L’attrice Jane Fonda al festival di Cannes: «Arrestate gli uomini bianchi, sono razzisti e patriarcali, hanno causato il cambiamento climatico». Vi immaginate un personaggio pubblico (politico, attore, musicista, sportivo…), non importa in quale ambito, che lanci delle invettive simili su qualche gruppo sociale (neri, donne, anziani, zingari, sordi, grossi, musulmani, stranieri…), riportate pacificamente dai media senza che ci sia alcun commento critico né di riprovazione? Bene, se siete un personaggio pubblico, non ci provate in alcun modo se non volete correre il rischio di essere linciato pubblicamente e messo alla gogna per razzismo, sessismo, gerontofobia, islamofobia, maschilismo… A meno che non decidiate di lanciarle sugli uomini, unico gruppo sociale sul quale si può dire di tutto, anzi, e consigliabile farlo se volete sembrare “fico” e ottenere il favore del pubblico politicamente corretto. Oggi gli uomini sono il sacco da boxe sul quale chiunque può infierire senza rischiare nulla. Anzi spesso si ricevono dei complimenti per queste stimolanti e sagaci invettive che arricchiscono il dibattito pubblico. «Quando capiremo che l’essere uomo non è né qualcosa di auspicabile né degno di essere preservato, allora inizieremo a progredire nella giusta direzione». Perle di saggezza alle quali il femminismo ci ha abituato. Concetti che si racchiudono nel noto sintagma: mascolinità tossica.
«Non capisco come, dopo secoli e secoli di spietati abusi e sfruttamento a danno delle donne, loro continuino a sopportarci, continuino ad amarci e a prendersi cura di noi. Quello che non riesco assolutamente a capire è che, dopo essere state governate per millenni da noi – essenzialmente un gruppo di individui senza cervello e ubriachi di testosterone, impegnati solo a bere birra e a capire chi è più macho provocando catastrofi –, le donne non ci hanno severamente proibito di accedere al potere né ci hanno punito a lavare i pavimenti in ginocchio per i prossimi tre secoli». Su questa dicotomia tra la vittima e il colpevole ci illuminano di continuo i media, come ad esempio il summenzionato brano dell’articolo di El País, il mezzo stampa più importante in lingua spagnola. Ma non solo i media, anche le istituzioni: «The social problem of men (Il problema sociale degli uomini): così, senza mezzi termini, è intitolata la relazione commissionata dalla Commissione Europea, gli uomini sono un problema sociale. La “questione femminile” sta a indicare il problema che hanno le donne, la “questione maschile” il problema che sono gli uomini (Civati)» (tratto dall’opera La grande menzogna del femminismo, p. 44-45). È stato già menzionato in un altro intervento che «la teoria femminista si muove su un sistema di coordinate dove ci sono due assi: l’asse della vittimizzazione e l’asse della colpevolizzazione». In realtà questa dicotomia, che assegna a seconda del sesso la condizione di vittima e la colpa in maniera rigida e immutabile, produce a sua volta nuove dicotomie: “bene/male”, “buono/cattivo”, “superiore/inferiore”.
Fin dalla prima ondata.
Una sempiterna vittima è sempre una persona innocente. Un sempiterno colpevole è sempre una persona cattiva. Una persona innocente è sempre auspicabile. Una persona colpevole è sempre deprecabile e da respingere. Dunque l’uomo va sempre collocato sull’asse dell’inferiorità, della cattiveria, del rifiuto e la donna sull’asse della superiorità, della bontà, dell’approvazione. L’odierna e costante colpevolizzazione dell’uomo da una parte e la divinizzazione della donna dall’altra, nel mondo occidentale, non sono altro che l’applicazione effettiva della dottrina femminista, il coronamento della sua assimilazione e del suo successo a livello sociale. Ma questa costante denigrazione dell’uomo – e, per converso, divinizzazione della donna –, non nasce da un pensiero deviato e radicale del femminismo degli anni ’60, nasce dall’essenza della sua dottrina; nasce, come abbiamo già visto in altre occasioni, dai primi scritti femministi, dal femminismo della prima ondata, dal “femminismo buono”. Nellie L. McClung (1873-1951), femminista canadese, scrive ne In times like this (1915): «Le donne portano nei loro cuori molti ricordi dolorosi, sentendo di essere state trattate duramente dai loro uomini, e per questo hanno dato la colpa al singolo uomo, quando in realtà non è l’individuo da biasimare. L’intera razza soffre di mascolinità; e uomini e donne sono ugualmente colpevoli di tollerarla». Qual è la differenza tra questo pensiero e quello attuale sulla “mascolinità tossica”? Anche allora «non è l’individuo da biasimare» quando ruba, stupra, uccide o commette una qualsiasi violenza. È «l’intera razza» maschile, è “il figlio sano del patriarcato”, la colpa è collettiva.
