La Fionda

L’evoluzione del linguaggio: dal femminismo al genderismo (1)

«… e questo dimostra che ci sono trecentosessantaquattro giorni nei quali puoi avere un regalo di non-compleanno». «Certamente» disse Alice. «E soltanto un giorno per i regali di compleanno, hai capito? Hai di che “gloriarti”!». «Non so che cosa intendiate voi con “gloriarti”» disse Alice. Humpty Dumpty fece un sorriso sprezzante. «Non lo capisci, perché non te l’ho ancora spiegato. Vuol dire che è un “argomento che ti stende a terra”!» «Ma “gloriarsi” non vuol dire un “argomento che ti stende a terra”» obiettò Alice. «Quando io uso una parola» disse Humpty Dumpty con un certo sdegno, «quella significa ciò che io voglio che significhi – né più né meno». «La questione è» disse Alice, «se lei può costringere le parole a significare così tante cose diverse». «La questione è» replicò Humpty Dumpty, «chi è che comanda – ecco tutto». 

Humpty Dumpty è un personaggio di una filastrocca inglese, un grosso uovo con sembianze umane, utilizzato da Lewis Carroll (autore di Alice nel paese delle meraviglie), che incontra Alice in uno dei capitoli più celebri di un altro suo libro, Alice attraverso lo specchio (1871). In questo incontro Humpty Dumpty esprime la sua autorità per dare a piacimento alle parole il significato che preferisce, si attribuisce il potere di conferire alle espressioni linguistiche significati arbitrari. Alice, considerata ingenua dal suo interlocutore, nutre invece la convinzione che le parole in se stesse posseggano un significato proprio, che sia possibile dare una sola interpretazione corretta delle parole. Altrimenti la comunicazione umana sarebbe basata su un continuo fraintendimento o, peggio ancora, su una continua manipolazione da parte di chi possiede il potere, di «chi comanda». La posizione di Alice sposa la tradizione aristotelica, che riteneva che l’idea o l’oggetto (significato) esistesse indipendentemente e fosse espresso dal parlante attraverso la parola (significante). Questa premessa sarebbe stata messa in discussione nel XIX secolo, dal linguista Ferdinand de Saussure e più tardi da Jacques Derrida: se oggetti o idee esistessero al di fuori dei significanti, dovrebbero esistere traduzioni esatte tra lingue diverse. Tuttavia, le traduzioni spesso incontrano parole senza equivalenza nella lingua tradotta, o parole che possono essere simili ma non uguali, quindi spesso vengono utilizzate approssimazioni. L’unione tra significato e significante non corrisponderebbe dunque a una realtà indipendente, ma a una convenzione sociale. Va chiarito che questi linguisti non negano la realtà in sé, bensì l’accesso che abbiamo ad essa attraverso il linguaggio ed evidenziano le limitazioni che ne derivano.

humpty dumpty
Una raffigurazione di “Humpty Dumpty”.

I danni del “patriarcato”.

L’importanza di queste conclusioni sono evidenti: se il nostro accesso alla realtà avviene attraverso il linguaggio, il controllo e la manipolazione del linguaggio possono trasformare il modo in cui comprendiamo la realtà. E dal modo in cui comprendiamo la realtà derivano le leggi. Il linguaggio diventa quindi uno strumento essenziale da qualsiasi totalitarismo per costruire un immaginario collettivo dominante. Il linguaggio modifica la cultura e la cultura dominante modella il linguaggio. Si tratta di un argomento che è stato già affrontato in altri interventi precedenti, per quanto riguarda il femminismo – petro-mascolinità o il tarlo sessista o la fabbricazione dell’immaginario femminista. Per imporre la propria ideologia, le femministe ci hanno letteralmente sommerso di nuova terminologia, sconosciuta ai più mezzo secolo fa circa (patriarcato, violenza strutturale, pay gap, femminicidio, catcalling, violenza maschilista, mascolinità tossica, mainstreaming di genere, body shaming, cultura dello stupro, date rape, stalking…), hanno modificato la semantica delle parole, connotato a volontà le parole positivamente o negativamente. Tramite il linguaggio hanno creato le linee guide e i confini della discussione, hanno coniato i concetti e le strutture, e in questo modo hanno costretto i critici di questa ideologia ad adoperare i loro termini e lo scenario pensabile disegnato dagli oppositori. Ed è stato fatto in modi diversi.

Uno dei modi più evidenti è stato quello di attribuire una connotazione negativa ai termini che vengono associati alla mascolinità – basta pensare all’uso di anglicismi con il prefisso man- (manspreading, manterrupting o mansplaining). Il termine più noto è patriarcato, termine che stava a indicare una struttura sociale nella quale l’autorità era nelle mani dell’individuo più anziano di sesso maschile sia nelle famiglie sia simbolicamente come leader politico o religioso, per definire ora il sistema sociale universale nel quale viviamo, origine di tutti gli aspetti negativi della società e di tutti i mali che colpiscono le donne. Malgrado il patriarcato sia concepito come un sistema universale che permea tutta la realtà, questo termine, del quale si denunciano tutti i danni che provoca, non viene mai associato a alcun elemento positivo del quale per forza dovrebbe essere causa, mai si nominano tutti i benefici che gode questa società, presentati come merito di questo patriarcato universale e atemporale.

mascolinità tossica

E la “femminilità velenosa”?

