Se c’è un crimine nella Storia dell’umanità per il quale le donne sono state punite molto più severamente degli uomini questo è senza dubbio, secondo la narrazione femminista, l’adulterio. Così libri, studi e storici femministi ci hanno ripetuto fino alla nausea. E se c’è un esempio femminista per antonomasia di questa punizione storica asimmetrica a danno delle donne, preso dalla letteratura, questo è senza dubbio il romanzo classico La lettera scarlatta (1850) di Nathaniel Hawthorne. Questo romanzo è adoperato molto spesso nelle scuole superiori per mettere in evidenza la tragica condizione delle donne. Molto sommariamente, per chi stranamente ancora non ne ha sentito parlare, il libro racconta la storia di Hester, una donna che, durante l’assenza del marito, nel XVII secolo in una colonia di Nuova Inghilterra, commette adulterio con il giovane reverendo, Arthur Dimmsdale. Hester rimane incinta, ma si rifiuta di rivelare chi sia il padre della bambina, anche se le viene domandato più e più volte. Nel frattempo fa il ritorno il marito, dopo una lunga prigionia a opera dei pellirossa. Hester è processata per adulterio e, come punizione, esposta alla pubblica umiliazione su di un patibolo vestendo sul petto una lettera A scarlatta (che sta per “adultera”). Il crimine dell’adulterio e questo romanzo di Hawthorne starebbero a dimostrare quanto sia sbagliato, almeno in parte, affermare che «lungo la Storia le donne siano state punite più raramente e meno pesantemente degli uomini», come ho affermato nell’intervento precedente sull’irresponsabilità delle donne.
Su quest’opera classica è stato prodotto nel 1995 l’omonimo film interpretato da Demi Moore. Un bel film da vedere se non è ancora capitata l’opportunità, un buon sostituto del libro per chi non l’ha ancora letto, come era allora il mio caso. Potete capire il mio stupore quando, durante la visione, ho sentito l’interrogazione durante il processo di Hester: «Giudici: – Siete in attesa di un figlio?; – Rispondi ai tuoi superiori, donna! Porti un bastardo nel tuo grembo?; Hester: – Sì.; Giudici: – E chi è il padre? Tu saresti innocente rispetto all’uomo che vuoi proteggere. Svelaci il suo nome e impiccheremo quel fornicatore; Hester: – Non rivelerò mai il suo nome». Come?! Per anni abbiamo introiettato la convinzione che le donne fossero punite più severamente per l’adulterio, il movimento femminista si è servito proprio di quest’opera per diffondere questa idea ripetuta fino alla nausea, e ora invece risulta che nel romanzo lei verrebbe scagionata e perdonata si rivelasse il nome dell’uomo fornicatore, che al contrario non verrebbe scagionato e perdonato, ma impiccato (!?). Ma non finisce qui, tutto ciò trova un’ulteriore conferma in un altro episodio del film.
Confessione e salvezza.
Il marito incontra Hester e questo è il dialogo: «Hester: – Cosa Vi aspettate da me, signore?; Marito: – Non mi illudo certo che diventiate improvvisamente una moglie appassionata, ma spero almeno che un giorno mi ridiate il posto che mi spetta nel profondo del Vostro cuore.; Hester: – Dio mi aiuti, ma l’amore ha consegnato il mio cuore a un altro.; Marito: – Tiene a freno la lingua, moglie! E questo misterioso amante che ti mette in bocca certe parole, dov’è questo grande uomo? Sono ancora umide le tue labbra, i tuoi capezzoli? Io esigo saperlo.; Hester: – Ho passato sei mesi in una gelida prigione senza dire una sola parola ai miei carcerieri, cosa Vi fa pensare che lo confesserei a Voi ora? Questa tortura mi ha forgiato il carattere, signore. Io non sono più la fanciulla che avete sposato! Perché non Vi rivelate apertamente e Vi liberate di me una volta per tutte?; Marito: – No, no, non voglio vendicarmi su di te, bambina mia, voglio l’uomo che ha tradito te e me. Lui non porta un marchio pregno di infamia sulle sue vesti. Ma io glielo leggerò nel profondo del cuore». In pratica, il marito tradito è pronto a riaccogliere la moglie fedifraga all’interno della relazione matrimoniale, come se nulla fosse successo. Non chiede per lei punizione o vendetta, chiede solo di riavere un giorno «il posto che gli spetta nel profondo del cuore della moglie». Per lui, lei non è responsabile; lei, come lui, è stata tradita. L’unico responsabile per lui sarebbe l’altro lui, l’uomo fornicatore è l’unico che merita punizione e vendetta. Anche in questo caso, lei perdonata, lui punito. È forse questo il doppio standard che denuncia la narrazione femminista?
Sono rimasto attonito. Non può essere. Gli sceneggiatori del film hanno dovuto fraintendere il senso del testo del libro. Non potevo esimermi di leggerlo. Ecco i passaggi incriminati (Edizione Pickwick, Mondadori Libri, 2021, pp. 58, 64-65): « “Donna, non violare i confini della misericordia celeste!” gridò il reverendo Wilson con voce austera. (…) “Parla! Il nome, insieme al tuo pentimento, sarà sufficiente forse a toglierti dal petto la lettera scarlatta.” “Mai!” rispose Hester Prynne». In pratica, sono disposti a perdonarla se rivela il nome del padre, al quale spetta la punizione della forca come stabiliva la legge, come vedremmo più avanti. « “…non merito la vendetta né desidero in alcun modo il tuo dolore. Sono un uomo di pensiero e la filosofia non è per me una parola senza senso. Io e te siamo alla pari. Ma c’è un uomo, Hester, che è colpevole verso entrambi. Chi è?” “Non domandarmelo”, disse Hester fissandolo in viso. “Mai lo rivelerò.” “Mai, dici?” chiese l’uomo (…) “Prima o poi, quell’uomo sarà mio!” Gli occhi dell’uomo ardevano di un fuoco così cupo che Hester, impulsivamente, portò le mani al seno, quasi a nascondere il segreto che in esso era celato. “Non vuoi farmi quel nome? Lo scoprirò ugualmente”». Anche sul testo del romanzo, in entrambi i casi, la responsabilità e la punizione più severa ricadono sull’uomo fornicatore.
