La Fionda

Il femminismo e la glorificazione dell’aborto (3)

«Ho notato che tutti coloro che sono per l’aborto sono già nati», riflessione pungente e ineccepibile attribuita dalla rete a Ronald Reagan. La citazione stabilisce due elementi evidenti: l’aborto riguarda la vita e l’aborto riguarda tutti. Nella citazione non c’è traccia né delle donne, in maniera esclusiva, né dei loro diritti. Abbiamo visto nei precedenti interventi come nell’ultimo mezzo secolo circa ci sia stato un graduale spostamento dell’opinione pubblica, mediante la finestra di Overton, sul giudizio morale dell’aborto. Per secoli, e pressoché ovunque nel mondo, l’aborto era concepito in maniera negativa, spesso punito, equiparato a un crimine o persino a un omicidio. «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo», così recitava il giuramento di Ippocrate, dalla Grecia classica fino all’attualità – modificato solo nel 2006 e successivamente nel 2014 –, come ci ha fatto gentilmente notare un lettore in un intervento precedente. Ippocrate vietava di agevolare terapie di morte tanto su individui già nati quanto su quelli non nati. Il padre della medicina scientifica, e con lui tutta la classe medica che ovunque nel mondo e per secoli hanno fatto il giuramento senza contestarlo, equiparavano entrambi gli eventi. Una posizione contro l’aborto che non era esclusiva dell’ambito medico, era prevalente nella società, diffusa anche tra le femministe della prima ondata. L’intervento dell’aborto era spesso perseguito penalmente nelle più diverse società.

Oggi l’opinione pubblica è nettamente favorevole, probabilmente anche molti dei nostri lettori. Questa opinione ha virato non solo verso la tolleranza e l’accettazione dell’aborto, spesso verso una promozione sempre più spinta e libera, cioè verso l’«aborto tardivo». Il caso di New York è emblematico. Dal 2019 la legge autorizza a interrompere (terminare) una gravidanza fino al nono mese, non solo se la vita della madre è a grave rischio, come stabiliva la legge precedente, ma anche quando la salute della madre rischia di essere compromessa – definizione molto ampia che comprende anche la salute mentale e della quale solo arbitro è il medico, su richiesta della donna, come succede tra l’altro per la normativa italiana – o se il feto è gravemente ammalato. In altre parole, nella pratica libertà di scelta della donna. Fino a quella data a New York se una donna incinta veniva ferita e il suo bambino moriva tale morte era considerata omicidio, ora non più. Così è evoluto il valore conferito al feto. La normativa di New York, che legalizza l’aborto tardivo, non è l’unica esistente nel mondo occidentale. C’è un continuo spostamento verso la promozione di misure pro-abortive. E questo spostamento dell’opinione pubblica non è stato dovuto a un dibattito approfondito sulla vita, sulla biologia, sull’etica, su nuove scoperte che ci hanno fatto aprire gli occhi su idee retrive e credenze irragionevoli dei nostri antenati. Questo spostamento non è stato promosso dalla classe scientifica, da biologi o da embriologi, né da filosofi e pensatori che riflettono sull’etica e sulla vita, come avrebbe dovuto essere. Questo spostamento è stato promosso dal femminismo, dalla lotta delle donne contro il patriarcato e per i loro diritti: «Aborto, diritto delle donne».

Parlamento UE
Il Parlamento Europeo

La grande bufala: femminismo = parità.

Nell’UE c’è la volontà di «includere il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali». Nell’atto di denuncia dei paesi che legiferano restrittivamente l’aborto, «il Parlamento condanna nuovamente con fermezza il deterioramento della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne». Inoltre, «i deputati esprimono piena solidarietà e sostegno alle donne e alle ragazze». Nella riflessione del Parlamento europeo sono spariti i due concetti con i quali avevo aperto l’intervento: la vita e tutti. Il concetto principale ora sono le donne. Il femminismo è riuscito a spostare la finestra di Overton senza adoperare argomenti tecnici, scientifici o etici. Infatti la maggior parte della popolazione, che si sente legittimata a esprimere un’opinione (di solito ormai favorevole) sull’aborto, compreso il Parlamento europeo, non sa distinguere un embrione da un feto, non conosce nulla sullo sviluppo embrionale né si pone alcuna questione etica sul concetto della vita umana. E questo vale anche per qualsiasi femminista. In mezzo secolo circa il femminismo è riuscito a modificare l’opinione pubblica deviando il dibattito dall’argomento principale (la vita) a un argomento fantoccio (i diritti delle donne) che il femminismo ha costruito dalla propria narrazione. Si è passato da un argomento complesso, scientifico e razionale (la bioetica) a uno emotivo e passionale (la difesa delle donne). In questo modo la discussione è passata dall’argomento X all’argomento Y.

