Oltre un mese è passato dalla premiazione della nazionale femminile di calcio spagnola, vincitrice del titolo mondiale, evento in cui Luis Rubiales, ex-presidente della RFEF e ex-vice presidente della UEFA, ha strappato un bacio alla calciatrice Jennifer Hermoso. Quello che era sembrato inizialmente un gesto reciproco e spontaneo in un momento di euforia, si è trasformato in breve tempo in un vero e proprio “bacio della morte”, con la denuncia di “violenza sessuale” da parte della calciatrice arrivata due settimane dopo, e le conseguenti dimissioni di Rubiales da ogni incarico. Abbiamo raccontato la cascata dei fatti di quelle settimane, ma persiste l’impressione che la reazione delle più alte istituzioni sportive e politiche, e dei media in tutto il mondo, sia stata spropositata, di fatto caricando la vicenda di un peso che non meritava (e che infatti in casi analoghi non viene attribuito). Non è nostra intenzione esprimerci sulla rilevanza giuridica dei fatti, che ormai dovrà essere accertata dalla magistratura, ma bensì suggerire degli indizi e delle piste per risolvere l’enigma, allargando lo sguardo a un contesto più ampio.
Scopriamo così una vicenda torbida, in cui Rubiales si è trovato suo malgrado a fare da utile capro espiatorio per un conflitto di poteri più grande di lui, e che ci coinvolge tutti. La prima pista ci riporta all’8 marzo 2022, giorno in cui viene presentata dalla Commissione europea, presieduta da Ursula von der Leyen, una “Proposta di direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”. Ricordiamo che la Commissione europea non è sottoposta al voto popolare, e che ha ruolo di esecutivo per l’UE ma anche di iniziativa legislativa, quindi può proporre norme che avranno poi un effetto vincolante per i legislatori dei singoli Stati membri. Non analizzeremo qui il dettaglio della “Proposta” (l’avevamo già fatto qui), ma ci limitiamo a sottolineare due aspetti chiave. Il primo è che come al solito degli uomini vittime di violenza, in Commissione europea, non frega niente a nessuno: «Scopo della presente proposta è combattere efficacemente la violenza contro le donne e la violenza domestica in tutta l’UE». La “violenza contro le donne” che si vuole contrastare è definita non solo tirando fuori la formula vincente della donna vittima “in-quanto-donna”, ma anche in un modo talmente ampio da comprendere non solo atti effettivi, ma anche potenziali, qualsiasi cosa voglia dire: «Per violenza contro le donne si intende una violenza perpetrata nei confronti di una donna in quanto tale o che colpisce per antonomasia le donne. Comprende tutti gli atti di violenza di genere che provocano o potrebbero provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche o economiche, compresa la semplice minaccia di metterli in pratica» (corsivo nostro, qui e in seguito).
L’inversione della prova.
“Potrebbero”, dunque… Forse i tribunali dovranno dotarsi di indovini e profeti, capaci di individuare quegli atti capaci di portare sofferenze ad esempio psicologiche a una donna, prima che ciò effettivamente accada. E anzi, visto il Capo 5 interamente dedicato alle “Misure preventive”, tra cui «campagne di sensibilizzazione e programmi di ricerca ed educativi», forse ci saranno professionisti appositamente formati per istruire e sensibilizzare le donne in merito a ciò che “potrebbe” provocare loro sofferenza psicologica. Anche la violenza domestica è definita in termini che non lasciano dubbi su quale categoria di persone si voglia andare a tutelare: «Per violenza domestica si intende una forma di violenza perpetrata contro le donne in quanto le colpisce oltremisura».
Il secondo aspetto chiave che sottolineiamo è direttamente legato alla vicenda che stiamo analizzando: tra le misure che in concreto vengono proposte troviamo «misure miranti a configurare reato determinate forme di violenza che colpiscono oltremisura le donne, la definizione del reato di stupro per assenza di consenso (in alcuni Stati membri la condizione necessaria per configurarlo reato è l’uso della forza o delle minacce)». Attenzione: la Commissione europea sta di fatto spingendo perché in tutti gli Stati europei il reato di stupro venga ridefinito, non più in termini dell’uso della forza o del ricatto per estorcere un atto sessuale (appunto, con la violenza), ma bensì nei termini dell’assenza di consenso esplicito. Traduciamo ancora meglio: si spinge affinché il reato di stupro non comporti più l’uso della violenza, ma si configuri come tale l’atto sessuale in cui una delle due parti (cioè, ovviamente, l’uomo…) non sia in grado di produrre una prova positiva del consenso dell’altra parte.
L’involontaria amnistia.
Ora facciamo un salto di qualche mese e andiamo in Spagna, paese che da tempo rappresenta l’avanguardia dell’avanzata del potere femminista in Europa. Il 25 agosto 2022 la Cortes Generales, dopo un lungo iter parlamentare, approvava definitivamente la legge “Solo sì ès sì”, detta anche “ley Montero” perché fortemente voluta dal Ministro de Igualdad Irene Montero sull’onda dell’indignazione pubblica suscitata dal caso de “la Manada”. Non potendo analizzare la legge nel dettaglio, ci limiteremo a mostrare alcuni elementi chiave: anzitutto il reato di molestia sessuale (abuso sexual) e quello di violenza sessuale (agresión sexual), prima distinti nella legislazione spagnola, vengono di fatto accorpati nell’ultima fattispecie, col risultato che qualsiasi interazione di natura sessuale, se riconosciuta come “violenza”, può portare una condanna a diversi anni di galera. Secondo elemento, quello fondamentale: perché si configuri tale reato di violenza sessuale non è più richiesta la presenza di un agito attivo di violenza o intimidazione da parte del perpetratore. Sarà sufficiente l’assenza di consenso, dove consenso è così definito nella legge: «Si può intendere che ci sia stato consenso solo laddove esso sia stato liberamente manifestato attraverso atti che, secondo le circostanze contingenti del caso, abbiano espresso chiaramente la volontà della persona».
