Yascha Mounk, critico del fenomeno della cancel culture e dell’isterismo “woke”, e per questo inviso a molti ambienti progressisti, si è visto interrompere la sua collaborazione con la testata liberal The Atlantic dopo che la scrittrice Celeste Marcus lo ha accusato, attraverso un post pubblicato su X, di una violenza sessuale che, a suo dire, sarebbe avvenuta durante un pigiama party, due anni e mezzo fa. Alcuni stralci dell’articolo: «È impossibile sapere cosa sia successo tra Marcus e Mounk durante quel pigiama party di due anni e mezzo fa: se quel rapporto sessuale, se c’è davvero stato, è stato consensuale oppure no. Una cosa è certa, però: il semplice sospetto non è un motivo sufficiente per punire e demonizzare uno studioso che, al momento, non è stato condannato da alcun tribunale. Anzi. Se la scrittrice ritiene di essere stata stuprata, avrebbe dovuto denunciare il fatto alla polizia e citare Mounk in tribunale. Invece non lo ha fatto, optando altresì per la gogna pubblica del #MeToo. Che non può certo sostituirsi alla giustizia ordinaria».
E ancora: «Il fenomeno #MeToo sembrava essersi eclissato definitivamente con la vittoria in tribunale di Johnny Depp contro la ex compagna Amber Heard. Un passaggio fondamentale che ha rafforzato una tesi che sembrava una banalità, ma che era diventata una tesi rivoluzionaria rispetto alla cultura del sospetto del #MeToo: ossia che non tutte le accuse mosse contro una persona, in particolare, contro gli uomini, sono fondate e una persona accusata non è per forza colpevole, soprattutto se parliamo di fatti avvenuti diversi anni, se non decenni prima. Un principio cardine in uno stato di diritto, dove un’accusa deve essere innanzitutto dimostra e la stampa non può sostituirsi alla giustizia. Purtroppo, però, il #MeToo sembra resistere, come in questo caso, dove uno stimato studioso viene accusato via social di un’accusa gravissima ma non viene nemmeno denunciato in tribunale». Infine: «Il movimento #MeToo, nota in un’analisi il sito britannico Spiked, sembrava aver raggiunto l’apice qualche anno fa, ma resiste, così come la cultura woke in generale. I sostenitori della libertà di parola hanno raccolto successi recenti nel criticare, se non frenare, il suo regno nei campus americani, alcuni dei quali stanno iniziando a riconoscere le virtù del dissenso e del dibattito. Ma l’ostilità dei “progressisti” verso libertà di parola e al giusto processo per le persone accusate di discriminazione o di cattiva condotta sessuale non sembra essersi fermata. Così come la cultura del sospetto, che in questo caso sembra aver prevalso sul buon senso».
Il #MeToo all’italiana.
Notato niente? Per sanzionare non serve nemmeno la denuncia, basta dire “sono vittima di violenza” e l’accusato è nel tritacarne senza bisogno di incardinare un processo. Di più, “sono vittima di violenza” non va detto al Servizio Sociale, al Centro Anti Violenza o ad un Presidio Ospedaliero, basta un semplice post sui social. Questo in America. Da noi vige la granitica affermazione dell’allegazione di violenza che, nel processo civile, è l’attività attraverso la quale vengono affermati e introdotti in giudizio determinati fatti, al fine di delimitare l’ambito decisorio del giudice. Non solo non c’è bisogno che tali fatti vengano provati, ma non c’è bisogno nemmeno di chiedere che vengano provati in un processo. Lo dico, quindi è vero. E il giudice della causa civile deve tenerne conto. I riflessi sulle cause di separazione e divorzio sono innegabili, il semplice “sono vittima di violenza” comporta impedimenti nei rapporti con i figli e affidamento esclusivo della prole al genitore che si dichiara vittima di violenza.
Si tratta di una dinamica tossica fortemente voluta da alcune senatrici, un paio di esse in particolare, per le quali dire “ho subito violenza” equivale alla sicura colpevolezza dell’accusato. Infatti hanno continuato ad insistere politicamente e mediaticamente sul “compagno violento e padre violento” nonostante i tribunali avessero più volte appurato il contrario. L’influenza di una allegazione nelle decisioni del giudice civile, senza che sia necessario formalizzare una denuncia, costituisce un ottimo stratagemma per aggirare il fastidio dei processi penali che hanno la curiosa attitudine a dover verificare la fondatezza delle accuse. C’è il rischio che il Tribunale penale archivi, prosciolga o assolva l’imputato (accade nell’oltre 90% dei casi), quindi tale rischio va accuratamente evitato. Lo accuso quindi è vero, punto. Questo deve bastare al giudice civile per prendere decisioni penalizzanti per l’accusato. In Italia siamo avanti, il #MeToo made in USA ci fa un baffo. Loro lo usano per accaparrare dollari (mai accusato un nullatenente, solo ricchi paperoni dello sport, della finanza e dello spettacolo). Noi lo usiamo per accaparrare figli.