Il femminismo spagnolo è in festa da giorni per essere riuscito a piantare l’ultimo chiodo a serrare la bara dove giacciono tutte le possibilità di un rapporto normale e bilanciato tra uomini e donne. Giovedì scorso, infatti, è stata approvata la “Legge sul consenso” riguardante le relazioni sessuali e la lotta allo stupro. Nella nuova norma le femministe, che in Spagna spadroneggiano dagli anni ’90 del secolo scorso, riescono a imporre il salto quantico da un concetto abbastanza normale, “no è no”, a un concetto surreale: “solo sì è sì”. Le due formule vanno contestualizzate in un momento di approccio sessuale: nel primo caso, laddove un soggetto (usualmente di sesso maschile) fa le sue avance verso un altro soggetto (usualmente di sesso femminile) spingendo per la realizzazione di un rapporto sessuale, questi deve tener conto che un diniego espresso esplicitamente dev’essere rispettato. Non farlo comporta l’accusa di violenza sessuale. Così ha sempre funzionato un po’ ovunque, per altro con discreti margini interpretativi, data l’abitudine peculiare femminile di dire “no” per innescare scaramucce seduttive o come mera e ultima affermazione, prima di cedere volentieri, della propria purezza morale. Quei “no” auto-terapeutici, insomma, per dire a se stesse: «ehi, io non sono una che la dà via facile, non sono una troia…», secondo il postulato assurdo e autoinflitto che fare l’amore con un uomo da cui si è attratte significhi “essere troie”. In quei casi l’uomo si sente spesso giustificato a insistenze di vario tipo, ed è lì che nell’era del “no è no” si sono spesso innestate accuse e denunce di stupro. Non è sempre facile capire quando un “no” femminile è mero gioco seduttivo, reazione autoassolutoria per un’insensata accusa autoinflitta o diniego vero e proprio, servono sensibilità e intelligenza per vedere il confine, e non tutti ne sono provvisti, purtroppo.
Tutto cambia nell’era spagnola del “solo sì è sì”. La classica sequenza da film romantico dove lui la prende per le spalle, lei si abbandona e, fissandosi pieni di desiderio e amore, lui la bacia con passione (con lei che corrisponde) sarà da tagliare, come faceva il prete di “Nuovo Cinema Paradiso”. Che lei arrotoli volontariamente la sua lingua su quella di lui stringendolo a sé non basterà più a significare un “sì” implicito: l’assenso deve essere chiaramente espresso, altrimenti è violenza sessuale. E così per ogni altro segnale o pratica seduttiva che apra la via a un rapporto sessuale: senza un’accettazione chiaramente espressa, le porte del tribunale e del carcere restano spalancate per il malcapitato. Parliamo al maschile perché è scontato che la legge spagnola, e ogni altra legge simile nel mondo, verrà applicata soltanto agli uomini e mai a parti invertite. Ma c’è di più: quel “sì”, oltre a dover essere esplicito, dovrà essere costantemente valido, prima, durante e anche dopo il rapporto, e questo ha conseguenze paradossali e pericolosissime. Il paradosso sta nell’immaginario di uomini che in tutte le fasi che portano a un rapporto sessuale, e anche dopo, chiedono costantemente alla partner se è d’accordo, se consentiva a questo o quello, nel terrore che possa aver cambiato idea senza dirlo, attendendo magari di raccontarlo a qualche commissario di Polizia. Si profilano già eserciti di ragazzi e uomini imbottiti di microcamere, microfoni, hardisk e armamentari vari per avere registrata la prova del consenso. Ma sarà tutto inutile: anche davanti ad evidenze schiaccianti, lei potrà sempre dire di essersi sentita forzata o di averci ripensato, in ogni caso di non aver detto “sì”, et voilà il cielo a strisce.
Non c’entra il genere, ma l’ideologia.
Per non parlare degli effetti dell’alcol o delle droghe: a quale livello alcolemico o tossicologico la donna perde la facoltà di dire un sì consapevole, si chiede il bravo Matteo Fais in un bell’articolo su “Il detonatore”? La conclusione di Fais è tanto esplicita quanto ragionevole e devastante: il rischio per gli uomini sarà tale che «meglio una sega che la galera». La legge spagnola come preparazione a un mondo di uomini e donne segregati e mostruosamente frustrati, insomma. Fais declina molto precisamente la deriva nella realtà delle relazioni umane: « È una situazione che può capitare a chiunque. Vai a letto con una – una consenziente, è ovvio –, però non desideri condurre oltre la vostra storia verso un rapporto duraturo, come magari lei desidererebbe. A quel punto, sei fottuto! La donna andrà in un centro antiviolenza a dire che tu l’hai posseduta contro la sua volontà». Scenario più che verosimile: la falsa accusa di stupro per consumare una vendetta personale è tra le più gettonate. Da questo, però, Fais trae una conclusione a nostro avviso sbagliata. Nel chiedersi il motivo di una deriva del genere, dice: «Il punto è che noi uomini dobbiamo arrenderci a un fatto: troppe donne ci odiano. Facendo un po’ di genealogia della morale femminista, si potrebbe dire che molte, inconsapevoli che l’emancipazione sessuale non va solo a loro vantaggio, sono andate senza tanti pensieri a farsi imburrare dal belloccio di turno, ricavandone un qualche botta di cazzo e poco più. Da quel momento, però, il loro odio si è diffuso a macchia d’olio verso tutto il genere maschile, senza distinzioni. In ognuno di noi, queste vedono solo qualcuno che potrebbe potenzialmente riaprire la cicatrice della propria ferita narcisistica. Invece di accettare il loro privilegio di poter avere accesso facile alla sessualità, molto più dell’80% degli uomini, ne hanno fatto una malattia e stanno cercando di infettare anche noi».