Si tratta di un modus operandi frequente nel modo di ragionare femminista. Mi sia permesso di fare una breve digressione con un altro esempio, che ho già trattato in precedenza, di importanza capitale: cos’è il femminismo? Dal magazine Glamour: «Iniziamo il discorso con la definizione di base di cosa sia il femminismo, che non ci stanchiamo mai di ripeterla […]; Femminismo: ideologia che difende che le donne dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini». Oppure nel sito “alfemminile”: «Come fa bene ribadire, il vero femminismo è la convinzione che tutte le persone dovrebbero avere uguali diritti, pari opportunità e uguale controllo sul proprio destino». Oppure in questa intervista: «tutte le donne dovrebbero considerarsi femministe perché, insomma, oggi chi non è femminista non ha molto chiaro il concetto. È semplicemente uguaglianza tra uomini e donne» (se il femminismo è uguaglianza non si capisce perché solo le donne dovrebbero considerarsi femministe, e non uomini e donne). Ci sono infiniti esempi e dichiarazioni in questo senso, dall’intervista di Hillary Clinton durante la campagna presidenziale al discorso di Emma Watson all’ONU. Femminismo è parità. Da notare ogni volta il tono saccente e indulgente di queste donne, come se la persona che si dichiara non femminista fosse uno stupido che non capisce bene. In fondo, chi è contro la parità (senza entrare in discussioni tra parità di opportunità, parità di risultato, ecc.)? Il femminismo sposta la discussione dal vaglio della narrazione femminista, vero significato del termine femminismo (la presunta oppressione storica e attuale delle donne per mano degli uomini in un sistema denominato patriarcato) a un altro che non c’entra nulla, ma che risulta emotivo e inattaccabile (la parità). A questo punto il dibattito si articola in questo modo: “non sei femminista, allora sei contro la parità” oppure “sei per la parità, allora sei femminista e non lo sai”. A questo punto il dibattito è già perso. Infatti queste donne, nei loro articoli e interviste, si sentono moralmente superiori e legittimate ad affermare qualsiasi cosa, perché, in quanto femministe, sono già dalla parte della ragione e la controparte in automatico dalla parte del torto.

peter singer
Il filosofo Peter Singer

Il neonato: un essere senza dignità.

Stesso procedimento è avvenuto con l’aborto. Non si parla più della “vita umana” ma di “diritti delle donne”, un argomento fantoccio che per definizione è inattaccabile e da non mettere in discussione. L’aborto è diventato una lotta femminista, una questione completamente ideologica, le femministe lo difendono a tal punto da far abortire qualsiasi dibattito. Chi è contro l’aborto è contro le donne. Nell’UE ormai non è più possibile essere obiettori nell’ambito medico. Evidentemente l’argomento de “il corpo è mio e lo gestisco io” è una sovrana stupidaggine, come dimostrano ad esempio l’obbligo scolastico, l’obbligo militare, le sentenze che impongono assegni di mantenimento o le normative che puniscono per omissione di soccorso. In un caso ipotetico, analogia molto approssimativa, di una trasfusione di sangue in atto per salvare un altro individuo, il donante non può andarsene perché il corpo è suo, rischierebbe di essere perseguito per omissione di soccorso. Nemmeno il fatto che la gravidanza sia contenuta all’interno di un corpo è un argomento di peso, non ne deriva per questo motivo la sua proprietà, come sanno i trafficanti di droga o le guardie che fanno le ispezioni sui reclusi nelle strutture penitenziarie.

La verità è che la questione non dovrebbe essere mai uscita dall’ambito della bioetica. Si tratta di tema complesso: quando un essere vivente ha dignità di essere umano? Su questo argomento non è mai esistito unanimità, e non solo per questioni di età (bambini, anziani). Su questo argomento si sono espressi i nazisti sugli ebrei e sui disabili (subumani), alcuni popoli su altri, ritenuti non degni (indios, aborigeni), oppure le società schiaviste sugli schiavi. La questione è tuttora attuale. Secondo il filosofo Peter Singer, «il saggio della compassione: precursore dei diritti degli animali e dell’effettivo altruismo», premiato di recente (BBVA Fronteras del Conocimiento), l’aborto, l’infanticidio indolore e l’eutanasia eugenetica dei neonati «non si possono escludere». Per esempio nel caso di un infante disabile la cui vita sarebbe una sofferenza, o nel caso in cui i suoi genitori non vogliano allevarlo e nessuno desideri adottarlo. Non soltanto il feto, «il neonato non è considerato dotato di dignità in quanto essere umano, il loro diritto dipende dal fatto di essere desiderato o meno». Per quale motivo fermarsi al terzo mese, o al sesto, o al nono, e non al dodicesimo? Animalista convinto, difende i diritti degli animali e, come fanno le normative, molto probabilmente difende il divieto di danneggiare le specie protette «in qualsiasi stadio del ciclo biologico», ad esempio distruggere un uovo di aquila reale, punito col carcere (in Spagna, dove l’aborto è permesso).

aborto

Dall’altro lato ci sono i pro vita, per i quali ogni aborto è un omicidio: Aborto. Il genocidio del XX secolo. Oppure le femministe quando si tratta di difendere le donne dalla violenza maschile: negli Stati Uniti a livello federale, «The Unborn Victims of Violence Act» riconosce un embrione o feto a qualsiasi stadio di sviluppo come una vittima in caso di violenza contro la madre. Quando coerenza e ideologia sposano male. Cosa attribuisce dunque a un essere vivente dignità di essere umano? Il dolore? La violenza maschile? La consapevolezza? La forma del corpo? Si tratta di un argomento complesso. Io non sono un biologo né un bioetico. So soltanto che alla quinta settimana già si vedono braccia e gambe, alla sesta si riconoscono mani e piedi e le mani già hanno dita. So che l’embrione porta una carica genetica diversa del DNA materno e può avere un gruppo sanguigno diverso di quello materno oppure anche un sesso diverso. In altre parole, se durante una ricerca o un’indagine si trovassero solo delle tracce di DNA o di sangue della madre e del feto, da queste tracce i ricercatori concluderebbero che in quel posto si trovavano due individui diversi. Ognuno si informi e tragga le proprie conclusioni. So per certo però che l’aborto non c’entra nulla con i diritti delle donne, malgrado l’indottrinamento mediatico. Non spetta alle donne conferire la dignità umana agli essere viventi e decidere in conseguenza della loro vita. In una società che presumibilmente protegge i minori e gli esseri indifesi, il femminismo si è reso responsabile dell’aumento della pratica degli aborti e degli infanticidi. Purtroppo sul tema dell’aborto certezze non ci sono affatto, eppure il femminismo promuove l’aborto a nome dei diritti delle donne come chi va a comprare il pane.



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