Tra gli attivisti del movimento maschile è ormai chiara e ben distinta la percezione che quella tra i sessi è una guerra combattuta nei suoi fondamenti e fin dall’origine sul piano psicologico, in cui la formula giornalistica “guerra dei sessi” è – ovviamente –un depistaggio eufemistico che ne dissimula e maschera la natura e gli scopi: conflitto antimaschile e antipaterno. Si tratta di una guerra psichica condotta nella dimensione immateriale dell’etica attraverso la modificazione mirata dei valori sociali e perciò dei sentimenti collettivi che di quei valori stanno alla base. Alla radice delle valutazioni morali infatti ci sono i sentimenti, perciò per modificare quelle bisogna plasmare questi. Lo scopo di tale modificazione consiste nella sottomissione della psiche degli uomini alla volontà, ossia ai desiderata della donna bianca occidentale della classe agiata (di cui il femminismo è espressione ideologica).
Tale sottomissione si ottiene con la trasformazione del genere maschile in una massa debitrice attraverso la costruzione artificiale di una colpa irredimibile (sinonimo etico di debito insolvibile) sulla cui base esercitare senza scrupoli lo strozzinaggio universale a danno degli uomini. Illimitato nelle applicazioni, esteso a tutti gli aspetti della relazione, a tutti gli ambiti della vita individuale, famigliare, collettiva. Ciò si ottiene attraverso la criminalizzazione dell’intero Genere operata estendendo alla massa le responsabilità e le colpe di una microscopica minoranza di uomini e con la rilettura di tutta la storia (e della cronaca) come romanzo criminale maschile di cui tutti devono rispondere accettando di salire – finalmente – sul banco degli imputati. Nel mio “Questa metà della Terra” ho denotato tale racconto come Grande Narrazione femminista, mentre il titolo del trattato di Santiago Gascó Altaba parla di Grande Menzogna. Formule sostituibili da questa: la Grande Manipolazione, giacché il processo di colpevolizzazione non è altro che questo: manipolazione pura.
Non è mera teoria.
Si sa che colpevolizzare apertamente non è una bella cosa, anzi è controproducente perché ci si tradisce come manipolatori. Si tratta perciò di un processo che va praticato e al tempo stesso occultato. Al crescere della potenza e della tracotanza però si allentano i freni inibitori e qualcosa talvolta trapela. Così accade di leggere che gli uomini vanno tutti “rieducati” (prospettiva che rimanda ai campi di lavoro staliniano-maoisti), o che “tutti gli uomini devono farsi carico…”, o che la questione della violenza maschile riguarda tutti, nessuno escluso.
Nessuno escluso dalla responsabilità, dalla colpa e quindi dal debito. Questo processo manipolatorio, in sintesi il pestaggio morale antimaschile, è l’asse portante del femminismo da sempre o ovunque. Già all’inizio degli anni ‘90, alcune antifemministe USA fondarono una associazione denominata Womb. Utero, si capisce, ma anche acronimo di Women Opposing Male Bashing. Donne che percepirono allora quel che ancor oggi la massa degli uomini non vuol vedere, cui assistono in silenzio o addirittura sostengono: il pestaggio morale del proprio Genere. (Esistettero davvero donne sensibili e accoglienti, il cui utero era luogo di pace e sicurezza, di calore e benessere. Ai tempi del patriarcato). Ora, se i rapporti etico-psicologici non diventassero materia, carne e sangue, drammi e tragedie, vita e morte, potremmo assistervi dal divano, con i nostri pop-corn. Ma non possiamo. No, non possiamo.