalle principesse, emerge con la stessa intensità e potenza delle principesse. Loro in nessun momento chiedono «più libertà nella mia vita», malgrado anche a loro, come anche alle principesse, venga impedito di sposare «chi è pazzo di me!». Né ai principi mongoli né ai soldati viene mai ipotizzato che «devano seguire il proprio cuore». L’asimmetrica rappresentazione, a seconda del sesso, di un problema che è identico è incomprensibile.
Dal film emerge un altro aspetto ancora più irritante. Il dovere, vissuto come un’imposizione abusiva, è riferito unicamente alle donne, in un film dove il dovere militare (maschile) svolge un ruolo fondamentale. È inutile rammentare qui l’importanza che ha svolto nella Storia dell’umanità, e nella storia della Cina, la coscrizione maschile obbligatoria, la sofferenza che ha rappresentato, che non emerge nel film da nessuna parte. Se alle donne viene consigliato di «infrangere le regole», ciò significa nella disciplina delle armi per l’uomo la pena di morte. Il film contesta il dovere femminile di sposarsi per salvare la patria, ma dà per scontato il dovere maschile di arruolamento e di combattimento per salvare la patria. Matrimonio combinato, molto male, sessismo; coscrizione obbligatoria maschile, molto bene, va benissimo. Dal film non emerge alcun dovere maschile opprimente. Le principesse si lamentano, i soldati svolgono senza aprire bocca il loro dovere. Se le principesse vogliono essere più libere, perché non si difendono da sé? Perché i soldati devono difendere le principesse, a rischio della propria vita? Questo è un dovere che va bene? Per difendere le principesse, il generale Shan precipita nel fiume e viene dato per morto (in linea con altri film d’animazione. In Frozen. Il regno di ghiaccio (2013), per sfuggire un branco di lupi la protagonista e il ragazzo accompagnatore devono saltare da un burrone; lui, per salvare lei – una donna appena conosciuta –, la fa montare sulla renna e taglia la corda della slitta; il ragazzo riesce a salvarsi solo per un colpo di fortuna). Perché il film si astiene di giudicare questo dovere maschile che porta Shan a rischiare la vita per salvare una donna?
Botte agli uomini.
Senza entrare nel merito su quando e quanto la norma di “seguire il proprio cuore” deva prevalere (nel dovere di difesa della Patria, nei doveri civili, nel dovere di mantenimento e cura dei figli…), resta il fatto che, o questa norma vale per tutti o non vale per nessuno. Non può valere solo per le donne (ad esempio Nora in Casa di bambola o la sig.ra Kramer in Kramer contro Kramer, che abbandonano i figli piccoli per “seguire il proprio cuore”) e non per gli uomini. Per ultimo, vorrei evidenziare come il film osservi una legge non scritta, pattern asimmetrico di tutti i film d’animazione: i destinatari della violenza o di colpi fisici (come cadute), spacciati per comici, sono sempre o quasi sempre uomini, sempre comunque quando non la meritano. «Nel film di Disney La Bella e la bestia, accusato di sessismo, nessuna donna è mai colpita, neanche accidentalmente, nessuna donna subisce cadute o colpi ridicoli e buffi, al contrario dei personaggi maschili che ricevono colpi e violenze, anche accidentalmente o buffamente, là dove questi personaggi neanche lo meriterebbero» (tratto dall’opera La grande menzogna del femminismo, a p. 358). In Mulan 2 i tre soldati vengono picchiati – anche da donne –, cadono goffamente, si fanno male. Una donna scaglia sulla testa una padella a uno dei soldati, un’altra dà un pugno in faccia a un altro e lo butta per terra. A un soldato viene disegnato perennemente un occhio pesto. Tutta questa violenza e questi colpi, che hanno come destinatario l’uomo, rientrano nella comicità. La stessa violenza e gli stessi colpi su una donna non fanno ridere. Il bambino, unico destinatario della violenza da adulto, ride.