di Mimmo Zardo Gilberti – La fase della prima infanzia dei figli è quella in cui la bigenitorialità piena, partecipata ed attiva è più utile per il bambino. Egli vede moltiplicata la dedizione nei suoi confronti, l’amore ed attaccamento naturale ed equilibrato che può sviluppare, e la trasmissione bilaterale di informazioni e metodologie pratiche e culturali (ma è utile anche per la mamma, che così vede potenzialmente dimezzate le proprie fatiche). La bigenitorialità è anche determinante nell’imprinting che dura tutta la vita: forse è proprio per questo che gli eliminatori seriali della figura paterna, ipocritamente intitolati al “femminismo” (svantaggioso innanzitutto per le donne) colpiscono massimamente questa fase dello sviluppo dei nuovi individui, cittadini del domani, affinché crescano incompleti, disequilibrati e senza radici, insomma, smarriti.
In più, io non vedo molto “naturale” questa visione animalista del bambino indefinibilmente “piccolo” che va considerato come una sorta di vegetale e quindi innaffiato e sarchiato mentre qualcuno va chissà dove a procurargli il concime, e poi diventato di colpo – non si sa quando e perché, né sulla base di quali parametri – “non più piccolo”, allora improvvisamente bisognoso del padre Il quale però non essendoci stato prima in ossequio al principio che “il bambino piccolo deve stare con la madre, mentre il padre deve pensare a lavorare e mandare i soldi” (concetto che è stato espresso a molti di noi a chiare lettere in Tribunale), allora neanche dopo è autorizzato ad esserci, giacché “eh no, bello mio, troppo comodo cominciare adesso a fare il padre!”.
Il dramma del conflitto di lealtà.
Quindi, tranne per i brevissimi momenti in cui è attaccato al corpo materno per necessità alimentari (sempre se è attaccato, visto che moltissime non allattano o li mandano al nido prestissimo o integrano già spontaneamente con svezzamento precoce, ecc.), il bambino ha la necessità umana di interazione piena con tutti i membri della sua famiglia d’origine, due genitori naturali e quattro nonni, come minimo, più gli altri parenti ed amici, perché da questo trae i fondamenti della sua crescita psicofisica non come un vegetale, ma come un Uomo, appunto (o Donna ovviamente). L’interazione piena ed equa col padre è quindi necessità del neonato formante e determinante, dai -9 mesi, passando dagli zero giorni, e da allora per sempre. La necessità di questo coinvolgimento pieno ed equo del padre nella sua crescita quotidiana e nella sua formazione non viene meno solo perché mamma o papà da un po’ hanno più “simpatia” per altri nuovi partner più belli più giovani o più ricchi e vogliono separarsi.
Eppure, ormai basta un ghiribizzo et voilà, con uno schiocco di dita – e quando non basta, con accuse false o molto ingigantite – il padre è trasformato in un visitatore ad ore ed assegno mensile, una figura del tutto secondaria e disumanizzata, o semplicemente eliminato del tutto, anche quando vorrebbe con tutto sé stesso esserci o continuare ad esserci, senza che il denaro lo sostituisca in tutto o in parte, con le modalità più umilianti e soventi anche più crudeli. Eppure, suo figlio e sua figlia lo vorrebbero ancora (o da quel momento) accanto a maggior ragione dopo che la mamma non lo vuole più, ma la libertà della loro possibilità espressiva è commisurata al regime di più o meno stretta detenzione, sorveglianza e alienazione che il famigerato ed innaturale “genitore collocatario” da quel momento istituirà, quindi progressivamente piegata dal conflitto di lealtà.
La cancellazione della famiglia.
Gli uomini vanno incentivati a sentirsi ed essere più protagonisti assieme alle madri (se collaborative, se esistenti, se di buona volontà, ma in caso di madri malevoli anche indipendentemente da queste) nell’accudimento e nella crescita dei figli in ogni fase, dal concepimento in avanti, senza soluzione di continuità, coadiuvati in ciò da tutto il parentado o solo dal proprio ramo genitoriale, ma anche indipendentemente da questo. Allora sì, inizieremo ad avere uomini più consapevoli del proprio ruolo e potere genitoriale, importante e prezioso per i figli tanto quanto quello delle madri anche nella quantità di tempo da dedicarvi. Però siamo davvero sicuri di voler uomini più consapevoli, presenti, partecipativi? O in fondo preferiamo poterli eliminare con una pallottola d’argento, appena ci stufiamo di loro, trasformandoli comodamente in bancomat-visitatori? Questa domanda non ha una risposta facile, perché è strettamente legata alle origini della crisi quasi totale della famiglia che nel mondo “occidentale”, e non solo, stiamo vivendo.