Gentile Sig. Sindaco, Dr. Gaetano Manfredi, chi le scrive coordina un gruppo di analisti che da molti anni studia il fenomeno delle “violenze di genere”, raccogliendo statistiche ed elaborando dati raccolti ovunque possibile e in totale assenza di qualunque supporto economico. Non siamo riuniti in associazioni o consorzi e non abbiamo alcuna “sponda” politica. Anzi, da anni siamo bersaglio di querele a pioggia, una più pretestuosa dell’altra, presentate per tapparci la bocca. Il nostro difetto? Cercare di guardare al fenomeno in modo oggettivo. Il che significa certamente ammettere che esista la violenza contro le donne, ma ammettere anche che, del pari, esiste quella contro gli uomini. Ed è quest’ultimo aspetto che ci ha attirato e tuttora ci attira l’astio di coloro che adesso indirizzano a lei lettere spettinate e indignate per i manifesti che qualcuno, evidentemente ispirato dal nostro stesso concetto di verità dei fatti, ha ritenuto opportuno affiggere nella sua stupenda città, in più mettendo a disposizione degli uomini vittime di violenza un servizio di supporto. Ma, ci permettiamo di condividere con lei queste due domande, tale servizio serve davvero? E chi ne contesta l’esistenza, ha ragione di lamentarsi?
La premessa deve inevitabilmente archiviare fin da subito il tema degli autori di violenza: essi sono indubbiamente in maggioranza uomini. Ma questo non dovrebbe costituire una novità, è così dacché il genere umano esiste. Per conformazione fisica e fisiologica, nell’uomo come in gran parte del mondo animale, il maschio è quello fisicamente più forte e per temperamento più portato all’uso della forza o della violenza. Solo chi è in malafede può presentare questo come un dato scandaloso o sorprendente. Una malafede che vira verso il putrescente quando, a partire da ciò, fa scivolare sul tavolo l’idea che solo gli uomini usino la violenza e/o che tutti gli uomini lo facciano. La verità dei fatti è ben nota: a ricorrere alla violenza è una risibile minoranza di uomini (poche migliaia ogni anno) che prende di mira soprattutto altri uomini e, in minima parte, le donne. La stragrande maggioranza degli altri (milioni di uomini) si astiene giorno per giorno, ora per ora, da atti violenti, anzi in molti casi usa la propria superiorità fisica e fisiologica al servizio della sicurezza e della salvezza degli altri, magari dando priorità a, in ordine d’importanza, donne e bambini. Fuor di malafede, dunque, cosa abbiamo? Un dato talmente banale che viene quasi imbarazzo a esporlo: la violenza è trasversale, connaturata all’essere umano, a prescindere dal sesso. Chi più la fa, per inclinazione naturale (l’uomo) è anche tra le sue maggiori vittime. Le donne però non ne sono immuni, anzi. Fortuna vuole che in tutti i casi e per lo meno in Italia si tratta di numeri minimi.
Il profitto dal conflitto?
Da dove traiamo queste certezze? Dai dati. Esiste un portale ISTAT dedicato alla “violenza di genere”, che ultimamente appare e scompare dal web (mentre scriviamo non risulta raggiungibile, mentre solo ieri lo era), presumiamo noi perché contiene dati che, nel darci ragione, smentiscono nettamente la versione dei tanti organismi che le stanno scrivendo di recente. Se dalla banca dati si estrae il dato degli uomini condannati per violenze tipicamente “di genere” (maltrattamenti, percosse, lesioni, stalking, violenza sessuale), si vede che negli ultimi dieci anni si ha una media di 5.000 colpevoli all’anno. Stiamo parlando dello 0,02% dell’intera popolazione maschile italiana adulta. Dati confermati anche da rilevazioni dell’Unione Europea, che ad esempio collocano l’Italia al terzultimo posto per omicidi (non parliamo di “femminicidi”, termine mediatico che non identifica nulla di realmente esistente). Sfida ben diversa è trovare il dato delle donne che commettono violenza contro gli uomini: dal lato statistico ufficiale è pressoché irreperibile. Il nostro metodo, assolutamente approssimativo, ma l’unico a cui abbiamo accesso libero e gratuito, è registrare le notizie che in merito escono sui media. L’aspettativa, stando alla narrazione dominante, sarebbe quella di non trovare nessun caso di donne violente contro uomini o di trovarne pochissime. Be’, così non è. La invitiamo a dare un’occhiata all’osservatorio statistico che in merito abbiamo pubblicato di recente, vedrà che dal 2020 al 2023 le violenze femminili contro gli uomini sono aumentate del 21%, attestandosi sui 350 casi all’anno solo tra quelli notiziati dai media nazionali e che noi abbiamo individuato tramite Google Alert. È presumibile che il dato reale sia infinitamente più alto, ma già scorrendo i casi elencati anno per anno si può riscontrare come la violenza femminile sugli uomini non sia da meno di quella maschile in termini di efferatezze e crudeltà. Perché al fondo, ripetiamo la banalità, c’è la natura umana, non una questione di sesso.
