Il 30 novembre il quotidiano “La Repubblica” ci informa che la modella e attrice Cara Delevingne «è stata chiamata ad indagare il piacere femminile e si è prestata alla “donazione” del suo orgasmo per il nobile scopo. La curiosa vicenda fa parte di un ampio progetto dedicato alla sessualità che BBC ha condensato nei sei episodi della serie Planet Sex, ai quali ha collaborato la top model inglese». In sostanza l’attrice si è chiusa in una clinica dove le è stato analizzato il sangue prima e dopo un orgasmo. L’oggetto di studio è molto chiaro: «il pleasure gap, anche detto gender climax gap o semplicemente orgasm gap, ovvero la disparità di genere che colpisce la sfera del piacere sessuale. Numerose ricerche attestano infatti che le donne provano meno orgasmi degli uomini, e, per quanto solitamente le motivazioni si vadano a ritrovare nella scarsa conoscenza del piacere femminile perpetrata in secoli di oscurantismo e tabù, potrebbe esserci anche una motivazione più “scientifica”, chimica, ed è questo che stanno cercando di capire i ricercatori». Insomma, tra le tante disparità tra uomini e donne, con gli uomini ovviamente favoriti, ci sarebbe pure l’orgasmo, con tanto di dati a supporto: solo il 65% delle donne etero raggiunge il piacere, ma «stando alle mie amiche», chiosa la Delevigne, «possiamo scendere anche al 15 o 20%”».
Fino a qualche decennio fa a nessuno sarebbe venuto in mente di considerare le differenze psicofisiche fra uomini e donne come fattore di potenziale ingiustizia. Il perché era evidente: così voleva la natura. L’attenzione verteva piuttosto, e giustamente, sulla necessità che dalla diversità fra i sessi non scaturissero discriminazioni sul piano della dignità delle persone da un lato, e dall’altro sul piano delle opportunità materiali per donne e uomini, fatto salvo ovviamente ciò che , appunto per motivi puramente naturali, era impossibile o più problematico per l’uno o per l’altro sesso. Nessun maschio si sarebbe mai e poi mai sentito discriminato per non poter partorire, e a nessuna femmina sarebbe mai venuto in mente di essere adibita a compiti per i quali è richiesta una forza e una resistenza fisiche che non sono nella fisiologia delle donne, o almeno della stragrande maggioranza di loro (fatte salve ovviamente alcune eccezioni come, appunto, le virago la cui femminilità balzava subito agli occhi essere, diciamo, un po’ carente). Ed era ovvio, scontato, normalmente accettato, che la diversa fisiologia fra i due sessi si riflettesse anche nel modo di fare all’amore e di ottenere da esso quel piacere sessuale che ne è lo scopo giustamente perseguito da donne e uomini. Più immediato, istintivo, diretto, possiamo dire anche più semplice, il modo maschile, riflesso anche di una fisiologia in cui l’apparato sessuale è “esterno”. Più mediato, bisognoso di un maggior coinvolgimento complessivo, anche psichico, quello femminile; potremmo dire più complicato, riflesso di una fisiologia in cui l’apparato sessuale è “interno”.
L’equo scambio protezione/piacere.
Questo ci dice la natura. Il problema, semmai, è quello di contemperare le due differenti modalità di accedere all’orgasmo, di far si che i partners tengano conto l’uno dell’altro in modo che ambedue siano soddisfatti. Non c’è motivo di negare che alle volte ciò non accade per una certa faciloneria degli uomini, troppo concentrati su se stessi per prestare attenzione alle esigenze della compagna. D’altra parte, come scrive l’amico Rino Dalla Vecchia, fra uomini e donne esisteva un mutuo patto di scambio: gli uomini ricercavano sesso e cura, le donne chiedevano protezione e mantenimento, e nel complesso, nel momento in cui le rispettive esigenze erano soddisfatte, nessuno si sentiva discriminato e non aveva granché di cui lamentarsi. Quel patto, continua Dalla Vecchia, era però asimmetrico, perché mentre sesso e cura non possono prescindere dalla donna, protezione e mantenimento possono essere ottenuti anche senza la diretta opera maschile, come infatti è accaduto nella Società Industriale Avanzata: da un lato l’emancipazione femminile (crescente capacità di mantenersi tramite il lavoro), dall’altro l’assunzione da parte dello Stato di alcune funzioni di “protezione” un tempo svolte concretamente dagli uomini (mariti, fidanzati, ma non solo). E infine la crescente residualità delle tradizionali attività di polarità maschile. Tutto questo ha fatto si che la relazione maschio/femmina si sia spostata di piano, si potrebbe dire, e quindi che gli antichi criteri di valutazione e giudizio avrebbero dovuto subire una profonda trasformazione.
