Prima ondata femminista, inizio del XX secolo, scrive nella sua Autobiografia la leader del movimento suffragista inglese e riferimento di questa ondata, Emmeline Pankhurst: «Di solito sbalordivo i miei colleghi maschi dicendo loro: “Quando le donne avranno il voto, vedranno finalmente le madri poter rimanere a casa e prendersi cura dei loro figli. Voi uomini avete reso impossibile a queste madri di poterlo fare”» (Autobiografia, My own Story, The Making of a Militant, chapter II, p. 30, Hearsts’s International Library Co., Inc., 1914). Seconda ondata femminista, anni ’60 (riporto solo alcune citazioni tratte dall’opera La grande menzogna del femminismo, a pag. 1092): «I rapporti iniqui nella famiglia stanno forse alla base di tutti i mali» (Towards a Female Liberation Movement, Beverly Jones e Judith Brown, L’eunuco femmina, Germaine Greer); «Famiglia. […] la famiglia è una creazione maschile-patriarcale basata sul potere, non sull’equità» (Diccionario ideológico feminista, Victoria Sau); «la famiglia … deve scomparire – un destino clemente, se si tiene conto della storia di questa istituzione» (La politica del sesso, Kate Millett); «nessuna riforma del diritto di famiglia può cambiare sostanzialmente quello che la famiglia rappresenta oggi: il luogo dell’oppressione e dello sfruttamento della donna […] la prigione […] in cui la donna vende il suo corpo e la sua mente in cambio di sopravvivenza!» (Lotta Femminile, 1971). Oggi, ultima ondata femminista (quarta?, quinta?): «La famiglia è la sconfitta delle donne» (Ministro della Salute spagnola Carmen Montón, 2018); «la famiglia naturale è stata superata» (Segretaria di Stato per le Pari Opportunità spagnola, Ángela Rodríguez Pam, ottobre 2022). Ecco in poche righe l’evoluzione del concetto della famiglia.
Come è stato già segnalato in altri interventi precedenti, sul femminismo della prima ondata, le femministe di quest’ondata erano perlopiù conservatrici, religiose, antiabortiste e pro-famiglia. Durante la Rivoluzione industriale del XIX secolo, la maggior parte delle donne non voleva andare a lavorare in miniera o in fabbrica, voleva trovare un marito, sposarsi e formare una famiglia, un focolare mantenuto dall’uomo, e così lo esprimeva esplicitamente. L’idea che la maggior parte delle donne volesse vivere “libera” in una società ostile e pericolosa, e guadagnare il pane con il proprio sudore, è un’idea moderna nata con il femminismo della seconda metà del XX secolo che non rispecchia affatto la verità storica. Queste femministe della seconda ondata espressero un giudizio sulla società nella quale vivevano, una società molto diversa, moderna e più sicura, e lo estrapolarono dal suo contesto originale per estenderlo erroneamente su tutta la storia dell’umanità. Manifestazioni come quella summenzionata di Emmeline Pankhurst, massima esponente del suffragismo femminista inglese, farebbero rivoltare lo stomaco a qualsiasi femminista attuale. La critica delle femministe della seconda ondata, che possiamo far partire pacificamente da Simone de Beauvoir in poi, fu molto più radicale. Le prime volevano modificare alcuni aspetti della società, le seconde volevano stravolgere la società, cancellare tutto, perché il Patriarcato – concetto nato in questo periodo per merito di Kate Millett – era ovunque ed era tutto.
I nuclei unifamiliari sono un assurdo logico.
Se negli albori del femminismo il nemico era Lui, l’uomo (nella nota Dichiarazione dei Sentimenti, 1848, pietra fondante del movimento femminista, ogni punto della dichiarazione inizia con Lui e serve a elencare le sue colpe), durante la seconda ondata i nemici si moltiplicano all’infinito, perché tutto è il nemico: la famiglia, il matrimonio, la maternità, la paternità, l’eterosessualità, lo Stato, la scuola, l’università, la religione, la chiesa, il cinema, lo sport, l’arte, la società, il capitalismo, Internet, il linguaggio, l’amore romantico, ecc. Tutto è il nemico. Naturalmente, in questa lotta l’uomo rimane in cima alla lista – ed è questo che raggruppa tutte queste donne all’interno della definizione di femminismo, al di là delle proprie divergenze su altri temi, l’idea che storicamente e attualmente la donna è oppressa dall’uomo, che è il suo oppressore. Tra tutti i nemici, alla famiglia venne conferito un posto di riguardo: doveva «scomparire». E così, siamo arrivati ad oggi, con l’annuncio trionfale del Ministero delle Pari Opportunità spagnolo che «la famiglia naturale è stata superata». Annuncio al quale, stando ai dati più attuali nelle società occidentali, non mi sento di dare completamente torto: la famiglia è morente.