Questi numeri, sebbene ufficiosi, giustificano già da soli i manifesti presenti nella sua città e la lodevole iniziativa del 1523. E poco importa che i casi di donne violente contro gli uomini siano meno di quelle degli uomini contro le donne. La violenza e il connesso reato esistono e vanno sanzionati a prescindere dalle rispettive proporzioni, a meno di non voler affermare che talune vittime sono più vittime di altre e taluni carnefici più carnefici di altri. Il che è ciò che si sostiene da certe parti, con una malafede ideologica che suona vagamente orwelliana e che è all’origine delle istanze di chi oggi le invia missive di protesta. Vediamole nel dettaglio, a partire dalle dichiarazioni della Sen. Valeria Valente, per come riportate dai media (corsivi nostri): «È un attacco non solo alle donne, ma anche ai centri antiviolenza: infatti nel corpo di questa pubblicità si utilizza come specchietto per le allodole un numero di telefono che rimanda e si contrappone in modo anche simbolico al 1522». I termini usati slatentizzano il pensiero di fondo: un servizio per gli uomini è “un attacco” per le donne; il servizio 1523 è uno “specchietto per le allodole”, cioè è una truffa o è fasullo o affronta un problema che non esiste; il 1523 non “si affianca”, non “completa” il servizio del 1522, ma “si contrappone”. Sosteniamo da tempo che le posizioni come quelle della Sen. Valente non puntino affatto a una forma di parità tra uomini e donne, ma sollecitino piuttosto una conflittualità irredimibile tra i due sessi. Le sue dichiarazioni sembrano darci ragione per l’ennesima volta. Ma cui prodest tale altissima conflittualità? Non è difficile arrivarci.
Andiamo alla conta?
La Sen. Valente infatti non è la sola ad essersi espressa: a scriverle, Sig. Sindaco, sono anche i vari centri antiviolenza campani, il gruppo politico democratiche e centri antiviolenza donna della Campania per un Pd femminista e tanti altri organismi simili. «Ci colpiscono negativamente le recenti campagne di comunicazione che in maniera fuorviante tendono a vanificare gli sforzi fatti finora e quelli ancora da fare», dichiarano. Ci permettiamo di presumere, ci perdoni Sig. Sindaco, che lei non sia avvezzo a quel tipo di linguaggio, dunque glielo traduciamo in termini semplici. Quando il mondo generale dei centri antiviolenza e dei loro referenti politici si esprime così, vuol dire che non ammette ci siano concorrenti nell’accaparramento dei fondi pubblici. Il tutto si appoggia su due assunti di base, uno più insostenibile dell’altro: 1) esiste (oppure conta solo) la violenza degli uomini sulle donne, 2) tale violenza è dilagante fino ad essere emergenza nazionale. Se uno dei due assunti s’incrina, si perde la motivazione del trasferimento delle enormi somme che ogni anno confluiscono dalle casse dello Stato ai centri antiviolenza che, lo ricordiamo, gestiscono le risorse senza alcun vincolo di rendicontazione all’ente pubblico (con buona pace della Corte dei Conti) e senza alcun vincolo di risultato reale. I manifesti oggetto di polemica non solo incrinano, ma aprono una grande falla nei due assunti sopra citati, da cui il mondo dei centri antiviolenza teme di veder defluire i milioni di euro di cui sono annualmente destinatari. Da tempo esprimiamo la nostra opinione che quel mondo sia un mero coacervo di clientele, costruito su una criticità che, se non esiste nelle proporzioni necessarie, si crea a tavolino, con campagne di propaganda martellanti e dichiarazioni miratissime. Da quel secchio di clientele, gentile Sig. Sindaco, pesca un po’ tutta la politica, da destra a sinistra, ma con un’incontrastata “golden share” per quest’ultima.
Per quanto riguarda noi, dunque, per quel poco che contiamo, da “reietti” del dibattito su questi temi “per decisione superiore”, le argomentazioni di chi l’ha tempestata di proteste finora sono meno che risibili e macchiate di un concreto conflitto d’interesse. Di contro, sposiamo senza esitazione le argomentazioni con cui alle critiche hanno risposto i promotori del 1523 e dei manifesti oggetto della polemica, a partire dall’Avv. Angelo Pisani: «le legge è uguale per tutti e del resto basta leggere l’articolo 1 della Costituzione, ma la violenza non può e non deve essere appannaggio di una sola parte. Se non si capisce che la violenza può essere ovunque non la si sconfiggerà mai e tutti saranno sempre in pericolo e senza pari tutele». Gli fa eco l’Avv. Antonella Esposito, che tocca il punto dolente: «se ogni anno aumentano gli stanziamenti sulla violenza sulle donne e aumentano anche i casi di violenza denunciati vorrà dire che è necessario affrontare questo tema anche in modo diverso. Stupisce che siano proprio le femministe, a cui questo tema è così caro, a bocciare senza appello ricette diverse da quelle utilizzate sino ad ora per la tutela delle donne e il benessere di tutti». A parte, chioseremmo, che all’aumento delle denunce non corrisponde un aumento delle condanne, che rimane stabile (mentre aumentano archiviazioni e assoluzioni…), diremmo all’Avv. Esposito che l’atteggiamento delle femministe non stupisce affatto, basta vedere le dichiarazioni sui media ad ogni notizia di cronaca con vittima donna: bisogna fare di più servono più soldi per i centri antiviolenza. Perché lì sta il punto, almeno finché nella Magistratura ordinaria o contabile qualcuno non prenderà coraggio e andrà a scoprire le carte. Detto questo, occorre chiedersi quanti nel Paese, in Campania e a Napoli, Sig. Sindaco, condividerebbero le parole dell’Avv. Pisani e dei suoi collaboratori? E quanti quelle delle arrabbiate che le hanno scritto in questi giorni? Si vada alla conta reale e si chiuda una buona volta con questo delirio ideologico conflittuale che sta avvelenando le relazioni tra uomini e donne e soprattutto tra ragazzi e ragazze.