FEMMINILITÀ TOSSICA: «La femminilità tossica è quell’insieme di caratteristiche da sempre associate al femminile: il rosa, il decoro, la gentilezza, la sottomissione». «In poche parole, la femminilità tossica coinciderebbe con quella tendenza a limitare le donne all’interno di uno canone deciso dagli uomini…». «Impone canoni di comportamento, non essere sgarbata, maleducata, sfacciata o volgare perché non si addice ad una donna l’uso di un determinato…». Non ho dovuto faticare molto per capire cos’è la «femminilità tossica». I testi sopracitati sono un copia e incolla dei primi risultati comparsi da una semplice ricerca di “femminilità tossica” su Google, senza necessità di entrare nei siti. In altre parole, la «femminilità tossica» sarebbe un altro modo di nominare ciò che la teoria femminista ha definito con il termine “tecnico” di «eterno femminino». Dopo tanti interventi non credo sia più necessario ribadire che l’eterno femminino, denunciato in maniera inappellabile da Simone de Beauvoir nella sua opera Il secondo sesso, è una «trappola della femminilità», creata dal Patriarcato, per «schiavizzare» le donne: «Alla radice dei problemi che le donne devono affrontare c’è il mito dell’eterno femminino, “che descrive le donne come intuitive, affascinanti, sensibili”, […] inventato dagli uomini».
MASCOLINITÀ TOSSICA: «La cultura maschilista danneggia non solo le donne, ma l’intera società. Dobbiamo liberarcene. […] è soprattutto compito della politica e della scuola offrire un’alternativa, decostruendo la virilità e incoraggiando una visione del mondo non più maschio-centrica e libera dai condizionamenti sociali. Solo in questo modo si potrà costruire una società più paritaria e vivibile, tanto per le donne, quanto per gli stessi uomini». Secondo la storica britannica Mary Beard, «la mascolinità è il nemico, non credo che lo siano gli uomini». Vale a dire, l’espressione «mascolinità tossica è un pleonasmo», come lo sono ad esempio le espressioni “opinione personale”, “uscire fuori” o “persona umana”: «ciò che è tossico è la propria mascolinità», quindi l’aggettivo qualificativo «tossico» che definisce la mascolinità è in più, non serve. Insomma, c’è poco da salvare. Come spiega IDMAH (Instituto para el Desarrollo de Masculinidades Anti-Hegemónicas – Istituto per lo Sviluppo di Mascolinità Anti-Egemoniche), «sfortunatamente non nasciamo uomini ma maschi, e per diventare uomini ci vuole un processo». Al punto dove siamo, bisogna decostruire completamente la mascolinità, bisogna urgentemente ri-educare gli uomini con ogni mezzo, per rendere questo mondo «paritario e vivibile».
Decostruire la maschilità.
Mediante scuole di mascolinità, «corsi di nuove mascolinità» che ormai sono nati in ogni continente. Mediante campagne istituzionali: «Vogliamo abolire la mascolinità» (Ministero delle Pari Opportunità spagnolo). La ministro Irene Montero afferma: «La lotta femminista ha significato la perdita di privilegi maschili […]. Vogliamo che gli uomini si chiedano come possono contribuire alla costruzione della società femminista». Mediante testi educativi, come Crescere uomini. Le parole dei ragazzi su sessualità, pornografia, sessismo, «una radicale trasformazione delle relazioni tra i generi […] dei giovani uomini per cambiare le relazioni tra uomini e donne nella direzione del rispetto e dell’empatia». Mediante dei programmi in TV come FBoy Island, il nuovo reality sull’amore che «punisce» gli uomini canaglia «perché smettano di essere primati e trattino bene le donne». Mediante campagne di moda, come fa Gucci, «per spezzare gli stereotipi della mascolinità tossica». Mediante iniziative scolastiche, dall’Italia al Canada: «Contro la mascolinità tossica, a scuola in gonna». Mediante la rivalutazione e/o eliminazione delle figure classiche, da Omero a Mark Twain, da Pablo Neruda a Picasso: «Omero sarebbe solo il capostipite della “mascolinità tossica”». Mediante campagne mediatiche, come fa il magazine Forbes: «è la scopa e non il pallone che ci renderà uomini migliori». Mediante qualsiasi mezzo.
