«Le donne possono essere chiunque vogliano e questo si riflette sulla vita delle bambine di oggi nel mondo reale. Le bambine diventano donne che possono raggiungere qualsiasi obiettivo si mettano in testa», proclama la voce narrante nell’esortazione iniziale del film Barbie. E se le bambine non «raggiungono qualsiasi obiettivo si mettano in testa», questo è per colpa del Patriarcato, ovvia conclusione alla quale si giunge dopo la visione del film. E se le donne non si sentono appagate in vita e non raggiungono gli obiettivi desiderati, questo è per colpa del Patriarcato, ovvia conclusione alla quale si giunge dopo aver aderito all’ideologia femminista. Nella teoria e nella psiche femminista, il maggior ostacolo per raggiungere la piena realizzazione di sé non sono le correnti difficoltà della vita stessa, ma è il Patriarcato. L’esortazione iniziale del film è falsa, e lo è per le bambine e per i bambini. L’esortazione iniziale illude le menti più fragili a credere che raggiungere degli obiettivi sia molto semplice, una volta scansata la discriminazione patriarcale. Non è così. La vita non è semplice, spesso le persone, donne e uomini, non riescono a raggiungere gli obiettivi che si prefiggono, da bambini o da adulti. Senza entrare nel merito sul valore cinematografico del film, ho trovato Barbie diseducativo, già da questo esordio, fino alla sua conclusione.
Il film di Barbie non si discosta di tanti altri film recenti di Disney, che concepiscono l’empowerment femminile come una liberazione dall’uomo, cioè una liberazione dalle catene dell’amore, della famiglia, del rapporto di coppia, insomma del Patriarcato. L’eroina forte, secondo i nuovi disegni della Disney, passa per una donna che fa a meno di un uomo, come nei film Ribelle (The Brave) o Frozen. Alla fine del film, dopo il sermone paternalistico – in realtà maternalistico – di Barbie a Ken, ciò che nel linguaggio tecnico femminista si chiama womansplaining, nel quale Barbie spiega a Ken l’importanza di conoscere se stesso, Barbie abbandona Ken. La separazione tra la donna e l’uomo non viene unicamente attuata, prima viene esplicitata quando Sasha, la figlia della dipendente della Mattel chiede: «Come finisce con Barbie?». Il CEO della Mattel risponde: «Facile, è innamorata di Ken». E allora Sasha si ribella: «ma non è il suo finale!», spalleggiata dalla stessa Barbie: «non sono innamorata di Ken». Nel film, le Barbie non vogliono trascorrere del tempo con gli uomini, le Barbie vogliono trascorrere il tempo fra di loro nelle “serate tra Barbie”, perché l’aspirazione di vita di una bambina non deve essere quella di conoscere un ragazzo, sposarsi e formare una famiglia ma divertirsi ed essere senatrice, presidente, premio nobel… e lottare contro il patriarcato. Nessun spirito di squadra e nessuna collaborazione tra i sessi, ognuno per conto suo, Barbie da un lato, Ken dall’altro. Insomma, “vissero tutti felici e contenti” come in qualsiasi favola, ma separati, senza figli, senza famiglia, senza amore: così finisce il film e questo è il suo messaggio. Risultato, tra gli altri effetti: l’inverno demografico.
Un mondo già costruito.
Il film rende uomini e donne avversari, individui con interessi contrapposti, quindi nemici. Anche in questo il film non fa altro che applicare la teoria femminista, che concepisce il mondo sotto l’unica modalità di vicenti-perdenti. Inoltre, la teoria femminista concepisce gli uomini come esseri pericolosi per le donne. «Quando una donna raggiunge l’orgasmo con un uomo, sta solo collaborando con il sistema patriarcale, erotizzando la propria oppressione», sostiene Sheila Jeffreys. «I rapporti sessuali etero sono la pura, formalizzata espressione di disprezzo per il corpo delle donne», affermava invece Andrea Dworkin. Concepito il rapporto in questo modo, è normale che gli uomini siano tutti da evitare come la peste. È normale che, alla fine del film, le Barbie usino dei metodi sporchi e subdoli per ristabilire la sottomissione dei Ken, e questo nel film è apprezzato come se loro avessero fatto benissimo. La narrazione femminista denuncia la sottomissione femminile da parte degli uomini, e le Barbie ripagano il genere maschile con la stessa moneta; in questo modo viene smentita palesemente l’affermazione della scrittrice Otegha Uwagba: «gli uomini dovrebbero essere contenti che le donne vogliono parità e non vendetta». Il film non educa all’eguaglianza, incita alla vendetta.
