Un ennesimo, meraviglioso esempio di doppio standard: l’attore comico Maurizio Battista pubblica dei video sui social, lamentandosi del fatto che la ex moglie non gli faccia vedere la figlia, ed ecco che partono le indignatissime proteste. Come si permette? Il vittimismo sui social è un monopolio femminile e deve restarlo, sia chiaro! Non possono essere tollerate le invasioni di campo degli uomini e meno ancora dei padri: i maski godono dei privilegi patriarcali quindi è impossibile che subiscano discriminazioni, e se proprio le subiscono non è ammissibile che abbiano la sfrontatezza di dirlo pubblicamente. Quindi Battista deve essere zittito, “accusa la ex senza prove” pertanto la sua è violenza mediatica. Tanto qualsiasi prova avesse pubblicato non sarebbe cambiato nulla, sarebbe stato accusato comunque di violenza mediatica al grido di “è inutile pubblicare le prove, i processi mica si fanno su Facebook”. Taci e basta, in sostanza.
Ma l’aspetto meravigliosamente surreale è che l’indignazione anti-Battista si dimostra un po’ troppo miope nella misura in cui si scaglia contro il comico ma ignora – o finge di ignorare – il battage mediatico enormemente superiore quando viene innescato dalle donne. Alcuni casi nel recente passato hanno registrato lunghi e ripetuti sfoghi social da parte di madri che hanno accusato i rispettivi ex di ogni nefandezza, sempre senza prove, spalleggiate da un nutrito ed eterogeneo gruppo di parlamentari (LeU, PD, M5S, FI) che, ancora senza prove, sostenendo di battersi per difendere i diritti dei minori, hanno accusato i padri di violenze, maltrattamenti e atti persecutori. Anzi, le prove ci sono ma al contrario: le numerosissime denunce delle madri di cui sopra si sono mestamente concluse con una selva di archiviazioni, tutti i procedimenti giudiziari smentiscono le violenze, i maltrattamenti e gli atti persecutori, i padri accusati non sono stati nemmeno una volta rinviati a giudizio. Sono fatti, non opinioni.
Battista non è il solo.
Di più: proprio grazie al massiccio contributo politico, le lamentele materne sono uscite dal limbo del web per approdare a pioggia nelle agenzie di stampa, sui media nazionali, nelle aule istituzionali e poi su su su fino al Parlamento Europeo. Ma loro possono perché sono mammecoraggio, per loro la politica si presta amichevolmente. Persino una Commissione Parlamentare ha lavorato due anni cercando di far emergere un presunto orientamento antimammista del sistema giudiziario italiano, coalizzato contro le donne in generale e contro le madri in particolare. Numeri roboanti: due anni di lavoro febbrile per tirare fuori 36 casi di “violenza istituzionale”, qualunque cosa voglia dire questo ennesimo neologismo vittimista. Non trentaseimila casi, proprio trentasei e basta.
Tornando a Battista, va detto che non è l’unico volto noto a lamentarsi, a denunciare pubblicamente gli ostacoli costruiti dalle madri per impedire gli incontri padre-figli: si susseguono comici, parrucchieri, presentatori, calciatori, giornalisti… ma soprattutto migliaia di sconosciuti Mario Rossi che non avranno mai il supporto politico garantito alle madri da parte delle parlamentari che dicono di difendere i diritti dei minori. Degna di nota l’osservazione di Emanuela Valente, giornalista e fondatrice dell’osservatorio sui femminicidi “In Quanto Donna”, quando parla del video in cui Maurizio Battista accusa l’ex moglie di non fargli vedere la figlia. Un filmato “su cui però nessuno si è posto una domanda cruciale: sappiamo se quello che dice è vero?”. Già, il dubbio è legittimo, ma ad Emanuela Valente sfugge un particolare: accertare la verità spetta ai tribunali e non ai social dove ognuno dice quello che vuole, persino che la terra è piatta, che lo sbarco sulla Luna è un falso e che tutti gli uomini italiani sono assassini in nuce e violenti per loro natura. Un dubbio amletico: perché non farsi la stessa domanda quando video analoghi vengono pubblicati a ruoli invertiti?