«Un milanese su quattro è single. Il 47,3 % dei nuclei familiari è formato da una sola persona: oltre 300 mila gli anziani». «La metropoli invecchia a ritmi vertiginosi». «Molto significativo anche il dato delle famiglie monoparentali (in cui c’è un genitore con almeno un figlio) che raggiunge le 32 mila unità (+7,6% negli ultimi 10 anni)». Dati del 2022, Milano, ma protrebbe essere qualsiasi altra città dell’occidente. Soli e monoparentali, come la “famiglia” della povera Diana Pifferi. Per invertire la situazione «la giunta ha approvato negli scorsi giorni il nuovo piano per il welfare cittadino». «“Questa evoluzione — spiega l’assessore comunale Lamberto Bertolé — ci mette davanti alla necessità di cambiare approccio, integrando la componente assistenziale con un potenziamento del welfare territoriale”». A nessuno è venuto in mente che il problema forse non è economico ma ideologico, che risiede nella mentalità sociale che abbiamo creato, che bisogna promuovere valori diversi, pro-famiglia, rispetto a quelli che vengono promossi oggi dalle istituzioni, se si vuole invertire la situazione. Nel frattempo le istituzioni, per edulcorare la situazione, ci parlano attraverso eufemismi, ci parlano di nuclei unifamiliari, «nuclei familiari formati da una sola persona» (non esistono nuclei familiari di una sola persona, sono persone sole, la semantica di famiglia richiede un insieme di persone) o di famiglie monoparentali (monoparentale è un eufemismo di figli orfani di uno dei due genitori).
Uomini sfruttati per redistribuire il loro reddito.
La prima cosa da fare, essenziale a questo punto, sarebbe quella di restituire alla famiglia il suo vero ruolo storico, invece di concepirla, come avviene nella narrazione femminista, come un’istituzione oppressiva a danno delle donne. La narrazione femminista distoglie la realtà storica di questa istituzione e capovolge i rapporti tra i loro membri. In una società ostica alla sopravvivenza, protezione e mantenimento erano beni che non tutti i loro membri riuscivano a produrre in modo soddisfacente, talvolta nemmeno per se stessi. Su questo ambito l’uomo era la macchina perfetta, non solo riusciva a produrre mantenimento e protezione per se stesso, era in grado di produrre un surplus che, se indirizzato correttamente (mediante l’amore, legami affettivi, norme sociali e religiose, ecc. ), veniva ridistribuito tra altri membri deficitari della società, all’interno di un nucleo umano che noi abbiamo denominato famiglia. L’istituzione della famiglia quindi agevolava la sopravvivenza della donna (e della sua prole) a “danno” dell’uomo, costretto a produrre in vita più di quanto a lui stesso fosse necessario alla sua sopravvivenza (un surplus da ridistribuire tra gli altri membri familiari), e così facendo si garantiva a lungo termine anche la sopravvivenza dell’umanità. L’unione sentimentale (o sessuale) senza protezione e vincoli non supponeva dunque l’emancipazione della donna, come ipotizza oggi il femminismo, ma piuttosto l’emancipazione dell’uomo.