Una sola condanna a morte.
Devo riconoscere di essere rimasto allibito. Per anni ero stato convinto, avevo dato per scontato, erroneamente, senza averlo mai letto, che il romanzo La lettera scarlatta provasse quanto il femminismo su questo punto avesse ragione, quando in realtà il testo prova semmai la tesi contraria. Tanto il tribunale quanto più tardi il marito affermano di volerla perdonare se rivelerà il nome dell’amante (il colpevole) per punirlo (impiccarlo). Per tutti, lei non è pienamente responsabile, e non è nemmeno colpevole se l’uomo sarà punito. Questo pregiudizio, che mi ha fatto credere che le donne fossero le grandi vittime dell’adulterio, nasce dal fatto che tutti (inconsciamente?) ci interessiamo per la sorte di Hester. La storia di lei descriverebbe la condizione delle donne, la lettera A sarebbe il simbolo del patriarcato e dell’oppressione delle donne. Nessuno invece si interessa per la sorte di Arthur Dimmsdale, il giovane reverendo e amante, che nel romanzo muore perseguito dalla colpa. O per la sorte che eventualmente avrebbe potuto correre se il suo nome fosse stato rivelato: impiccagione. A nessuno interessa. Per molti aspetti analogo è il trattamento di un altro classico della letteratura adoperato dal femminismo per sostenere le proprie tesi: Madame Bovary (1856) di Gustave Flaubert. Tutto l’interesse è calamitato da Madame Bovary, dalla sua vita e dalla sua infelicità. A nessuno interessa la vita e la felicità di Charles, gli obblighi e i doveri morali del povero, bravo e anonimo marito. Per tutti, le vite di Hester o di M.me Bovary descrivono la tragica condizione delle donne. Quelle di Dimmsdale o di Charles non descrivono nulla.
In La lettera scarlatta, i personaggi si appellano spesso alle sacre scritture, richiamate dalla critica femminista come simbolo del dominio del patriarcato e della società repressiva contro le donne. Peccato che per questo crimine le sacre scritture assegnino la stessa pena per i due amanti: la pena di morte (Bibbia, Dt 22, 22; Lv 20, 10-12). Di fatto, nel Seicento nel Massachusetts l’adulterio femminile era punito con la morte per entrambi, la adultera e l’amante, single, vedovo o sposato che fosse. Sempre nello stesso periodo l’adulterio maschile era considerato “fornicazione”, e non era punito allo stesso modo, ma a beneficiare erano sempre in due, il marito fedifrago e la donna amante (single o vedova). Se l’amante fosse stata invece sposata, il marito adultero avrebbe ricevuto la stessa punizione della moglie adultera. In altre parole, la severità della pena sull’uomo dipendeva dallo stato sociale dell’amante, cioè se lei era single, vedova o sposata. Dalla Corte degli Assistenti del Massachusetts sembra che sia stata emessa una sola condanna a morte per un caso di adulterio nel 1643/44 per Mary Latham di Marshfield e l’amante James Britton di Weymouth. Mary e James furono impiccati nonostante il loro rimorso. Dopodiché la Corte degli Assistenti non ha mai più condannato a morte nessuno per aver commesso adulterio. (Tratto da Founding Mothers & Fathers: Gendered Power and the Forming of American Society, di Mary Beth Norton, 1996). Talvolta la prassi giudiziaria non rispecchia la teoria delle norme.
Clemenza per lei, condanna per lui.
Già nel XVII secolo le colonie americane consentivano il divorzio per motivi di adulterio. Nel diciannovesimo secolo, tutti gli stati tranne la Carolina del Sud, che non aveva legalizzato il divorzio, lo consentivano per adulterio. Tra il 1867 e il 1906 ci furono negli Stati Uniti 250.000 divorzi concessi per adulterio. Per richiedere il divorzio basato sull’adulterio, la legge non faceva differenza tra marito e moglie. È vero che nella pratica erano molto più numerose le richieste maschili per ottenere il divorzio per adulterio di quelle femminili, come oggi tra l’altro sono molto più numerose le richieste femminili per ottenere il divorzio di quelle maschili. Ma l’analisi del motivo di queste asimmetrie esula da questo intervento. L’ideologia femminista ha sempre sfruttato l’equivoco linguistico che esiste tra adulterio maschile associato agli uomini e adulterio femminile associato alle donne. Per similitudine concettuale si ha fatto credere che l’adulterio femminile, punito più severamente, riguardasse esclusivamente le donne. Non è così. In entrambi i casi di adulterio, maschile o femminile, la legge prescriveva per la coppia di amanti, l’uomo e la donna, lo stesso trattamento. Anche se talvolta la prassi giudiziaria non rispecchiasse la teoria delle norme, e le donne, grazie all’istinto protettivo maschile nei loro confronti e agli stereotipi di vulnerabilità che la società attribuiva loro, riuscissero a ricavare pene più lievi degli uomini, come dimostra proprio uno dei romanzi paradigmatici adoperati dal femminismo, La lettera scarlatta, che elargisce per Hester un giudizio clemente e per Dimmsdale un giudizio impietoso.