I professionisti dell’informazione… Torna di attualità la vicenda di Brescia, col cittadino bengalese accusato dalla ex moglie di maltrattamenti in famiglia. Nel mese di agosto la vicenda aveva suscitato aspre polemiche poiché il PM aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato con tale motivazione: “i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”. I social, la stampa e la politica si sono scatenati in un diluvio di indignazione e proteste.
Oggi arriva la sentenza di assoluzione, ma per motivi che nulla hanno a che vedere con i retaggi culturali bengalesi. Scrive infatti la pubblica accusa: “Il PM, esaminati gli atti, rivaluta la precedente richiesta e la riformula chiedendo l’assoluzione perché il fatto non sussiste perché il reato di maltrattamenti contestato difetta del requisito dell’abitualità”. Il codice penale – il nostro, non quello bengalese – prevede che il reato di maltrattamenti si configuri laddove il comportamento denunciato sia sistematico, prolungato nel tempo, abituale. Nel caso di specie tali requisiti mancano, quindi perfino per la stessa accusa il reato non si configura. Il giudice concorda con tale motivazione tecnica ed assolve l’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Pochezza o malafede?
In sintesi: il tizio non è stato assolto perché straniero con un retroterra culturale diverso dal nostro, ma perché la moglie ha denunciato un reato che in realtà non è avvenuto per come lo prevede il nostro codice. Qui si sdoppia la strada dei professionisti dell’informazione. Le testate locali, informate sui fatti, riportano fedelmente i motivi dell’assoluzione e l’esatta dicitura utilizzata dal PM ed approvata dal Tribunale. Poi c’è qualche nostalgico che, travisando i fatti, (non le opinioni, I FATTI) insiste sulla teoria che l’imputato sia stato assolto per “motivi culturali”, e lo mette anche tra virgolette lasciando credere che sia la motivazione testuale contenuta in sentenza. È falso.
Si tratta di un fatto grave in quanto la bufala è targata AGI, Agenzia Giornalistica Italiana; non sarà l’ANSA, comunque è un’agenzia giornalistica alla quale sono abbonate decine e decine di testate minori che ne riprendono i lanci. Prova ne sia che le testate più attente (quibrescia.it, bresciaoggi.it, giornaledibrescia.it, tiscalinews.it e tante altre) riportano i fatti come realmente si sono svolti, mentre metronews.it cade nell’errore di appiattirsi sulla bufala di agenzia e ne replica l’errore. Le meraviglie dell’informazione in mano ai “professionisti”. Non è chiaro se si tratti di un errore in buona fede per la maldestra incapacità di riportare le notizie come sono realmente, oppure di una distorsione volontaria della realtà per il gusto di sguazzare nella polemica. Ognuno è perfettamente in grado di farsi la propria idea in merito.