L’intersezionalità è uno dei grandi mali della nostra epoca. Ma i suoi effetti nefasti non vanno solo a colpire il suo Nemico per eccellenza, l’oppressore di default, il “maschio bianco etero-cis”: esso colpisce come una piaga biblica l’intera società, come da tempo raccontiamo, incluse le donne. Un recente episodio avvenuto in Spagna illustra bene la contraddizione insanabile che sta al cuore di una delle varie espressioni dell’intersezionalità: il “transfemminismo”, quel femminismo che incorpora le istanze delle minoranze identitarie di genere, e include perciò tra le vittime dell’oppressione patriarcale qualsiasi essere umano che non sia “maschio bianco etero-cis”. Ivi compresi gli uomini che si identificano come donne. Lo scorso 18 marzo la consigliera per la famiglia, i giovani e le politiche sociali della Comunità autonoma di Madrid, Ana Dávila, ha scritto una lettera aperta al Ministero delle Pari Opportunità spagnolo, nella persona dell’attuale Ministro Ana Redondo, portando alla sua attenzione un problema posto dalla “ley trans” promossa dal precedente Ministro Irene Montero.
Dal febbraio dell’anno scorso, in virtù di questa legge, in Spagna è possibile cambiare il sesso registrato sui propri documenti sulla base della semplice auto-determinazione, senza l’obbligo di sottoporsi a trattamenti ormonali o chirurgici ma anche senza l’obbligo di una certificazione medica che attesti una diagnosi di “disforia di genere”. Non serve neanche l’approvazione di un giudice o la presenza di testimoni che attestino alcunché. La legge spagnola non è l’unico contesto in cui troviamo questa possibilità: e se è già successo che qualcuno l’abbia sfruttata per approfittare di vantaggi e privilegi riservati alle donne, o per trasformarsi da un atleta scarso nella categoria maschile a un campione nella categoria femminile, il problema posto dalla consigliera Dávila è anche più serio. Scrive la consigliera: «Spett.le Ministro, trasmettiamo per conto dei centri anti-violenza di genere la preoccupazione suscitata dalla richiesta di assistenza effettuata da alcuni soggetti che, figurando ora come donne avendo realizzato il cambio del sesso legale, risultavano però registrati come aggressori sessuali nel VioGén, quando ancora erano uomini dal punto di vista della legge».
Le coltellate gentili e quelle patriarcali.
Il VioGén merita un’annotazione: è un registro informatico, in uso del Ministero dell’Interno spagnolo dal 2007, che a partire da un database di tutte le denunce di casi di “violenza di genere”, sulla base di determinati criteri assegna un livello di rischio, e di corrispondente protezione assegnata, per ciascuna “vittima”. Costruito sulla base dell’idea del “continuum” diretto tra comportamenti “patriarcali” o “sessisti” e “femminicidio”, al fine di prevedere in modo matematico in quali casi, tra i comuni (purtroppo) episodi di conflitto relazionale e di violenza domestica, si realizzerà l’escalation fatale, ha però rivelato la fragilità di questa impalcatura ideologica quando, dopo alcuni anni di utilizzo, si è visto che la maggior parte delle vittime di “femminicidio” erano state valutate dal sistema come a rischio “basso” o “inesistente”. (Forse anche i computers sono sessisti e figli sani del patriarcato). Tornando alla lettera della consigliera: «Non solo, alcune delle vittime di violenza sono attualmente assistite da quei centri antiviolenza presso cui hanno fatto richiesta d’accesso i loro stessi aggressori. Una circostanza che pone in pericolo tanto le vittime, quanto i professionisti che le assistono e in ultima analisi l’intera rete di protezione. Ministro è evidente che la legge 4/2023 approvata dal suo governo non risolve questi problemi. La prego di indicare la corretta procedura da seguire in questi casi».
La consigliera Dávila accenna ad alcuni casi documentati in concreto in un rapporto ufficiale del Governo della Comunità di Madrid. Come riportato da El Mundo e altre testate, in esso si legge ad esempio che «in due casi i presunti criminali hanno richiesto il cambio di sesso legale al fine di evitare che eventuali crimini violenti perpetuati in futuro a danni di vittime femminili si configurino come “violenza di genere”». Difatti la legge contro la violenza di genere spagnola ha una legislazione specifica, con aggravanti mirate e pene più severe, per i casi in cui il perpetratore è un uomo e la vittima una donna. Una peculiarità che, subito dopo la promulgazione, fu motivo di oltre 200 questioni di legittimità costituzionale per violazione del principio del diritto all’uguaglianza: la corte costituzionale spagnola si pronunciò a favore della legge, con sette voti favorevoli e cinque contrari, con questa sorprendente motivazione: «una violenza causa un danno maggiore alla vittima quando l’aggressore agisce in conformità a un modello culturale – la disuguaglianza nell’ambito della coppia – che genera danni gravissimi alle sue vittime, e conferisce al comportamento lesivo un effetto accresciuto rispetto alla violenza agita in altri contesti». In pratica, per la corte spagnola, una coltellata patriarcale fa molto più male di ogni altro genere di coltellata.
Ed è subito cortocircuito.
D’altra parte le donne sono il “gentil sesso” quindi anche le loro coltellate sono gentili, mentre un uomo che colpisca un altro uomo lo fa in modo cameratesco, da patriarca a patriarca: è come una pacca sulla spalla. Rebus sic stantibus, dichiarare la propria “identità di genere” femminile può evitare ai perpetratori di “violenze di genere” parecchi guai, e non è solo una possibilità teorica: «In un altro dei casi documentati dalla Comunità di Madrid, quando una donna aggredita dal suo allora partner sporse denuncia, fu informata dalla polizia che il presunto aggressore in questione aveva cambiato il proprio sesso legale, per cui non si sarebbe potuta considerare una denuncia per “violenza di genere”».
Riassumendo: grazie alla ley trans, grande risultato della lotta intersezionale delle minoranze identitarie oppresse contro i privilegi “etero-cis-normativi”, criminali sessuali di ogni risma potranno ottenere con la sola forza di volontà la trasmutazione alchemica, il passaggio istantaneo dallo stato di “oppressori” (in quanto maschi bianchi etero-cis) a quello di “oppressi” (in quanto “corpi queer” che si autodeterminano in una “identità di genere” femminile) e con ciò ottenere l’accesso a risorse e servizi riservati alle loro stesse vittime, il permesso di riavvicinarle nei centri e nei rifugi a loro dedicati, e l’immunità totale dal “reato di violenza di genere” (grande risultato della lotta dell’identità oppressa per eccellenza, quella femminile, contro i privilegi patriarcali) essendo questo possibile solo se il perpetratore è uomo. A quanto risulta, il Ministero delle Pari Opportunità non ha ancora dato alcuna risposta all’istanza della consigliera Dávila: ci sembra di sentire fin qua lo zampettìo dei criceti intersezionalisti, alacremente all’opera per tirare fuori una via d’uscita sensata e ideologicamente corretta da questo gran bel corto circuito “transfemminista”.