Durante la prima ondata femminista, cristianesimo e femminismo si mescolano. Da questa fusione emerge il giudizio morale di condanna per gli uomini – e, naturalmente, di esaltazione per le donne. Scrive Frances E. Willard (1839-1898), attivista e presidente della Woman’s Christian Temperance Union, in Woman and Temperance (1883): «Mettete gli uomini da soli nella natura selvaggia, e per quanto tempo sarà la legge il loro arbitro piuttosto che la forza bruta di occhio per occhio e colpo su colpo? È la pura e nobilitata femminilità cristiana, con i suoi insegnamenti e il suo esempio, che ha permesso di rendere possibile il predominio della legge nella razza anglosassone». In questo humus nasce la marcata visione negativa che le femministe hanno dell’universo sessuale maschile, che è il vero origine del male che affligge gli uomini… e il mondo. Durante l’incontro annuale della Ladies’ National Association a Liverpool, Sursum Corda, nel 1871, l’attivista femminista Josephine Butler (1828-1906) proclama: «considereremo tutti gli uomini (per quanto puri possano essere nella loro condotta) come dei corruttori della società, i quali sostengono la dottrina, ripugnante e mortale, secondo la quale Dio avrebbe creato l’uomo per la vita dissoluta e l’impudicizia e la donna la sua degradata schiava». Un secolo più tardi circa, Andrea Dworkin (1946-2005) proclama: «I rapporti sessuali etero sono la pura, formalizzata espressione di disprezzo per il corpo delle donne». Qualche differenza?
Una mera questione di potere.
Secondo Elizabeth Blackwell (1821-1910): «A differenza degli uomini, il piacere sessuale delle donne non è legato “principalmente all’atto del coito”, ma a cose di ordine superiore. Cos’è che spinge la sessualità mentale delle donne ad essere l’avanguardia morale della civiltà? “Il puro sentimento della maternità… l’attitudine speciale conferita alle donne dal potere della maternità… l’accresciuta intelligenza delle madri che saranno accolte come le più brillanti campionesse della rigenerazione sessuale”» (tratto da Making Sex di Thomas Laqueur). Ai loro occhi solo con la rigenerazione sessuale maschile può arrivare la rigenerazione sociale. Di parere simile è Christabel Pankhurst (1880-1958), femminista e leader delle suffragette nel Regno Unito. Nel 1913 scrive l’opera The Great Scourge and how to end it (Il Grande Flagello e come porvi fine): «la verità è che i desideri degli uomini sono infiammati in misura innaturale da pensieri e azioni impure, da eccessi nel mangiare e nel bere, e dall’indolenza fisica e mentale». E continua, «la relazione tra uomo e donna è centrata sul piano fisico. E, peggio ancora, la relazione tra l’uomo e la donna è stata quella di un proprietario con la sua proprietà – del padrone e della sua schiava –, non una relazione tra due uguali. […] Da questo male ne è nato un altro. L’uomo non si accontenta di essere in relazione con un unica schiava; deve essere in relazione con molte. Vale a dire, in questo modo è nata la promiscuità sessuale, e così questa è diventata un morbo per l’umanità». È naturale che uno tra gli slogan più celebri adoperato dal movimento suffragista durante la loro lotta per il voto femminile, coniato dalla stessa Christabel, fosse «votes for women and chastity for men» (voto per le donne e castità per gli uomini). Come si può rifiutare il diritto di voto a chi chiaramente è migliore? Voto per le donne, esseri moralmente superiori. Castità, cioè rieducazione, per gli uomini, esseri moralmente inferiori. Non era una questione di parità, era una questione di potere. Rieducate l’uomo, fermate l’uomo, arrestate l’uomo.