È stato pubblicato lo scorso 24 settembre sul Journal of Social Issues (rivista della Society for the Psychological Study of Social Issues), un pionieristico studio (“tutto al femminile” come si direbbe in ambiti femministi) condotto dalle studiose canadesi C. Erentzen, A. C. Salerno-Ferraro e R. A. Schuller (Toronto Metropolitan University e York University) il cui scopo è far luce sulla molestia femminile su ragazzi e uomini adulti, l’impatto negativo che essa ha sulle vittime, e le ragioni per cui questa fenomenologia è sottostimata nella consapevolezza generale, istituzionale e accademica. Negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo in questa direzione, e anche questo studio ne è un esempio: se gli studi sulla violenza domestica e sessuale sugli uomini erano rarissimi fino a un ventennio fa, e questi erano comunemente considerati fenomeni a vittimizzazione quasi esclusivamente femminile (e la situazione non è ancora granché migliorata), la categoria specifica della molestia sessuale sui maschi è praticamente ignorata dalla comunità scientifica (e minimizzata e trivializzata dal pubblico generale, come dimostra questo esperimento sociale sul catcalling). Per sopperire a questa mancanza, questo studio è stato condotto su un campione di soggetti maschili, specificamente orientato sui casi in cui a perpetrare la molestia è stata una donna, e – elemento molto importante – limitandosi a perpetratrici sconosciute o senza relazione stretta con la vittima (anche questo è un aspetto pionieristico della ricerca qui discussa).
Lo studio espone e discute i risultati di due ricerche distinte ma complementari, condotte su due campioni diversi, con modalità analoga (per avere già una prima verifica della consistenza dei risultati), ma con un focus in parte diverso: concentrando la prima ricerca sulla varietà e frequenza delle molestie subite, la seconda sull’età e il tipo dei primi episodi subiti dai soggetti. Occorre subito rimarcare che il campione non è enorme (circa seicento soggetti in totale, maschi tra i 16 e i 23 anni), e che non è randomizzato: i soggetti sono stati raccolti tra gli studenti universitari di un campus in Ontario. Tuttavia, rispetto ai corrispondenti studi ampiamente pubblicizzati riguardo le vittime femminili (di cui abbiamo esaminato alcuni casi ad es. qui e qui), presenta importanti punti di forza: il campione non è un numero di anonimi autocandidatisi a mezzo di siti web tematicamente orientati, ma è composto da soggetti coinvolti in presenza nella ricerca. I dati raccolti non si limitano a risposte a scelta multipla, ma comprendono domande a risposta aperta, che la maggioranza dei partecipanti ha scelto di compilare. I risultati di questa ricerca non vengono generalizzati acriticamente come viene fatto per gli omologhi femministi, ma le autrici riconoscono i limiti dello sforzo fatto, auspicando che apra la strada a ulteriori ricerche sul tema.
“Agli uomini piace…”.
Ebbene i risultati parlano chiaro: i soggetti maschili subiscono molestie da ragazze e donne con la stessa incidenza e regolarità, e con modalità simili, rispetto alla controparte. I soggetti hanno riportato un range di comportamenti molesti, a partire dalle attenzioni non richieste (il 45% dei partecipanti in entrambi gli studi), passando per contatti fisici non voluti (il 33% nel primo, il 39% nel secondo), i famigerati catcalls e simili (29% e 33% dei partecipanti), fino a veri e propri tentativi di coercizione (tra il 10% e il 20% dei due campioni). Completano il quadro i dati sull’online harassment: dall’invio di messaggi a carattere sessuale (dal 34% al 47% dei campioni), passando per richieste di foto di nudo (ricevute da circa il 27% dei soggetti), fino all’invio non sollecitato di foto di nudo (15%-29%) e altro. Interrogati sulle reazioni messe in atto, emerge che la grande maggioranza delle vittime maschili non reagisce, minimizza, o reagisce in maniera passiva (come: cambiare posizione, evitare le persone in questione, fino a modificare le proprie abitudini di vita), nonostante il disagio provato, e solo in pochissimi casi ci sono reazioni più assertive o fisiche. Emerge anche il frequente caso in cui i soggetti sperimentano un’insistenza che arriva fino al vero e proprio stalking, dopo aver rifiutato attenzioni non volute.