Come qualche arguto lettore avrà potuto notare, sembra che ci sia un’asimmetrica valutazione di giudizio e di responsabilità su quanto riguarda la tossicità di entrambi i sessi. La responsabilità della femminilità tossica è del Patriarcato, cioè degli uomini. La responsabilità della mascolinità tossica è degli uomini. Si sa, la colpa è maschile. Benvenuti al femminismo. Evidentemente tutti abbiamo e mettiamo in atto comportamenti tossici. E anche vero che gli uomini talvolta influenzano e promuovono, consciamente e inconsciamente, comportamenti tossici nell’universo femminile. Ma lo fanno anche le donne sugli uomini. Da quando il mondo è mondo i due sessi interagiscono e si influenzano a vicenda. Il femminismo non tiene mai conto del ruolo che hanno le donne, dall’educazione materna alla scelta del partner sessuale, e come l’universo femminile riesca a influenzare l’universo maschile “tossico”. Ad esempio, alcuni studi indicano che gli uomini fisicamente aggressivi hanno più partner sessuali o che gli uomini che guadagnano di più hanno maggiori probabilità di sposarsi e di avere dei figli. L’universo maschile si adegua a queste preferenze – “tossiche?” – delle donne.
Il peccato originale di genere.
Comunque sia, per il femminismo il concetto di «mascolinità tossica» è molto utile, non solo serve per spiegare tutti i problemi che hanno le donne, causati dagli uomini, serve anche a giustificare perché gli uomini non vengono aiutati nei loro problemi. Per colpa del Patriarcato (mascolinità tossica), le donne richiedono misure economiche urgenti, tutele e priorità per l’accesso a certe posizioni, quote e normative specifiche. L’uomo invece è colpevole dei propri mali (suicidi, vittime di omicidio, tossicodipendenze, incidenti lavorativi, indigenza e senzatetto,…), quindi per risolverli bisogna intervenire su di lui. La donna ha bisogno di misure esterne, politiche ed economiche, l’uomo solo di misure interne (decostruire la mascolinità). In altre parole, la donna ha bisogno di aiuto, l’uomo di auto-aiuto. La teoria femminista ha associato la violenza e il dominio alla mascolinità, definita tossica. Paradossalmente la maggior parte dei modelli di pace e concordia, promossi storicamente da uomini e da donne, sono “maschi”, come Cristo, Buddha o Gandhi. Alcune di queste figure storiche sono state presentate per secoli non solo come “modelli di mascolinità” ma come modelli di umanità. Malgrado i loro insegnamenti di pace, malgrado gli ammonimenti in questo senso e le promesse di ricompensa e le minacce di punizione eterna in un’altra vita, la violenza non è mai stata sradicata. Il femminismo vorrebbe ora riuscire là dove le religioni universali hanno fallito, vorrebbe eliminare la violenza grazie alla decostruzione della mascolinità e lo sviluppo di nuove mascolinità.
Personalmente il termine di «nuove mascolinità» mi fa venire in mente il “nuovo uomo sovietico”. Come il cittadino sovietico, il cittadino femminista deve essere istruito all’ammissione di colpa, non solo per le cattive azioni agite, anche per quelle ritenute innocue o inconsapevoli (come può essere per esempio l’uso di un linguaggio sessista), e comunque per il solo fatto di esistere, ergo di beneficiare passivamente di un sistema che privilegia gli uomini rispetto alle donne. Come il cittadino sovietico, il cittadino femminista si incolpa di più per quello che è (per la sua mascolinità) che per le sue azioni. Come il cittadino sovietico, il cittadino femminista deve confessare la sua colpa e fare penitenza. Il cristianesimo ha ascritto a tutta l’umanità una colpa alla nascita, il peccato originale. Il femminismo l’ha ascritto alla metà dell’umanità, l’ha chiamato «mascolinità tossica». Anzi, «mascolinità».