«Cosa sono io, agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, una donna mediocre, un individuo sgradevole, qualcuno che non ha e che non potrà mai avere una posizione sociale; in breve, l’ultima degli ultimi. Ebbene, anche se tutto questo fosse vero, vorrei che un giorno le mie opere rivelassero ciò che questa donna mediocre, questa nullità, ha nel cuore», così lamentava, con profondo dolore, il proprio destino Judith, la sorella di William Shakespeare. Judith, fallita drammaturga, è un personaggio letterario inventato dalla scrittrice Virginia Woolf per denunciare la discriminazione e la sofferenza che le donne hanno dovuto subire lungo la Storia in quanto donne. Su questo personaggio, sulla sua popolarità nel mondo femminista, sulla sua diffusione nell’insegnamento scolastico (!), sui punti critici e l’attendibilità di una tale narrazione, rimando alla lettura degli interventi pubblicati sotto il titolo “Biografie e femminismo” (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7). Una vita, la vita di Judith, discriminata, ignorata, umiliata e, infine, morta in maniera tragica, in quanto donna. Dove il cuore di tutta la questione risiede su questa espressione: in quanto donna. A dimostrazione di quanto la condizione della donna sia stata tragica, il femminismo ci rammenta di continuo alcuni nomi di personaggi storici realmente esistiti (al contrario di Judith). Dalla morte dell’astronoma e filosofa greca Ipazia, uccisa in quanto donna, alla matematica Ada Lovelace, considerata da molti la prima programmatrice di computer al mondo, ignorata e dimenticata a lungo in quanto donna. Tutte queste donne hanno subito quel che hanno dovuto subire in quanto donne, non in quanto essere umani. La condizione della donna prevale. La condizione umana scompare.
Si tratta di un’impostazione mentale costruita dalla dottrina femminista, dove l’unica condizione esistente è la condizione della donna e la condizione umana è scomparsa. Ogni discriminazione, violenza e/o sofferenza subita da una donna è subita in quanto donna, se non fosse stata donna non l’avrebbe subita, così come William Shakespeare non ha dovuto subirla al contrario di sua sorella Judith. Per assurdo anche ogni felicità e successo raggiunto da una donna viene raggiunto grazie alla sua natura femminile, cioè in questo caso grazie ai suoi meriti in quanto donna, malgrado la discriminazione, la violenza e la sofferenza che le donne sono condannate a vivere soggette al mondo degli uomini. Un’impostazione mentale che predomina tuttora. Francesca Gino, professoressa di Harvard ha fatto causa all’università per 25 milioni perché «l’ateneo statunitense ha compiuto una discriminazione perché sono donna». Le calciatrici, le attrici, le donne politiche, tutte costrette a subire fallimenti, discriminazione e ingiustizie in quanto donne. E tutto ciò indipendentemente dal fatto che molti, anzi, moltissimi casi simili di emarginazione e sofferenza possano colpire anche gli uomini, da Giordano Bruno a Michele Serveto.
La lezione del Prof. Will Knowland sul paradosso del “patriarcato”.
Semplice malafede.
Non fu forse ucciso il matematico greco Ippaso di Metaponto, per aver rivelato al mondo i numeri irrazionali, in quanto uomo? Henri Murger (1822-1861), poeta e scrittore francese, autore dell’opera Scene della vita di Bohème, da cui Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo presero ispirazione per le loro rispettive e celebre opere liriche intitolate La bohème, che condusse un’esistenza di stenti e finì i suoi giorni in miseria in un ospizio a 38 anni di età, non ha subito sofferenza e povertà in quanto uomo? Chi conosce Abbās ibn Firnās (810-888), che realizzò il primo volo, riuscito parzialmente, della storia dell’aviazione, con circa mille anni di anticipo sui fratelli Wright? Non è stato dimenticato, in quanto uomo? Non è stato licenziato il professore Will Knowland, dopo aver pubblicato una videolezione riguardante il Patriarcato, in quanto uomo? Che differenza c’è tra Judith e Murger, tra Ipazia e Ippaso, tra Lovelace e Firnās, tra Francesca Gino e Will Knowland? Perché le prime subiscono in quanto donne e i secondi non subiscono in quanto uomini? Perché i docenti che, come Francesca Gino, hanno dovuto vivere delle controversie legali con delle università, e sono in tanti, non le hanno dovute subire in quanto uomini? Molti altri esempi di uomini ignorati, discriminati, scomparsi dal racconto storico, sommersi dalla miseria e dalla sofferenza, non riconosciuti per i loro meriti, sono elencati nella sopraccitata serie “Biografie e femminismo” (altri esempi si possono trovare nell’opera La grande menzogna del femminismo). Molti, moltissimi, sono i casi di vita simili di uomini che possono essere menzionati.
Mi è capitato tra le mani un articolo, che promuove un libro intitolato Shakespeare’s sisters (Le sorelle di Shakespeare) che mi dà ragione. Mi fa piacere. L’autrice smentisce Virginia Woolf e racconta la storia di quattro scrittrici contemporanee del poeta inglese – Lady Anne Clifford, Mary Sydney, Emilia Lanier e Elizabeth Cary –, alcuna già nominata da me nei miei interventi precedenti, come Lady Anne Clifford – l’autrice non nomina altre, come Anne Seymour (1538-1588), Lady Margaret Hoby (1571-1633) o in Spagna la drammaturga María de Zayas Sotomayor (1590-1661), all’epoca più famosa di Shakespeare. Senza necessità di scrivere un libro, nei miei interventi parlavo forse di «malafede» di Virginia Woolf, esistevano scrittrici contemporanee di successo e riconosciute all’epoca di Shakespeare che lei non menzionava. Una «malafede» in qualche modo confermata dall’articolo, che scrive: il libro «racconta prima di tutto di Anne Clifford, che sicuramente doveva conoscere Virginia Woolf perché la sua celebre amante, Vita Sackville-West, era una sua discendente e da giovane (nel 1923) aveva fatto pubblicare i suoi diari». Infatti, Vita Sackville-West è un personaggio fondamentale e per tanti anni presente nella vita di Virginia Woolf, non è possibile che Virginia Woolf non sapesse dell’esistenza di Anne Clifford della quale la sua amante aveva pubblicato i diari. In altre parole, per poter costruire in maniera attendibile il racconto su Judith, la sorella di Shakespeare, l’autrice nasconde il personaggio storico della scrittrice Anne Clifford. «Malafede», in sintonia con tutta la narrazione storica femminista.
