Abbiamo visto in più occasioni (ad esempio qui e qui) come la propaganda femminista sia riuscita a terrorizzare intere generazioni di giovani donne giocando sui numeri per manipolare la percezione del fenomeno della “violenza di genere” nel grande pubblico. L’utente medio tipicamente si fermerà allo spot o al titolone che sostanzia la campagna dando per assodato il dato che viene propagandato, senza andare a scavare sui metodi truffaldini con cui quei numeri sono stati estrapolati forzando e distorcendo la realtà. Il più recente esempio di questo vero e proprio terrorismo femminista, una campagna canadese contro la “violenza sulle donne”, supera ogni caso passato per spudoratezza e malafede. La campagna in questione, costruita dall’associazione femminista YWCA Metro Vancouver, si chiama “La mia storia di trauma cerebrale”, My concussion story e sfoggia il patrocinio del Ministero della Giustizia del Canada. Volto della campagna è l’ex campione di hockey canadese Trevor Linden. In un articolo della CBC, l’ex-atleta afferma di essere rimasto «scioccato» nello scoprire il dato-chiave diffuso dalla campagna, ossia che per «ogni trauma cerebrale subìta da un atleta della National Hockey League, 7.000 donne canadesi ne sono vittime nell’ambito di violenze subìte dal proprio partner». Chiunque rimarrebbe scioccato da un simile dato. Peccato però che sia patentemente falso.
La CBC riassume così i tre dati evidenziati in grandi riquadri rosa nel sito della campagna, subito sotto la faccia preoccupata di Linden: «Circa quattro donne e ragazze su 10 in Canada subiscono violenze dal proprio partner, secondo un report del 2021 dell’Ufficio Statistico del Canada: significa circa 290.000 casi ogni anno. Il 92% di esse subirà una lesione cerebrale traumatica a causa dei colpi ricevuti o per strangolamento». A leggere questa sintesi perfino un lettore attento potrebbe avere la percezione che circa tre donne ogni dieci in Canada (il 92% della porzione costituita da quattro donne su dieci) subiscano traumi cerebrali nell’ambito della violenza subìta dal proprio partner. Un utente più distratto potrebbe prendere letteralmente quanto scritto su uno dei riquadri rosa sul sito della campagna, ossia che «92% è la percentuale di donne, ragazze e persone di genere non conforme è vittima di traumi cerebrali causati dalla violenza di un partner», e concludere che diciassette milioni di femmine canadesi (!!) siano in ospedale per trauma cranico causato dall’uomo violento. È complicato razionalizzare quando ci si trova davanti queste campagne martellanti, graficamente ben studiate per colpire. Anche solo a un esame superficiale appaiono affermazioni difficili da credersi, ma se non ci si riflette, l’impatto di un dato del genere può essere devastante, specie per le ragazze più giovani, nelle quali incappare in un messaggio di questo tipo può generare un reale terrore per le relazioni con gli uomini. Ma come si arriva a una menzogna simile? Analizzando il report e le altre fonti di queste straordinarie affermazioni, incontriamo i soliti trucchi già notati in campagne simili, ma anche alcune (relative) sorprese.
Il trucco della “percezione”.
Anzitutto il report dell’Ufficio Statistico del Canada cui la campagna fa riferimento basa i numeri che diffonde su un sondaggio (i nostri lettori più attenti avranno già drizzato le antenne) condotto nel 2018, con soldi pubblici ovviamente, in parte via web, in parte per telefono. Il campione è randomizzato, si tratta di quasi 46.000 soggetti dai 15 anni in su, ma sul totale solo il 43% ha effettivamente fornito le risposte al sondaggio. È noto a chi sa di statistica che una percentuale di risposta sotto il 60% va a invalidare l’intero risultato dell’indagine, o quantomeno è un segnale di forte sospetto sui risultati ottenuti, perché le risposte rifletteranno solo le percezioni e le esperienze di un sottoinsieme del campione, quello più motivato rispetto alla tematica analizzata. Come abbiamo già visto in passato è lo stesso meccanismo in atto quando si parla di sondaggi proposti o promossi da siti e associazioni femministe o di attivisti GLBT: il campione raggiunto sarà necessariamente, in larga parte, schierato e volenteroso di far risaltare una certa percezione del fenomeno a scapito della realtà. Ma andiamo avanti.