Pur essendo la tesi dominante, non tutti gli intellettuali sovietici convalidarono la visione di Friedrich Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato (1884), della famiglia come luogo di sfruttamento della donna, nel ruolo di moglie-schiava. E.O. Kabo, una donna, sosteneva la posizione contraria: in famiglia il tenore di vita era parificato a costo dello “sfruttamento” di chi guadagnava lo stipendio, si raggiungeva la parità di consumo nonostante la disparità di reddito. All’interno della famiglia, l’uomo sarebbe il membro sfruttato; secondo una lettura femminista ribaltata, e con la stessa terminologia, l’uomo sarebbe “il marito-schiavo fornitore di risorse, castrato nella sua obbligata monogamia”. Il primo esattore dell’uomo è sempre stata la sua famiglia, e questa è la verità storica. Nell’interpretazione della realtà, la narrazione femminista dimenticò un concetto basico: la divisione del lavoro come lo descrisse Adam Smith. Così come oggi i nonni rimangono a casa con i nipoti in maniera che le figlie (più giovani e produttive) possano andare a lavorare, in passato le mogli rimanevano a casa con i figli per far in modo che i mariti potessero andare a caccia, a seminare i campi o a lavorare in fabbrica, e si faceva così perché gli uomini erano più produttivi di loro. Era il lavoro fuori casa a fissare l’ordine dentro casa e non il contrario, come ipotizza il femminismo.
La famiglia è argine allo Stato totalitario.
L’essere umano è un animale sociale. Il suo primo gruppo sociale si chiama famiglia. Questo gruppo crea legami affettivi forti che sono gli alimenti della sua anima, senza i quali l’essere umano deperisce. In questo gruppo l’essere umano nasce, cresce e riceve un tipo d’affetto che non ha paragone in nessun altro gruppo sociale. Di regola i membri di una famiglia sono disposti a donare la vita per altri della stessa famiglia (un padre o una madre per un figlio, un marito per la moglie, un figlio per un padre o una madre, ecc.). Questa regola universale della famiglia non si riproduce in nessun altro gruppo od organizzazione sociale, tranne qualche rara eccezione. Nella famiglia la sopravvivenza non è più una questione individuale, ma una questione di gruppo. Qualsiasi surplus viene ridistribuito comunitariamente e, nella scarsità, si patisce il freddo e la fame in gruppo. La famiglia ha sempre costituito l’istituzione di base della società. Il principale nemico della famiglia è lo Stato nella sua formulazione moderna neoliberale. Uno Stato forte, onnipresente, che vuole cittadini deboli, singole monadi obbedienti e isolate, un gregge timido e industrioso di cui lo Stato è il pastore. Uno Stato sovrano, tutelare, assoluto, minuzioso, sistematico, previdente e mite, che decide per i suoi sudditi cosa è il bene e il male, che decide chi si vaccina e chi no, in che modo dobbiamo mantenere relazioni sociali tra i sessi e rapporti sessuali, cosa possiamo dire e non dire, con quali parole e in quale linguaggio, quanti soldi (nostri) possiamo portare nella nostra tasca o tenere a casa o adoperare in una transazione (max. 1000 euro dal 2023), quali banconote se in nostro possesso devono essere segnalate anche se sono di corso legale (tagli grandi in banca), se possiamo cacciare, accendere un fuoco o fare una grigliata, se possiamo fare dei lavori a casa nostra, cosa possiamo donare o regalare, come dobbiamo educare i nostri figli che consegniamo dalla più tenera età a istituzioni scolastiche che decidono per noi se possono abortire oppure cambiare sesso, e ancora tanto altro.
Le famiglie hanno sempre rappresentato un argine contro gli Stati abusivi e totalitari, che unilateralmente monopolizzano la giustizia e la violenza, impartiscono i castighi, distribuiscono la paghetta e moralizzano i loro sudditi. Per assurdo le persone sono più disposte a sopportare angherie su se stessi che ad accertarle sui loro esseri più amati. Ogni ribellione contro un potere ingiusto è più probabile che nasca dall’intollerabile sofferenza provocata su un essere amato che dalla propria. Le famiglie sono un rifugio per le singole persone, che da sole sono prede facili dello Stato. Tutte le ideologie totalitarie auspicano Stati forti e ripudiano la famiglia. L’ha fatto la Convenzione francese durante il periodo del Terrore, l’ha fatto il nazismo, l’ha fatto il comunismo e lo fa il femminismo in generale, ancor più nel contesto attuale. Ogni richiesta femminista è una richiesta allo Stato femminista per la creazione di nuove norme e leggi, che in mezzo secolo si sono moltiplicate all’infinito. Per tutte queste ideologie la famiglia è sempre stato un nemico.