Un altro termine molto gettonato è maschilismo, un jolly che serve ovunque. Con allarmante frequenza si ricorre a questo termine per connotare convinzioni che nulla hanno a che fare con la sua semantica (“atteggiamento psicologico e culturale fondato sulla presunta superiorità dell’uomo sulla donna ed il comportamento sociale determinato da questo atteggiamento”, dizionario Garzanti 2010). Il termine si adopera invece per qualificare qualsiasi posizione che non combaci con la teoria femminista. Se si contestano le quote rosa oppure la strumentalizzazione e i dati gonfiati sulla violenza sulle donne, o se si difende il ruolo materno della donna o la diversità psicologica tra uomini e donne o qualsiasi altro argomento che metta in discussione l’ideologia femminista e dominante, allora si viene bollato in automatico come maschilista, malgrado nessuna di queste posizioni teorizzi una presunta superiorità dell’uomo sulla donna. Persino la divisione dei ruoli dei sessi è diventata maschilista: «l’origine del maschilismo […] anche i Neanderthal dividevano i compiti per sesso». Utilizzare parole vaghe è un’efficace tecnica per ridurre la capacità di capire e di distinguere, più il termine è generico, minore è la comprensione. A inizio del XX secolo la definizione del termine era «associata a coraggio, generosità e stoicismo». Visto l’attuale significato negativo, bisogna dare atto della notevole evoluzione del termine.

Quando oggi parliamo di epoche passate, molto spesso si sente dire, quasi in automatico e senza riflettere, che si trattava di società razziste e maschiliste. Il secondo termine però definisce una società che scagiona tutte le donne e incrimina tutti gli uomini. Il linguaggio non ha creato un termine speculare a maschilismo che responsabilizzi anche le donne quanto gli uomini, sarebbe oggi incomprensibile affermare che “gli individui vivevano in società razziste, maschiliste e femministe”. Per quanto assurdo possa sembrare oggi parliamo di donne maschiliste per giudicare negativamente comportamenti o pensieri agiti da queste donne. Facendo così, si trasforma l’autrice in collaboratrice o, peggio ancora, in vittima manipolata dalla mascolinità, e si fa ricadere tutta la responsabilità sull’universo maschile. Oggi la transfobia è considerata maschilista, anche se praticata da una donna. Chi possiede il potere fissa le regole del linguaggio, e fissa naturalmente un doppio standard, come nell’esempio precedente. L’abbiamo visto di recente con i termini femminilità tossica e mascolinità tossica, in entrambi i casi colpa degli uomini. Il femminismo non si è preoccupato di promuovere termini o espressioni positivi che siano associati alla mascolinità. Si parla continuamente di mascolinità tossica ma non esiste una mascolinità eroica, malgrado gli uomini mettano a rischio la vita per salvare gli altri in maggior numero rispetto alle donne. Naturalmente non esiste la femminilità velenosa né nessuna altra espressione per definire gli eccessi delle donne, espressione che sarebbe misogina e sessista.

Violenza di genere o di coppia?

Cito due ultimi esempi di manipolazione. L’espressione violenza di genere, come tutte le espressioni che contengono all’interno il termine genere, ha perso il suo carattere generico e oggi sta a definire la violenza che subiscono le donne in quanto donne. In Spagna, la legge che regola la violenza all’interno della coppia è stata denominata esplicitamente Ley Integral contro la Violencia de Género. Il nome scelto non è stato casuale, lo scopo va oltre la questione giuridica: la denominazione rende esplicito che tutta la violenza che avviene all’interno della coppia è dovuta necessariamente a ragioni di genere. In questo modo il termine violenza di genere si appropria del fenomeno della violenza di coppia, per la quale esistevano diverse spiegazioni, ora si individuano inconfutabilmente gli autori e le motivazioni della violenza. In breve, sostituendo la violenza di coppia per la violenza di genere, il linguaggio è stato utilizzato per alterare la percezione di una realtà complessa e renderla più restrittiva. Legata a questa violenza di coppia è nata di recente un’altra espressione, violenza vicaria, che sarebbe la violenza commessa contro i figli per fare danno alle madri.

In pratica, si tratta di quello che è sempre stato conosciuto come figlicidio per vendetta. Solo che questa espressione metteva il minore come la vittima principale e il genitore come la vittima secondaria (oltre al fatto di includere la donna come potenziale aggressore), mentre la nuova espressione violenza vicaria inverte il valore delle vittime per concentrarsi su chi riceve indirettamente la violenza (la madre) e mette in secondo piano chi la riceve direttamente (il bambino). In conclusione, abbiamo bisogno di usare il termine patriarcato per riferirci al sistema universale che struttura i ruoli di genere? Violenza di genere per parlare della violenza di coppia? Maschilismo per riferirci alla divisione sessuale del lavoro? Humpty Dumpty può cambiare il significato delle parole a piacimento, ma Alice non è costretta ad accettare o a convalidare la sua imposizione. (Continua domenica prossima).



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