Dissento da Fais quando dice «troppe donne ci odiano», che è il punto nodale della sua spiegazione. Il concetto diventa più verosimile in questa versione, a mio avviso: «troppe femministe finite in posizioni di potere ci odiano». A essere dirimente non è il genere, ma l’ideologia e il potere, e a riprova c’è il fatto che la legge spagnola è stata approvata anche grazie a un gran numero di voti di uomini. Non ha poi molta utilità capire quale sia l’origine dell’odio: può essere quella individuata da Fais o il mero fatto che il femminismo stesso è basato sull’odio radicale verso l’uomo. Alla fine ciò che conta è che chi ha potere oggi è una minoranza che veicola quel sentimento, anche a dispetto della maggioranza. Gli esempi storici non mancano: i nazisti erano una minoranza tra i tedeschi, ma presero il potere e diedero sfogo al loro odio contro gli ebrei. I coloni europei pure rispetto agli indiani d’America. Anche gli inquisitori della Controriforma rispetto ai non-cattolici o i comunisti sovietici rispetto ai kulaki. Il problema sta nel consentire a una minoranza fortemente ideologizzata di entrare nelle stanze del potere, da un lato, e dall’altro nella necessità di risvegliare gli ipotetici beneficiari indiretti e attuali dell’estremismo ideologico rispetto alla potenziale devastazione degli esiti ultimi di quell’estremismo. Moltissimi tedeschi, europei, cattolici o russi hanno sicuramente pensato in un primo momento che quelle leadership invasate potessero ottenere risultati che avrebbero riverberato positivamente sulle loro vite, e che dunque qualche “danno collaterale”, quand’anche atroce, nel loro presente fosse un prezzo equo da pagare. Non mancarono, ai tempi, persone che segnalavano le anomalie e i pericoli, ma non hanno avuto la forza e il tempismo di farsi ascoltare, e così sono serviti esiti tragici per mostrare tutto l’orrore intrinseco alle ideologie che in molti, in troppi avevano passivamente fiancheggiato.
Spezzare la catena d’odio.
Oggi non è diverso. Oggi molte donne istintivamente vivono come genericamente positiva la legge spagnola, e per questo la fiancheggiano passivamente (va detto però che sono anche moltissime a osteggiare la deriva femminista), spesso senza nemmeno conoscerla nel dettaglio, ma standosene delle versioni edulcorate che vengono spacciate dai media di massa. Lì sta la presa ideologica del femminismo e lì occorre agire, finché si può, per mostrare che oggi si paga un prezzo alto per un esito altissimamente dannoso. Il lavoro da fare, che ricade al momento sulle spalle di persone come noi e Fais e di coloro che ci seguono, è quello di mostrare ora a chi pensa di poterne trarre un beneficio attuale i possibili disastrosi esiti ultimi della realizzazione nel mondo di un’ideologia votata all’acquisizione di potere tramite l’odio verso un genere specifico. Pare un compito difficilissimo, ma non lo è: ogni donna è figlia di un padre, madre di un figlio, sorella di un fratello, moglie di un marito, e di natura le donne non odiano gli uomini, anche quando ne restano deluse, essendo consce della complessità intrinseca alle relazioni umane. Non è utile, dunque, perdersi nel lamento generico e infondato per cui “troppe donne ci odiano”: chi può, fin tanto che è concesso, deve invece sgomitare e farsi largo tra gli uomini e le donne di buona volontà, mostrare loro le reali conseguenze di certe scellerate decisioni politiche e ideologiche, e spingerli affinché insieme ragionino, dialoghino con franchezza, si riconoscano e legittimino reciprocamente e costruiscano un contesto socio-culturale bilanciato e giusto nelle relazioni tra i generi. Fatto questo, si inaridirà spontaneamente quella palude malsana dove il femminismo trova i suoi passivi fiancheggiatori e infine si spezzerà la catena d’odio inoculata nelle leggi e nella società civile da quella minoranza folle, follemente innamorata del potere e imbevuta del più feroce odio di genere.