Riguardo l’età in cui i soggetti hanno dichiarato di aver ricevuto i primi casi di molestia, la media si attesta a circa 15 anni (16 per la molestia online), con un range che va dai 6 ai 19 anni (dai 12 ai 23 per la molestia online). Alcune tra le risposte alle domande aperte: «a 13 anni, un’amica di mia sorella maggiore cercò di tirarmi giù le mutande»; «quando avevo 15 anni, una ragazza mi toccò i genitali e mi tirò a sé per baciarmi, non avevo idea di chi fosse»; «una volta a 15 anni, mi trovavo in un centro commerciale, una donna adulta si avvicinò e cominciò a toccarmi in modo inappropriato». Un altro punto di forza di questo studio è che alla valutazione quantitativa degli episodi di molestia è associata una valutazione qualitativa dell’impatto che questi episodi hanno sulla salute mentale delle vittime. Le autrici sottolineano alcuni “miti” sulla violenza sessuale e sulla mascolinità intesa come performance da attuare (con regole rigide) da un uomo per potersi considerare “veramente” tale, miti che, pur smentiti dalla ricerca scientifica, hanno ampio credito nella mentalità comune, come ad esempio che sia impossibile per una donna violentare un uomo, o che agli uomini debba indistintamente piacere qualsiasi tipo di attenzione o pratica sessuale («A quale uomo non piacerebbe?» è proprio il titolo dato allo studio), e che in caso contrario vi sia una mascolinità difettosa o diminuita. O che anche quando non fa piacere, l’impatto psicologico sia comunque significativamente minore rispetto a una vittima femminile.
La violenza sessuale sugli uomini è normalizzata.
Non possiamo discutere singolarmente qui queste false credenze (il lettore troverà molti utili riferimenti nel testo dello studio), ma esse comportano un rischio aumentato per i maschi: sia di subire molestie (perché appunto la molestia sui maschi nella coscienza generale è vista come “innocua” o addirittura presunta “piacevole” per la vittima), sia di non riuscire a reagire, di un più pesante impatto psicologico, di non denunciare o comunque non parlare dell’episodio (con conseguente maggiore sofferenza), sia perfino di non qualificare la molestia come tale, pur vivendola con disagio. Sempre riportando dalle testimonianze dei soggetti dello studio: «andavo alle superiori, una volta mi trovavo in una fila, una strana donna che passava di lì mi toccò il sedere. Siccome ero un ragazzo, tutti si aspettavano che mi facesse piacere, magari che l’avrei inseguita, ma io mi sentii confuso e a disagio »; « durante le scuole medie, l’amica di un’amica fu invitata dal gruppo a fare una lap dance su di me, io rifiutai e tutti cominciarono a chiamarmi ‘femminuccia’ e ‘fifone’, quindi, per non fare brutta figura, mi arresi e la lasciai fare. Questo episodio rovinò il rapporto con la mia amica ».
Invitando il lettore a leggere integralmente lo studio, e con l’auspicio che esso possa appunto aprire la strada a ulteriori e più ampi studi su questa importante tematica (anche in Italia; ricordiamo il pionieristico e coraggioso studio di Fabio Nestola et al. sulle vittime maschili di violenza sessuale), e a una maggiore consapevolezza sul tema che possa contribuire a un cambio di mentalità, chiudiamo con alcune delle conclusioni tratte dalle autrici: « Stemple e Meyer (2014) notano che ragazzi e uomini vittime di questi episodi si sentono soli nel loro disagio, e perciò evitano di rivelarli e discuterne. La presente ricerca rivela che queste esperienze sono tutt’altro che rare o isolate, e che lungi dall’essere il “sogno proibito” di ogni essere di sesso maschile, si tratta di esperienze negative che portano disagio mentale e modifiche del comportamento usuale.( …) Le soluzioni e sanzioni correnti falliscono nel porre rimedio ai problemi sistemici e strutturali che normalizzano la molestia sessuale verso vittime maschili specie di giovane età. Un ampio mutamento nell’atteggiamento generale, nelle aspettative di genere, e nel rifiuto dei miti sulle vittime maschili di violenza sessuale, sono necessari».