E i fratelli di Shakespeare?
In realtà non c’è bisogno di conoscere delle scrittrici elisabettiane per capire che il racconto di Woolf è altamente inverosimile, basta un’occhiata ai quadri che venivano dipinti all’epoca (presenti nell’articolo). Non solo per contenuto – donne che leggono e che scrivono – ma soprattutto per il fatto che essere il soggetto di un ritratto all’epoca denotava un grande potere economico o un alto riconoscimento sociale. Ma l’autrice dell’articolo manca di giudicare severamente la «malafede» di Virginia Woolf. Scrive: «George Macaulay Trevelyan, storico e un accademico vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, ha passato la vita a teorizzare sulla letteratura inglese, ma passerà alla storia per aver detto che nessuna donna ai tempi di Shakespeare avrebbe mai potuto scrivere quello che ha scritto lui. Alle sue teorie ha risposto poi elegantemente Virginia Woolf nel suo saggio Una stanza tutta per sé, inventandosi un personaggio, Judith, un’immaginifica sorella di William Shakespeare, […] arriva un libro, uscito in questi giorni in Inghilterra, che smentisce quell’accademico maschilista e pure Woolf, narrando invece di quattro scrittrici vissute veramente in Inghilterra…». Senza entrare nel merito su cosa intendesse l’accademico Macaulay (l’incapacità di emulare un genio unico e irripetibile o l’incapacità femminile di emulare un uomo?), il giudizio dell’uomo è qualificato come «maschilista» mentre la malafede di Virginia Woolf non riceve alcun rimprovero, anzi sarebbe secondo l’autrice dell’articolo una riposta «elegante». Doppio standard di giudizio.
Ho già scritto altrove: «oggigiorno Virginia Woolf è diventata un totem femminista, elogiata anche per la sua moralità, riferimento e modello per le future generazioni di donne. Il femminismo sarebbe l’ideologia del bene, dunque le sue rappresentanti rasentano la perfezione, una perfezione che, in Virginia Woolf e nelle altre adepte del movimento, dista molto dall’essere tale: giudizio parziale, vita mondana, mancanza di empatia per la sofferenza maschile». Il racconto di Virginia Woolf merita un severo rimprovero morale per due motivi, non solo per aver nascosto la presenza di donne, di cui lei era a conoscenza, che sì, riuscivano a fare le scrittrici con successo, ma ancora più importante, per aver ipotizzato, in maniera implicita, che gli uomini non possono subire la stessa sorte. William Shakespeare ebbe tre fratelli e due sorelle, Gilbert, Joan, Anne, Richard ed Edmund Shakespeare. Nessuno di loro raggiunse neanche lontanamente la celebrità raggiunta da William Shakespeare. Secondo l’impianto mentale promosso da Virginia Wolf, le sorelle non sarebbero divenute celebri a causa della loro condizione di donna, in quanto donne. Ora, non avrebbe dovuto Virginia Woolf allargare la stessa logica agli ignoti fratelli, in quanto uomini?
I fanatici non possono essere convinti.
«Cosa sono io, agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo mediocre, un individuo sgradevole, qualcuno che non ha e che non potrà mai avere una posizione sociale; in breve, l’ultimo degli ultimi. Ebbene, anche se tutto questo fosse vero, vorrei che un giorno le mie opere rivelassero ciò che questo uomo mediocre, questa nullità, ha nel cuore», non sono le parole di Judith, scritte da Virginia Woolf, come ho lasciato intendere falsamente all’inizio. Sono le parole di Vincent Van Gogh scritte in una delle ultime lettere a suo fratello Theo Van Gogh (tratto dal film Loving Vincent). Un uomo fallito e disperato, un genio non riconosciuto dai contemporanei. Una storia tragica finita tragicamente. Su questo punto le femministe, compresa l’irreprensibile Virginia Woolf, denotano una terrificante carenza di empatia per la sofferenza e le vicissitudini maschili. In maniera molto semplice, persino infantile, l’impostazione femminista sarebbe strutturata così: se una donna cade è successo in quanto donna; se allo stesso tempo dieci uomini cadono è successo per colpa loro o per colpa dell’umanità in genere. Quest’impostazione, se profondamente radicata, come lo è tra le femministe, prescinde dalla logica e dai numeri, possono cadere dieci o cento uomini, non importa quanti, dunque è uno sforzo inutile introdurre nella discussione le statistiche sui suicidi, morti sul lavoro, omicidi, povertà… Come succede per qualsiasi fanatismo ideologico o religioso, queste persone non possono essere convinte, possono solo essere curate. Intanto, gli uomini non hanno bisogno di inventarsi personaggi di fantasia, come Judith, per raccontare le proprie sofferenze. Ma a scuola continueranno a leggere la tragica storia di Judith, racconto di fantasia del capolavoro femminista Una stanza tutta per sé, scritto da Virginia Woolf una trentina di anni dopo la tragica fine di Vincent Van Gogh. Chissà se per scrivere il suo racconto sulla falsa sorella non si sia ispirata sulla vita vera di Van Gogh.