«Le donne abortiscono perché restano incinte. Ma perché restano incinte? E perché risponde a una loro specifica necessità sessuale che effettuano i rapporti col partner in modo tale da sfidare il concepimento? […] noi sappiamo che quando una donna resta incinta, e non lo voleva, ciò non è avvenuto perché lei si è espressa sessualmente, ma perché si è conformata all’atto e al modello sessuale sicuramente prediletti dal maschio patriarcale, anche se questo poteva significare per lei restare incinta e quindi dover ricorrere a una interruzione della gravidanza. Nel mondo patriarcale, cioè nel mondo dove la donna viene immobilizzata in una condizione subalterna e servile attraverso una mitizzazione dell’uomo e una svalutazione di sé sistematicamente sollecitate da ogni istante della vita privata e sociale, l’uomo ha imposto il suo piacere. Il piacere imposto dall’uomo alla donna conduce alla procreazione […]. Il concepimento è frutto di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna, che viene poi responsabilizzata di una situazione che invece ha subìto. Negandole la libertà di aborto l’uomo trasforma il suo sopruso in una colpa della donna. Concedendole tale libertà l’uomo la solleva dalla propria condanna attirandola in una nuova solidarietà che rimandi a tempo imprecisatamente lontano il momento in cui essa si chieda se risale alla cultura, cioè al dominio dell’uomo, o all’anatomia, cioè al destino naturale, il fatto che essa rimane incinta». Procreazione, concepimento, aborto, con queste parole delinea Carla Lonzi, nella sua opera Sessualità femminile e aborto (pp. 68-69), la completa responsabilità e colpa maschile. Qualsiasi cosa promuova l’uomo, il divieto di abortire o il sostegno all’aborto, la colpa ricade sempre sull’uomo. Benvenuta l’ideologia sul tema “aborto”.
L’ideologia femminista stabilisce per ogni cosa l’irresponsabilità e l’innocenza delle donne e attribuisce la colpa al Patriarcato (agli uomini). Inoltre conferisce alle donne lo status di vittima. La procreazione dell’umanità: colpa del Patriarcato. «Una procreazione coatta e ripetitiva ha consegnato la specie femminile nelle mani dell’uomo di cui ha costituito la prima base di potere», scrive Carla Lonzi in Sessualità femminile e aborto. La maternità: colpa del Patriarcato. «Le donne non vogliono diventare madri proprio perché sono più libere e non soggette all’autorità maschile. Non è individualismo, non egoismo. È difesa, ponderata e calcolata», scrive Ritanna Armeni su “Il Foglio”. L’amore materno: colpa del Patriarcato. Ancora Ritanna Armeni: «l’amore, questa parola che si ha pudore a pronunciare perché troppa libertà femminile è stata sacrificata in suo nome», – chissà quanta libertà maschile è stata sacrificata in nome dell’amore. Infine, naturalmente, il divieto all’aborto: colpa del Patriarcato. «La negazione della libertà d’aborto rientra nel veto globale che viene fatto all’autonomia della donna», sempre Carla Lonzi in Manifesto di Rivolta Femminile. Il femminismo decreta l’onnipresente colpa dell’uomo e dunque la sua espulsione dal dibattito: chi è colpevole non è legittimato a esprimere giudizi sull’argomento. L’uomo che si permette di intromettersi in questi tematiche, lo sta facendo per mettere in discussione i diritti femminili e opprimere le donne. Tanto la procreazione quanto l’aborto restano responsabilità esclusiva delle donne, l’uomo deve restare fuori, completamente estromesso.
L’aborto selettivo.
Dopo il Manifesto delle 343, scritto da Simone de Beauvoir, 331 medici pubblicarono il proprio manifesto a sostegno di quello precedente in supporto dell’aborto: «Noi vogliamo la libertà di abortire. È una decisione interamente della donna». Lo diceva già Gloria Steinem nel film The Glorias: «la libertà riproduttiva e il diritto di scelta appartengono alla donna, giusto? In realtà, si tratta di essere pro-scelta, niente di più». Gli slogan femministi non potevano essere più espliciti in questo senso: in inglese “my body, my choice” (il mio corpo, la mia scelta), nella versione italiana “Il corpo è mio e lo gestisco io”, nella spagnola “nosotras parimos, nosotras decidimos” (noi partoriamo, noi decidiamo). L’uomo doveva solo stare zitto. Una posizione che d’allora non si è spostata di una virgola. Ecco Irene Montero, la ministro spagnola delle Pari Opportunità, che giustifica la legalizzazione dell’aborto per le minorenni senza il consenso genitoriale: «i nostri corpi sono nostri, noi decidiamo». Si tratta del corpo delle donne, dunque la scelta riguarda unicamente loro, – poiché si tratta del corpo delle donne, non si capisce perché le femministe lo chiamano “aborto” invece che “mutilazione”. Questa onnipotenza conferita alle donne, può creare certe contraddizione normative, ad esempio nella maternità surrogata nei paesi dove è stato legiferato. Una donna può rifiutarsi di essere inseminata dopo aver firmato il contratto di surrogazione di maternità? Può abortire o rifiutarsi di abortire a seconda delle indicazioni della coppia commissionante?
