«Barbie fa la predica, odia gli uomini ed è una bugia da zombie», dichiara Bill Maher, noto comico e conduttore televisivo americano. Nel merito di cosa intenda con «bugia da zombie», sostiene che è «qualcosa che non è mai stato vero, ma certe persone non smettono di dirlo (come il fatto che tassare i ricchi aumenti gli introiti) o qualcosa che ERA vero e non lo è più, ma alcuni pretendono che lo sia ancora». E continua, «nessuno di noi può sapere cosa succede nelle vite degli altri, ma posso guardarmi intorno e vedere i fatti: nel Paese il 45% dei 449 posti nei consigli di amministrazione considerate da Fortune l’anno scorso [2022] erano donne». Secondo lui una volta c’era il patriarcato e ne sono rimasti alcuni frammenti, ma «questo film è molto anni 2000». In pratica, l’azienda Mattel, come la maggior parte delle multinazionali, con questo film non avrebbe fatto altro che cavalcare l’onda della moda ideologica del momento, il femminismo, per guadagnare dei soldi. Per questo motivo, cavalcando quest’onda, nel 2022 Mattel ha prodotto e messo in vendita «la Barbie femminista che lotta contro il razzismo». Il film Barbie non raffigura la realtà, una costatazione di Bill Maher sulla quale in molti siamo d’accordo. Ma la sua dichiarazione è molto interessante per un altro motivo. Molti di quelli che criticano aspramente il femminismo e rifiutano attualmente l’esistenza di un Patriarcato, concedono alla teoria femminista la credibilità dell’esistenza del Patriarcato storico – così come viene descritto dalle storiche femministe –, anche se la società occidentale l’avrebbe già smantellato da qualche decennio e non esisterebbe più. Questa, a quanto pare, è l’opinione di Bill Maher.
La posizione di Bill Maher e di tanti altri critici del femminismo moderno che accettano l’esistenza del Patriarcato storico è problematica, l’ho già affrontata in un’altra occasione: «la posizione “conciliante” crea più problemi logici di quelli che risolve, e ci avvicina pericolosamente alla stessa ideologia femminista previamente sconfessata. Primo, avalla la narrazione femminista, almeno fino ad un certo punto della storia dell’umanità. Se il femminismo della prima ondata era nel giusto e le istanze erano corrette, allora è legittimata l’esistenza storica di un sistema sociale denominato patriarcato che avrebbe oppresso per secoli le donne a vantaggio degli uomini, appunto fino ai primi del Novecento, quando le lotte femministe riescono a modificare questo sistema. Il femminismo aveva dunque ragione. Secondo, il rovescio della medaglia, se la narrazione dell’oppressione delle donne era giusta, i privilegiati non possono essere nel contempo vittime, dunque prima del Novecento non esistono le vittime maschili né la sofferenza maschile causata dalle donne». L’ideologia femminista proclama una narrazione identica per i tempi attuali e per tutta la Storia dell’umanità: donne discriminate/oppresse, uomini privilegiati/oppressori. Per smentire la narrazione attuale, come sostiene Bill Maher, «basta guardarsi intorno», basta uscire per strada e contare i senzatetto divisi per sesso. Come ho scritto nell’intervento precedente, il mero successo e la mera esistenza di Greta Gerwig, regista multimiliardaria del film, una donna, smentisce l’idea che sorregge il film di Barbie e la narrazione attuale femminista. La nostra esperienza personale la smentisce.
Davvero è esistito “il patriarcato”?
Sulla narrazione storica la questione è più complessa, nessuno può vantare l’esperienza personale, non esiste alcun riscontro diretto. Quindi deduciamo una narrazione, che denominiamo Storia, dalle fonti storiche, dalla logica e dalla trasposizione dei comportamenti attuali degli esseri umani ai nostri antenati. La prima cosa che mi viene da dire a coloro che rifiutano la narrazione attuale, ma sostengono la veridicità di quella storica, è: se la narrazione attuale non raffigura la realtà, se le femministe hanno una visione distorta o ci stanno mentendo “spudoratamente” (mi si permetta di adoperare il termine “spudoratamente”, mi sembra che la falsità della visione femminista sia alquanto evidente), per quale motivo non doverebbero avere la stessa visione distorta o mentirci sulla “realtà storica”? Per quale motivo dovremmo concedere credibilità alle stesse persone che sbagliano così palesemente quando descrivono la realtà attuale? Dovrebbe nascere spontaneo a chiunque contesti la narrazione attuale femminista il sospetto che la loro narrazione storica possa essere inquinata dalla stessa parzialità e dalla stessa tendenziosità che inquina quella attuale. Già la scelta del nome, Patriarcato, che non si nasconde dietro un finto buonismo e assegna apertamente le colpe agli uomini per un sistema che l’ideologia femminista legge solo in maniera negativa e conflittuale, dovrebbe fungere come campanello d’allarme e dovrebbe bastare a squalificare la stessa ideologia e la narrazione storica che ne deriva.