La prima sorpresa è che il campione non era composto di sole donne, e tra gli uomini che hanno risposto al sondaggio, si è trovata una percentuale simile di esperienze di violenza domestica, il 44% delle donne e il 36% degli uomini rispondenti: un dato quasi pionieristico, visto che di solito studi di questo tipo, specie se finanziati dalle istituzioni, non si occupano minimamente di sentire gli uomini. La differenza tra i due dati non è enorme: ma è ovvio che se nel diffonderli si dice che «più di quattro donne su dieci subiscono violenza dal proprio partner», e soprattutto se si omette completamente il dato maschile, ne viene fuori la percezione di una vera e propria oppressione di un sesso a scapito dell’altro. Analizzando che cosa veniva effettivamente chiesto – cosa si intendesse in questo sondaggio per “violenza” – troviamo però la solita definizione che comprende qualsiasi cosa, da una innocua battuta sessista fino al pestaggio a sangue. Una distinzione che però non viene evidenziata nei numeri che vengono pubblicizzati. Il report chiarisce che sono state misurate le percezioni relative a tre tipi di violenza, “psicologica”, “fisica” e “sessuale”. La prima comprende cose come «gelosia, nomignoli offensivi, svalutare il partner, fare commenti negativi su una propria performance sessuale passata o recente, fare domande circa la propria posizione, cercare di mettere i familiari del proprio partner contro di lui/lei, comportamenti manipolatori o persecutori, danni alle proprietà del partner». Da sottolineare che non viene definito cosa si può considerare “svalutante”, “geloso”, “manipolatorio” o “persecutorio” e tutto il resto, per cui nei casi di chi ha risposto di aver subito simili comportamenti, ciò che conta è la percezione personale che sia andata così, e non un qualche tipo di dato oggettivo. La seconda comprende non solo la violenza fisica come spinte, colpi, strangolamenti ma anche le sole minacce («minacciare di tirare qualcosa», «minacciare di usare un’arma»), tirare un oggetto (ricordiamo qui il caso di un uomo finito in carcere per aver lanciato un biscotto alla propria partner), minacciare una persona cara (“se la tua amica continua così una di queste volte la strangolo!” = violenza fisica). La terza comprende far commettere al partner pratiche sgradite (non si parla qui di imposizioni) e forzare/tentare di forzare al rapporto sessuale. Come per la prima anche per queste altre due categorie di “violenza” ciò che è misurato dalle domande del sondaggio è unicamente la percezione personale dell’esperienza e non sono stati chiesti dati oggettivi a conferma (come ad esempio cartelle cliniche, referti di ricoveri o cose del genere). Da sottolineare anche che per nessuna delle categorie era presente alcun indicatore relativo all’intensità o gravità, anche solo percepita, delle “violenze” subìte.
Il colpevole è l’uomo etero-cis.
Non sorprende che le “violenze” dichiarate in maggior numero dai rispondenti siano: essere sminuiti o appellati con nomignoli; essere impediti nel parlare con altre persone; essere chiamati pazzi, o stupidi, o inadeguati; e domande circa la propria posizione (“sono le nove e ancora non sei tornata a casa amore, dove sei?” = violenza). Tuttavia, ovviamente, questa porzione di risposte è finita per intero nella statistica finale per cui: «più di quattro donne su dieci subiscono violenza dal proprio partner». Interessante notare che mentre il “gap” tra vittime maschili e femminili è ampio per le categorie della “violenza psicologica” (43% contro 35%), si assottiglia per la “violenza fisica”: 23% delle donne contro il 17% degli uomini. Forse ci aiuta a interpretare questo dato il fatto sottolineato in un capitolo del report , secondo cui «È più comune per le donne percepire ansia, paura e la sensazione di essere manipolata o bloccata dal proprio partner». Tra i rispondenti che si sono dichiarati vittime di violenza domestica, il 58% delle donne contro il 36% degli uomini dichiara di aver sofferto di ansia in una relazione, e il 37% delle donne contro solo il 9% degli uomini dichiara di aver avuto paura di un/a partner, a causa delle proprie esperienze passate. Chi ha scritto il report dà questa spiegazione: «Aver paura di un partner può indicare che le violenze subìte siano state più gravi e più coercitive». È sicuramente un’ipotesi, ma vorremmo aggiungere che forse in questo “gap” c’entra anche il terrorismo femminista che da vent’anni e più mira a terrorizzare donne e ragazze.