Libertà di scelta delle donne sì, ma anche no. Tutti siamo a conoscenza delle nascite asimmetriche di bambini e bambine che avvengono in certe società contadine (o che lo erano) come la Cina o l’India. Tutti siamo a conoscenza del problema dell’infanticidio selettivo del neonato, se è femmina, che il femminismo non si dimentica di denunciare e al quale ha dato un nome: ginocidio. L’infanticidio del neonato avveniva perché in quelle società non esisteva l’ecografia. Per ovvie ragioni, nessuna donna preferirà uccidere il neonato quando può liberarsi di un feto dopo poche settimane o mesi. Per questo motivo, in India è vietato determinare il sesso del feto. Libertà di scelta delle donne, meglio di no. Nessuna associazione femminista ha mai denunciato l’India per questo divieto. Nel Regno Unito, a seguito dell’asimmetrica richiesta di aborti selettivi a danno di feti femminili da parte di cittadini dell’India e della Cina, il governo ha deciso di perseguire penalmente i medici abortisti che li realizzano. Libertà di scelta delle donne, meglio di no. Evidentemente la questione non si pone al contrario. L’aborto non soltanto divenne un atto di lotta, per la frangia più estrema diventa un’arma per colpire l’uomo, il nemico patriarcale, la continuazione della guerra dei sessi attraverso l’aborto, tipo Valerie Solanas. Aborto selettivo di uomini, che problema c’è? Si esorta pubblicamente, come fa la donna del video qua sotto (rimosso da YouTube), si scartano gli embrioni se sono maschi oppure si abortisce. «Non voglio dare la vita a un mostro», femminista abortisce. Aborto selettivo di uomini, che problema c’è? In fondo si tratta della libertà di scelta delle donne, «si tratta di essere pro-scelta, niente di più». Ora sì, ora no, ora sì, ora no.
E il contributo dell’uomo?
In conclusione, il femminismo è riuscito a spostare la discussione sull’aborto dalla legittimità morale di realizzarlo alla difesa dei diritti delle donne. Tanto è vero che l’aborto non viene mai elencato nei libri di storia tra le conquiste di tutta l’umanità, ammesso e non concesso che lo sia, ma tra le “conquiste delle donne”. Durante la seconda ondata femminista il dibattito girò quindi verso l’ideologia. Che si tratti di una questione ideologica lo dimostra il fatto che tutte le associazioni lesbiche fanno politiche pro-attive a favore dell’aborto, donne che per definizione non possono ingravidarsi. Se sei lesbica devi per forza essere favorevole all’aborto. Oppure basta rivedere alcune delle campagne a favore del diritto delle donne ad abortire («se tu tagli il mio diritto a decidere… taglio io il tuo?», con forbice che recide il pene maschile; «io decido e tu stai zitto», con donna gravida che scaraventa la sua gravidanza contro l’uomo e lo butta per terra). Il controllo delle scelte riproduttive della donna, tra le quali rientra l’aborto, è stato un elemento fondamentale delle lotte femministe e fa parte della storia del femminismo.
Non credo che sia necessario ribadire che le scelte riproduttive maschili non hanno mai interessato nessuno. Molto sommariamente ancora oggi nel mondo occidentale l’uomo per legge non può né riconoscere né disconoscere un figlio senza l’autorizzazione della compagna, se perde un figlio contro la sua volontà non gli viene attribuito alcun danno psicologico né merita alcun sostegno o risarcimento, se invece nasce un figlio contro la sua volontà per legge deve mantenerlo. La questione per gli uomini, per quanto riguarda la gravidanza e l’aborto, dovrebbe essere posta in questo modo: se durante i primi mesi di gravidanza la madre è l’unica responsabile dell’embrione, e più tardi del feto, quando incomincia il padre a vantare dei diritti e dei doveri su di loro? Al nono mese? Se il seme maschile non genera alcun titolo di “proprietà” sull’embrione, che resta “proprietà” esclusiva della donna, in che modo contribuisce l’uomo perché questa esclusiva proprietà materna diventi ad un certo punto di tutti e due, con i rispettivi diritti e doveri? Cosa ha aggiunto l’uomo di nuovo a quella “proprietà” che nei primi mesi mancava, per farla diventare dopo certo tempo anche sua? In altre parole, se la madre è l’unica responsabile dal primo mese al nono, perché non lo è dal decimo fino alla morte? (continua domenica prossima)