Non è questa la sede per approfondire l’argomento, ma da quanto detto sopra risulta evidente che se in passato un uomo era apprezzato dalla donna anche per la sua capacità di proteggerla e mantenerla, oggi che essa si mantiene da sola (e, ormai ci siamo, anche di fare un figlio senza rapporto sessuale), l’uomo sarà valutato e giudicato esclusivamente per la sua capacità di procurare piacere alla sua partner. Perduta o diminuita tale capacità, può essere tranquillamente scartato. Naturalmente stiamo parlando di linee di tendenza, seppure crescenti, perché in realtà la psiche dei due sessi, formatasi in millenni di storia sulla base della fisiologia, non è così malleabile. Prova ne sia da un lato il fatto che ancora oggi le donne subiscono il fascino irresistibile dell’uomo ricco e di successo, ovvero quello potenzialmente in grado di fornire a lei e ai figli maggior sicurezza, e dall’altro la svalutazione, fino al disprezzo, per i così detti Incel (involontariamente celibi), quegli uomini, né ricchi né famosi, che per motivi diversi non riescono a trovare una compagna. A completare il quadro, nel mondo moderno si è ormai affermata la credenza che fra corpo e psiche non esista relazione alcuna; tutte le competenze, i modi di concepire il mondo, di conoscerlo, ossia tutto ciò che era considerato “da maschi” o “da femmine”, sarebbe solo un costrutto culturale, modificabile a piacere. Da qui il gender che ha soppiantato l’ormai superato sesso, l’ancoraggio del quale alla fisiologia dei corpi è immediatamente evidente.
E se il “patriarcato” fosse la soluzione?
Nasce da tutto ciò una falsa concezione dell’uguaglianza, letta puramente come identità e indifferenziazione e non come identica dignità in un quadro di complementarietà. Da qui, dunque, anche le lamentele da parte femminile per le differenze volute dalla natura, lette spesso come forme di ingiustizia e discriminazione. E lasciamo pure perdere il fatto, reale e riscontrabile ogni giorno e in ogni campo dell’agire umano, che esiste una evidente (e volontaria) incoerenza. I concetti di “uguaglianza” e “differenza” fra i sessi sono abilmente giocati, entrambi, secondo convenienza. Non c’è infatti, in nome della differenza, lamentela alcuna e alcuna richiesta di parità quando si tratta, ad esempio, di lavori rischiosi e pericolosi, mentre al contrario, in nome dell’uguaglianza, i media gridano quasi quotidianamente (riportando in libertà dati molto diversi , 7%, 15%, addirittura 50%) alla discriminazione per la differenza retributiva. Disparità che però fu smentita già nel 2010 da una indagine seria condotta dall’Osservatorio sulla gestione della diversità dell’Università Bocconi di Milano, coordinatrice Simona Cuomo, poi confermata nel 2017 dall’Eurostat, secondo la quale le differenze retributive fra uomini e donne sarebbero nell’ordine del 2% (quindi praticamente nulle e ben spiegabili), a parità di qualifica, mansioni, inquadramento e anzianità.
Tutta questa lunga premessa si rende necessaria per evitare equivoci e per non sminuire la portata del progetto della BBC sulla sessualità e sulle possibili cause chimiche, quindi fisiche, organiche, ovvero naturali, della differenza. Ben venga quel progetto, anche se a mio modesto parere somiglia alla scoperta che i raggi solari riscaldano o a quella dell’acqua calda. Voglio dire che ci sono cose note da sempre anche nella cultura popolare, che dapprima sono state negate in quanto, si diceva, frutto di superstizioni “medievali” o, come appunto il modo diverso dei due sessi di raggiungere l’orgasmo, frutto di un retaggio culturale del dominio patriarcale. Salvo, poi, doversi ricredere e ammettere, magari di mala voglia, che il medioevo o l’odiato patriarcato erano nel giusto. E per arrivare a tale fantasmagorica conclusione si fanno pompose ricerche scientifiche quando sarebbe stato sufficiente un po’ di buon senso e una qualche maggiore considerazione delle conoscenze, definiamole così, tradizionali. «Nel 21esimo secolo ci si aspetterebbe che uomini e donne avessero una vita sessuale ugualmente appagante», dice Cara Delevingne. E invece esiste il Gender gap. Ora, a parte il fatto che, credo, ogni donna aspira del tutto legittimamente da sempre, e non solo nel 21esimo secolo, all’appagamento sessuale, se la ricerca a cui si è gentilmente prestata la modella dovesse confermare l’origine organica di quella diversità, tutta la costruzione ideologica sull’oppressione “culturale” femminile crollerebbe di colpo. Rimarrebbe invece in primo piano la legittima aspirazione a superare, per quanto possibile, un gap non certo attribuibile agli uomini, attraverso la conoscenza dei corpi, il rispetto e l’educazione reciproche; in una parola attraverso la cultura. Sarebbe l’esatto rovesciamento della narrazione femminista. La “cultura”, che il femminismo tutt’ora giudica maschilista e patriarcale, non sarebbe la causa dello svantaggio e dell’oppressione a cui le donne sarebbero state sottoposte, bensì la soluzione.