Concludo con due ultime riflessioni sul film. A dir di molti, il mondo fantastico delle Barbie vuole essere la rappresentazione ironicamente capovolta del patriarcato: in questo mondo le donne svolgono tutti i lavori di prestigio, sono scienziate, avvocati, giudici, scrittrici, presidenti, dottoresse, premio nobel… mentre gli uomini passano la vita in spiaggia. In questo mondo tutte le mansioni più umili e faticose sono scomparse (uniche eccezioni: le operatrici della nettezza urbana e le operaie edili, che appoggiano le mani sulle trivelle, anche esse comunque vestite sempre al top). Ci si focalizza sul soffitto di cristallo delle professioni remunerative e di leadership, ignorando i settori più rischiosi e usuranti, in cui si verificano gli incidenti sul lavoro, che sono appannaggio maschile. Infatti, non ci sono Barbie disabili, mutilate, minorate, indigenti, cieche… Non ci sono donne che si infortunano sul lavoro, che cadono dalle impalcature o con le dita tagliate dal lavoro di falegnameria. Il mondo delle Barbie, il mondo della sorellanza, è un mondo ideale, non solo non esiste l’invidia, la gelosia, il pettegolezzo, l’odio, la violenza intra femmine, non esistono neanche le malattie, il freddo, il gelo, le epidemie e le pestilenze, i cataclismi, i pericoli della Natura, la scarsità, la fame, ecc., tutti elementi con i quali l’umanità si è dovuta continuamente confrontare, e che fomentano la miseria, le lotte e le guerre. Il mondo delle Barbie, come il mondo femminista, è un mondo già costruito. Come le Barbie, neanche le femministe nei loro scritti si occupano dei processi di scoperta, dei caduti in questi processi o delle condizioni lavorative.
Uomini che se la spassano.
«La creazione, la costruzione, la difesa, la sopravvivenza, non appartengono al mondo della donna né alla narrazione femminista. In questa narrazione, la donna si trova a vivere in un mondo già costruito, già “fatto”: il raccolto è già raccolto, i terreni dissodati, le strade battute, le spezie arrivate dal Lontano Oriente, i ponti innalzati, gli stati costituiti, le case fabbricate, le cattedrali erette, le nazioni difese, le reti idrauliche e i canali di irrigazioni costruiti. I bisogni primari, la fame, la sete, il freddo, le difficoltà fisiche, le condizioni lavorative e i rischi di infortunio e di morte sempre in agguato in molti mestieri, sono per lo più argomenti trascurati, sorvolati, quasi non riguardassero le donne, al riparo in casa, protette dalle inclemenze, dai pericoli e dalla natura selvaggia. Il mondo storico della donna è il mondo problematico delle relazioni (socializzazione) e dei sentimenti…» (tratto dall’opera La grande menzogna del femminismo, a pp. 112-113). Le femministe, come le Barbie, vivono in un mondo già costruito. La loro denuncia contro l’universo maschile viaggia attraverso reti e dispositivi fabbricati principalmente da uomini, la loro mobilità è possibile grazie alle opere principalmente maschili, il loro comfort è garantito dal lavoro principalmente maschile, vivono in case costruite da uomini, usufruiscono di impianti elettrici, di riscaldamento e idraulici progettati e mantenuti principalmente da uomini, ecc. Il paradosso (e la loro ingratitudine) è talmente lampante da non meritare ulteriori commenti. Ma loro, le femministe, sono convinte del contrario. Sentiamo frequentemente messaggi del tipo: “se le donne si fermano si ferma il mondo”, “le donne lavorano diverse ore in più degli uomini”, “le donne non hanno tempo libero”. Anche le Barbie ne sono convinte. Durante il tentativo di cambio della Costituzione da parte degli uomini a Barbieland, le Barbie si ribellano: «Non potete farlo, le Barbie hanno lavorato sodo e hanno sognato molto per rendere tutto questo com’è». «Hanno lavorato sodo», anche se non si vede lavorare sodo a nessuna Barbie, ma «hanno sognato molto». Ecco «lavoro» e «sogni» mescolati e confusi, come se fossero scambiabili e l’uno fosse l’altro.