Sentiamo la stessa Irene Montero tradurre in parole semplici cosa questo significhi in una conferenza stampa rilasciata poco dopo l’approvazione della legge: «Nessuna donna dovrà mai più dimostrare che si sia agita violenza o intimidazione in un caso di stupro, perché sia considerato stupro. Da ora in poi qualsiasi aggressione sarà considerata violenza sessuale». La legge contiene molte altre cose che mirano a rafforzare il potere in mano alle lobby femministe (tra cui il rafforzamento delle reti di antiviolenza spagnole, il riconoscimento di generosi sussidi statali alle vittime, l’introduzione dell’educazione sessuale come materia obbligatoria dalla scuola primaria all’università), ma il terzo elemento che qui dobbiamo sottolineare è la riduzione della pena minima da 8 a 6 anni. Mossa legata all’accorpamento della “molestia” nell’unico calderone della “violenza” ma che, combinata con la retroattività della legge, ha portato già nei primissimi tempi di applicazione a una sorta di “amnistia”, con una riduzione della pena per centinaia di colpevoli di reati sessuali, e la scarcerazione immediata per altre centinaia.
La costruzione del “mostro”.
Un vero e proprio pasticcio, che ha causato nei mesi seguenti una fortissima crisi, anche interna, per Irene Montero e per il governo in carica (la spiegazione alternativa fornita dalla Montero, che cioè il sistema giudiziario spagnolo avrebbe “applicato male” la legge perché costituito di “giudici maschilisti”, non ha convinto molti). Da tutto il mondo civile arrivano critiche alla legge, e le richieste di dimissioni cadono a pioggia: sia da destra, che da sinistra, che dall’interno dello stesso partito della Montero e perfino da alcune associazioni femministe. Una pezza viene messa lo scorso aprile, quando i socialisti del premier Pedro Sanchez, alleati di Podémos nella coalizione di governo, approvano («col sostegno dell’opposizione» frigna stizzita la Montero) una correzione alla legge, con tante scuse da parte di Sanchez. «Oggi è un giorno triste, sicuramente il più difficile della mia esperienza come ministro finora. Questo non è un miglioramento, è un passo indietro per i diritti delle donne». Ma la mossa non è sufficiente a sanare la crisi, perché si susseguono casi di violenze sessuali perpetrate da criminali rilasciati a causa della legge. Serve qualcosa di eclatante, un fatto che possa scuotere l’opinione pubblica mondiale, in modo da rafforzare di nuovo non solo Irene Montero e il governo di cui fa parte, ma con loro anche la posizione ideologica che rappresentano e il gruppo di potere che la sta promuovendo.
Ed è proprio qui che entra in scena il provvidenziale bacio di Rubiales. Come sappiamo, praticamente nel giro di una manciata di minuti dalla scena inquadrata alla premiazione, il Ministro de Igualdad si prende la briga di postare su X la condanna che ha fatto il giro dei social e delle testate di tutto il mondo. E nei giorni seguenti, da un’iniziale lettura leggera e gioiosa del fatto – testimoniata sia da documenti video del viaggio di rientro della squadra (in seguito diffusi dal giornalista freelance Alvise Pérez), sia attraverso una dichiarazione ufficiale rilasciata tramite la sua federazione –, anche Jenni Hermoso è passata a bollare l’atto come non consensuale e sessista, e infine ha sporto denuncia di violenza sessuale, che come abbiamo visto può comportare una condanna a diversi anni di galera. La mossa sembra aver funzionato: sotto la spinta del furbo hashtag #seacabò, l’opinione pubblica e tutto il mondo dello sport, della politica e delle istituzioni si sono stretti intorno alla “vittima” e uniti nel coro di condanna del “mostro” Rubiales.
Il delirio della Montero.
Non sembra un caso che lo scorso 13 settembre la von der Leyen sia tornata a far pressione sulla questione: nel “Discorso sullo stato dell’Unione” agli europarlamentari, dopo un imbarazzante richiamo all’ormai dovunque sbufalato “divario salariale” («Abbiamo sancito il principio basilare secondo cui allo stesso lavoro deve corrispondere la stessa retribuzione. Non c’è nessun motivo per cui, a parità di mansioni, una donna debba guadagnare meno di un uomo»), ha incalzato gli Stati membri ad applicare il principio fondante della “Proposta di direttiva”: «So che questo Parlamento sostiene la proposta della Commissione sulla lotta alla violenza contro le donne, e a questo proposito vorrei che il diritto dell’UE sancisse un altro principio fondamentale: un “no” è un “no”. Senza libertà dalla violenza non può esserci vera parità». Epilogo. Lo scorso 16 settembre all’evento “Con vosotras Podémos” a Madrid una gongolante Montero ha potuto addirittura elevare il femminismo a principio fondamentale delle democrazie occidentali: «Il femminismo è il motore della nostra democrazia. Sempre più uomini non vogliono assomigliare a Rubiales, e sempre più uomini sostengono il cammino del femminismo verso la parità. Per questo credo che il femminismo debba continuare a essere il motore del nostro governo e della nostra società. E credo che il nostro compito sia rendere la trasformazione femminista sempre più profonda, contro ogni opposizione maschilista».