«È un assassino bianco, italiano e perfetto rappresentante di quel modello in decomposizione che chiamiamo “famiglia tradizionale”». L’eminenza che, parlando di Alessandro Impagnatiello, omicida della fidanzata Giulia Tramontano, sforna cotanta saggezza è tale Fabio Salamida, giornalista. Non ha capito niente il povero Salamida, si lancia in proclami senza sapere di cosa stia parlando. Le cronache dicono che Impagnatiello ha un figlio, frutto di una relazione passata. Poi la relazione con Giulia Tramontano, incinta e in procinto di partorire. Quindi un’ulteriore relazione con una collega, mette incinta anche lei ma la ragazza decide di abortire. Insomma un coglioncello che si sente irresistibile sciupafemmine e porta avanti più relazioni parallele, seminando gravidanze, raccontando menzogne e costruendo anche documenti falsi per avvalorare le bufale. Un figlio con una, un figlio in arrivo con un’altra, una relazione e relativo aborto con una terza, il tutto ovviamente fuori dal matrimonio. Dove sarebbe la famiglia tradizionale lo sa solo il saggio Salamida. D’altra parte, il Nostro deve proprio odiarla ‘sta famiglia tradizionale, per arrivare a definirla “malsana”, “famigerata”, “modello in decomposizione”. Anzi secondo lui è addirittura il “movente dell’omicidio”.
Poi, è vero, Impagnatiello da coglioncello diventa anche un maledetto criminale: di fronte alla collega che frequenta da un anno nega la paternità del figlio che Giulia porta in grembo, pensa di sbarazzarsi senza problemi della donna che ha messo incinta, così da poter vivere liberamente la nuova love-story con la collega, in attesa di guardarsi ancora intorno alla ricerca di altre conquiste. Il povero Salamida dimostra di non aver capito niente, ma proprio niente, nemmeno quando scrive che quella della povera Giulia è “l’ennesima vita spezzata dal mito del possesso”. Non ci siamo, non ci siamo proprio: non serve recitare a memoria i volantini dei centri antiviolenza o i comunicati della Commissione Femminicidio. Non c’è affatto “il mito del possesso” dietro questo fatto di sangue. L’assassino non ha ucciso perché “o mia o di nessuno”, non rifiutava di essere lasciato, non era geloso perché Giulia aveva un altro, non negava alla convivente la libertà di andarsene… anzi, al contrario, era lui che voleva sentirsi libero e ha pensato di raggiungere il suo obiettivo sbarazzandosi di Giulia e del nascituro, diventati ai suoi occhi un ostacolo alla storia con la nuova fiamma.
Ah, ci fosse stata la “legge Zan”…
Eppure: strali di prammatica contro il “femminicidio”, come lo chiama Salamida. Qualcuno gli spieghi che il termine non esiste nel Codice Penale, né come fattispecie autonoma di reato, né come aggravante. Ma fa tanto trendy, è così femministicamente corretto che il Nostro non può certo esimersi. Come è femministicamente corretto traslare il tutto dal micro al macro: un criminale ammazza la convivente quindi è sotto accusa l’intera categoria tossica per definizione, l’uomo, bianco, italiano, eterosessuale. Salamida poi insiste sul possesso, la parola gli deve essere piaciuta: «la moglie a casa, l’amante, il maschio che rivendica il possesso di entrambe». Chissà se il giornalista è in grado di capire ciò che legge. Se lo fosse, avrebbe capito che le cronache dicono il contrario di ciò che scrive: la povera Giulia (che, tra l’altro, era la convivente e non la moglie) è stata uccisa proprio perché l’assassino non voleva affatto il possesso di entrambe: dopo l’omicidio corre dall’amante per dirle “sono libero”. Il piede in due scarpe cominciava ad andargli stretto, dalle scuse semplici era passato alle menzogne più articolate, raccontava che la compagna ufficiale era pazza, che era incinta di un altro… mantenere storie parallele è complicato e Impagnatiello non ce la faceva, doveva liberarsi di una delle due. Ma Salamida non ha capito niente e continua a parlare di possesso.
Da cosa deriva questo accanimento ideologico di Salamida, che recita il copione del qualunquismo femministicamente corretto, sciorina frasi fatte e spara asserzioni infondate ad alzo zero senza azzeccarne una? La spiegazione arriva nella chiosa: «Quello che è mancato a tutti noi, inconsapevoli metastasi di agglomerati umani contro natura, è quella che oggi le persone intelligenti chiamano “educazione sentimentale” e i trogloditi bollano come “ideologia gender”». Ah, ecco dove voleva andare a parare tutto il florilegio di dozzinalità ideologiche: sfruttare la morte di una ragazza per arrivare a parlare di gender theory. E allora facciamo chiarezza. Primo: purtroppo non avevo contezza, insieme a mia moglie e a mia figlia, di essere la metastasi di un agglomerato umano contro natura, ma se lo dice Salamida devo per forza crederci. Secondo: è mancata a tutti noi l’educazione sentimentale, a scuola non hanno ancora introdotto quella che i trogloditi chiamano ideologia gender. Terzo: non mi è chiaro come l’educazione sentimentale di cui Salamida va parlando avrebbe potuto salvare la vita alla povera Giulia. Se alle elementari Impagnatiello avesse avuto una sana formazione LGBTQI+, non sarebbe diventato un assassino? Insomma se la legge Zan fosse in vigore da 25 anni, Giulia sarebbe ancora viva?
La responsabilità penale è personale.
Se non ci fosse sullo sfondo la tragica morte di una povera ragazza, mi verrebbe voglia di seppellire il buon Salamida di risate. Mi limito invece a riportare il pensiero che il Dr. Francesco Mos ha pubblicato su Facebook: «La madre del putativo assassino che, in lacrime, chiede perdono alla famiglia della vittima per aver fatto un figlio come lui ci dà la misura della mentalità clanistica, tribale, del familismo amorale che pervade questo paese. Sarete evoluti e civili quando capirete che la responsabilità penale, come da principio di cui all’articolo 27 della Costituzione che affonda le sue radici nell’illuminismo e che costituisce uno dei fondamenti dello Stato moderno (ho detto moderno, non contemporaneo, quindi fatevi i conti di quanti anni sono passati da quando questo principio si è affermato!), è unicamente di chi ha commesso un reato. Non della società, non della cultura, non delle madri, non dei padri, non dei figli, non della scuola, non di chiunque sia altro rispetto a colui che ha commesso il reato. Quando lo capirete, allora la smetterete con questo femminismo d’accatto, cesserete la “lotta” (linguaggio bellico = teoria del conflitto) alla fantomatica violenza di “genere” (concetto che vi siete inventato di sana pianta e non sapete definire nemmeno voi stessi), la pianterete con le vostre rivendicazioni di diritto differenziato per sesso».