Lo scambio di ruoli tra i sessi, come intuizione, non è un’idea originale del film Barbie. Su questo tema è molto più interessante un breve video francese realizzato da Alice Guy-Blaché, prima donna della storia a dirigere un film e realizzatrice del primo film fiction della storia del cinema, La Fée aux choux, oltre ad essere la prima donna a fondare uno studio cinematografico nel 1910. La vita e le opere di Alice Guy-Blaché, smentiscono, un’ulteriore volta, semmai fosse stato necessario, la narrazione del film Barbie (“le donne non potevano essere…”) e la narrazione storica femminista. Comunque, nel 1906 Alice Guy-Blaché realizza Les Résultats du féminisme (il video dura sette minuti e consiglio la visione). Gli uomini si comportano come donne, effeminati si decorano i capelli con fiori, fanno i lavori domestici, stirano, cuciono… Le donne si comportano come uomini, mascolinizzati vanno al bar, bevono, fumano e seducono gli uomini. Alla fine gli uomini si ribellano e, al contrario di quello che succede nel film Barbie, tutto rientra nell’ordine. Come succede nel film Barbie, Les Résultats du féminisme è molto ambiguo e non si capisce bene si pretende essere una satira del femminismo o una denuncia del presunto Patriarcato. Ma una cosa è certa – e per quello lo ritengo un filmato femminista –, nello scambio di ruoli gli uomini lavorano, come fanno nella realtà le donne, mentre le donne trascorrono le giornate al bar a bere, fumare e rincorrere gli uomini, come se gli uomini facessero solo quello dalla mattina alla sera. Nello scambio di ruoli non ci sono donne lavorando sodo, infortunate sul lavoro, che cadono dalle impalcature o resi sordi dal martello pneumatico, come dovrebbe essere nella realtà. Nella mente di queste donne gli uomini, da privilegiati, trascorriamo le giornate a divertirci e a non fare niente, sulla spiaggia nel film di Barbie o al bar nel film francese. Mai a lavorare. Il mondo è già costruito, «lavoro» e «sogni» mescolati e confusi.
Ken è superfluo.
La seconda riflessione è più elementare. Nel film, Barbie cade dal tetto di casa sua ma non si fa niente. Ecco tutti i colpi e le cadute rovinose che subiscono le donne. Per quanto riguarda gli uomini, Ken si schianta cercando di fare surfing sull’onda; Barbie dà un pugno al ragazzo che le aveva dato un pacca sul sedere e lo stende per terra; durante la persecuzione di Barbie, il CEO di Mattel piomba da una parete e altri uomini cadono rovinosamente; durante il tentativo di fuga da Barbieland, Allan picchia con molta violenza gli operai che stanno lavorando alla costruzione di un muro e strangola uno di loro; durante la guerra dei Ken gli uomini si picchiano, si pestano, cadono per terra… ; verso la fine del film, Ken si dà a se stesso uno schiaffo talmente forte da buttarlo per terra. Senza entrare nel merito se sia la realtà a determinare l’iconografia, la raffigurazione e il linguaggio o, al contrario, l’iconografia, la raffigurazione e il linguaggio a condizionare la realtà, una delle denunce della teoria femminista è la violenza simbolica: la raffigurazione maschilista reifica – riduce a oggetto – le donne e condiziona la realtà. Sul fatto che i destinatari prediletti della violenza e dei colpi e cadute rovinose nella cinematografia universale (nelle commedie e nei film drammatici, indistintamente) siano uomini… silenzio. E non importa, a quanto pare, se si tratta di film “patriarcali” o film femministi. Nelle commedie, colpire, infortunare e far cadere rovinosamente un uomo fa ridere, farlo su una donna non fa ridere affatto. E questo nei film femministi, come Barbie, non cambia. Come tutti, anche le femministe ridono dalla sofferenza fisica simbolica degli uomini. Nessuna parità richiesta su questo aspetto. Nessuna riflessione (di nessuna critica scritta sul film!) sul perché di questa asimmetria. Il motivo? Su questo punto, di nuovo, il film è molto illuminante. Il CEO di Mattel lo spiega chiaro e tondo: «Ken non ha mai destato preoccupazioni». A nessuno interessa il benessere degli uomini, e men che meno alle femministe. A parole di Barbie, che vorrebbe raffigurare le femministe nel film: «Ken è totalmente superfluo».