La Fionda

Anne Hidalgo: quando il femminismo è (anche) bieco razzismo

Ci siamo già occupati in passato della “sindaca” di Parigi, Anne Hidalgo. In particolare ne avevamo parlato quando era riuscita a farsi sanzionare per aver violato la legge sulla parità di genere nominando un’enormità di dirigenti donne presso la sua amministrazione. Ai tempi, rispose alle accuse nel modo più femminista possibile: «per raggiungere un giorno la parità, dobbiamo fare in modo che nelle nomine ci siano più donne che uomini». Un concetto di parità piuttosto bislacco, sostanzialmente vendicativo, in quanto tale pienamente femminista. Ma non è l’unico exploit estremista della Hidalgo, che ha deciso di basare la propria carriera sul connubio femminismo-ecologismo, quest’ultima parte interpretata alla maniera del World Economic Forum, di cui naturalmente è orgogliosa relatrice. Per intenderci è una di quelle che si battono per le “15-minutes city“, cioè la riduzione delle città in ghetti dove i movimenti e le azioni degli individui sono controllati da un profluvio di telecamere.

Non mancano tuttavia nella sua sfolgorante carriera gli exploit puramente femministi: sua è ad esempio la battaglia per rinominare le strade di Parigi secondo un criterio “di equità”, volto a recuperare il gap che vede solo il 2,6% di ruesquaiboulevard parigini intestati a donne. Un’iniziativa che Dagospia giustamente definì una manifestazione di cretinismo, ma che sarebbe bastato, per un fatto di sinonimi, definire semplicemente femminista. Suo è anche l’obbligo di chiamarla “Sindaca” (!) e, di recente, il sostegno all’iniziativa dell’associazione femminista francese “Paroles des femmes” per una riclassificazione delle azioni compiute da Hamas il 7 ottobre scorso: «I loro nomi erano Sarah, Karine, Céline», ha tuonato la pasionara sindaca parigina. «Su iniziativa dell’associazione Paroles de femmes, lanciamo un appello alle femministe e ai sostenitori della nostra causa affinché il massacro delle donne in Israele del 7 ottobre sia riconosciuto come femminicidio». Una condotta che si commenta da sé e che scioglie ogni dubbio sul fatto che la Hidalgo sia a tutti gli effetti una vera femminista contemporanea.

Anne Hidalgo
Anne Hidalgo, Sindaco di Parigi.

Stupiti soltanto gli ingenui.

In questo senso, assume grande importanza la sua recente presa di posizione relativamente alle Olimpiadi che si terranno nella sua città nel 2024. Durante una visita a Kiev, la Hidalgo non ha lasciato spazi all’interpretazione: «Gli atleti russi e bielorussi non sono benvenuti. Sosteniamo gli ucraini». Ora, comunque la si pensi sul terribile conflitto in atto, non si può fare a meno di chiedersi cosa abbia spinto la “sindaca” a un’affermazione del genere. Che non può in nessun caso essere classificata come critica politica: essa infatti va a colpire persone che non hanno avuto alcun peso nelle decisioni prese dal Cremlino, bensì si tratta di semplici atleti che hanno fatto dello sport talvolta una professione, talvolta motivo di impegno personale. Agli occhi della Hidalgo, tuttavia, costoro non meritano alcun tipo di accoglienza per il solo fatto di appartenere a un determinato popolo. C’è una sola classificazione possibile per una cosa del genere: razzismo. La paladina dell’equità e della parità, la femminista eco-progressista di riferimento per l’occidente transumano del WEF, si mostra semplicemente come la più deprecabile delle razziste.

Qualcuno si stupisce per questa presa di posizione così contrastante con l’immagine che la Hidalgo aveva finora dato di se stessa, ma è uno stupore del tutto ingenuo. Il suo femminismo, ecologismo e progressismo si inquadrano infatti in quella forma ideologica di difesa dei “diritti umani” che nulla ha a che fare, in realtà, con i diritti umani stessi, ma che è lo strumento di oligarchie occidentali autoritarie abili a nascondersi dietro i “bei principi”. Si tratta di oligarchie sempre tolleranti verso se stesse e verso coloro che si adeguano al loro pensiero unico distruttivo, ma violentemente intolleranti verso chi dissente. A questi esse destinano censura, discriminazioni (magari chiamandole “positive”), razzismo o repressione. Il femminismo in generale è parte integrante di questa ideologia e le sue esponenti, come la Hidalgo, fanno parte a pieno titolo di quei “padroni del discorso” capaci di condannare il razzismo esercitandolo o la mancanza di equità mettendola in pratica. Costoro però sono una parte del problema. Esecrabile quanto si vuole, ma solo una parte. Quella determinante è un’altra ed è costituita dai molti, sempre troppi, che non vedono queste contraddizioni o, se le vedono, chiudono gli occhi per quieto vivere.



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