La narrazione storica femminista si presenta come universale e atemporale, indifferente ai numerosi esempi storici che la smentiscono, anche se in realtà basta uno solo per far tremare una narrazione che si presenta così granitica. Valga dunque questo semplice esempio, a proposito dell’impero azteco e dei sacrifici umani: «quando nasceva un bambino la nutrice gli cantava inni di guerra, augurandogli che un giorno avesse il privilegio di morire colpito da un coltello di ossidiana sugli altari degli dèi. Ogni anno centinaia di vittime versavano il loro sangue per nutrire il Sole e il dio della Guerra Huitzilopochtli e per procurare un numero sufficiente di prigionieri vivi veniva organizzata la Guerra di Fiori, un combattimento rituale». Come si sposa questo condizionamento delle nutrici azteche, che ha deciso la sorte di milioni di uomini, con una narrazione che sancisce l’irresponsabilità di tutte le donne nella creazione di un sistema perverso, costruito dagli uomini, denominato Patriarcato? Qual è la gerarchia, secondo Bill Maher e gli altri sostenitori del Patriarcato storico, tra chi ha il potere di condizionare i bambini cantando inni di guerra e vive una lunga vita, e chi gode del «privilegio di morire» in gioventù, come auspicato dalle nutrici? La realtà storica è sommamente complessa, l’interazione tra i sessi è costante, responsabilità, sofferenze, colpe e meriti vengono continuamente scambiati e condivisi. La narrazione storica femminista, che assegna in esclusiva i privilegi e le colpe a un sesso e l’innocenza, l’irresponsabilità e la sofferenza all’altro, è talmente sempliciotta da sembrare persino infantile.
La penitenza imposta.
Nel profondo, non ci credono neanche le femministe, che non riescono a evitare di cadere continuamente in contraddizione. Mi servo di un altro film, un altro successo al botteghino, Aquaman, interpretato nel reparto femminile da Amber Heard e Nicole Kidman, due star di Hollywood, naturalmente autodichiarate femministe, per far vedere in maniera semplice come le donne “costruiscono” il Patriarcato. Per ricuperare il tridente del re degli oceani, il protagonista, Jason Momoa, deve combattere contro un mitico leviatano, un mostro marino gigante che fa da guardiano al tridente. Ha paura. La madre (Nicole Kidman) e la fidanzata (Amber Heard) lo incoraggiano con queste parole: «– Atlantide ha sempre avuto un re, ora c’è bisogno di qualcosa di più. – Cosa c’è di più grande di un re? – Un eroe! Un re combatte per la propria nazione, tu… devi combattere per tutti». Le femministe Amber Heard e Nicole Kidman, senza alcun imbarazzo e malgrado le proprie idee, non decidono di combattere loro stesse il mostro ma mandano l’uomo. L’uomo, a rischio della propria vita, deve combattere e sacrificarsi per tutti, comprese le donne. Il Patriarcato ha sempre avuto bisogno di eroi, di uomini che combattessero il mostro marino, il Minotauro o la centrale nucleare di Fukushima. Eroi, uomini, spronati dalle donne. Ecco un comportamento universale femminile che la narrazione storica femminista ha misteriosamente sorvolato.
Concludo con un’ultima riflessione. Gli aztechi vivevano convinti che senza sacrifici umani il sole non sarebbe sorto. Come gli aztechi, tutti i credenti di tutte le religioni credevano di vivere immersi in un sistema sociale e in una realtà evidente. Un’illusione, in quanto tutte le religioni sono in perfetta contraddizione tra di loro e soltanto una, semmai, può essere vera. È possibile che milioni di donne si sbaglino e, condizionate socialmente, siano convinte di vivere all’interno di una realtà patriarcale che non esiste? Naturalmente, le religioni sono la prova. La maggior parte delle donne occidentali oggigiorno è convinta di vivere oppressa in un Patriarcato come la maggior parte dei tedeschi durante gli anni ’30 era convinta dell’esistenza del complotto giudaico-massonico. Barbie è il suo «mondo reale» patriarcale è tanto evidente per le prime come lo era per i secondi Süss l’ebreo. «Gli uomini dovrebbero essere contenti che le donne vogliono parità e non vendetta», afferma la scrittrice Otegha Uwagba. «Dopo secoli di soprusi, violenze e marginalizzazione, le donne hanno infatti scelto la strada della nonviolenza per raggiungere una società più equa, anziché ripagare il genere maschile con la stessa moneta». Gli uomini portiamo un fardello di irreparabili colpe presenti e passate; in base a questo fardello sarebbe d’obbligo recitare un mea culpa maschile eterno. La maggior parte delle donne occidentali ne è convinta… e noi uomini, sottoposti al loro giudizio, dovremmo ringraziarle della loro generosità, perché la nostra penitenza, da loro imposta, non diventi onerosa tanto quanto le nostre colpe.