Un’ultima annotazione: il dato delle vittime femminili è in realtà integrato a quello delle persone «di genere non conforme». Diverse ricerche dimostrano che la violenza domestica è più frequente nelle relazioni GLBT che in quelle “eteronormate”, compreso questo stesso report (a pagina 9, grafico 2, si può vedere come in proporzione la seconda categoria di rispondenti che ha dichiarato più frequentemente violenza «negli ultimi 12 mesi» siano proprio le persone GLBT, seconde solo a donne e uomini giovani, tra i 15 e 24 anni). Questa indistinzione contribuisce a gonfiare la statistica: se il dato sottolinea che la violenza domestica è più frequente tra le persone molto giovani e le persone GLBT, a farne le spese a livello mediatico dev’essere l’uomo adulto “etero-cis” del modello di coppia tradizionale.
Terrorismo per battere cassa.
Ci sarebbe molto altro da dire su questo report ma per brevità passiamo alla ciliegina sulla torta, il capolavoro di questa campagna, ovvero come si passa dal dato fin qui analizzato a dire che «92% è la percentuale di donne, ragazze e persone di genere non conforme che riceve traumi cerebrali causati dalla violenza di un partner». Questo dato non esiste nel report. La campagna lo trae da un’altra fonte, un piccolo studio intitolato L’effetto della violenza domestica e della probabilità di lesione cerebrale traumatica sulla salute mentale delle donne di colore pubblicato nel 2019. In questo studio, il cui campione è costituito da 95 donne di colore vittime di grave violenza domestica, viene citata un’altra ricerca, una review del 2016 in cui si afferma che i dati disponibili sono molto scarsi, ma nonostante ciò si stima una frequenza di casi «tra il 60% e il 92%», sulla porzione di donne vittime di traumi cerebrali, in cui il trauma sarebbe stato subìto nell’ambito di violenze domestiche. Lo stesso studio sulla salute mentale delle donne di colore abbassa il dato minimo al 40%, riferendosi a una seconda review e indica in circa un terzo delle donne del proprio campione la porzione di coloro che «sono probabilmente vittime di trauma cerebrale per motivi direttamente legati al contesto di violenza domestica».
Ora è chiara la “magia” del modo femminista di fare scienza e ricerca. Un piccolo studio del 2019 condotto su 95 donne di colore vittime di grave violenza domestica (sicuramente non un campione generalizzabile all’intera popolazione del Canada di 38 milioni di persone!) trova che circa un terzo di queste ha «probabilmente» subìto trauma cerebrale dal partner violento, ma cita due reviews della scarsa letteratura sulla questione, per indicare in 40%-92% i limiti minimi e massimi della frequenza del fenomeno. Percentuali, ripetiamo, calcolate tra le vittime di violenza domestica cui è diagnosticato un trauma cerebrale e non sulla popolazione generale. Da qui, le femministe canadesi, con il patrocinio del governo e fior di soldi pubblici, concludono nel loro grande riquadro rosa che «92% è la percentuale di donne, ragazze e persone di genere non conforme che riceve traumi cerebrali causati dalla violenza di un partner». Ovviamente a tale conclusione è immediatamente allegata l’urgente richiesta – indovinate un po’ di cosa? – di «diffondere la notizia con i vostri canali social, contestualizzarla nella necessità di maggiori fondi e ricerca da parte delle istituzioni, e fare donazioni a YWCA Metro Vancouver per aiutarci a supportare le donne vittime di violenza domestica». Al solito la verità viene sempre fuori se si segue la traccia dei soldi. Ma il terrorismo femminista batte cassa demonizzando gli uomini e terrorizzando le giovani donne.