«Le donne dovrebbero poter tornare a vivere libere e autonome», ha dichiarato la presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen, durante il dibattito sullo stato dell’Unione svoltosi a metà settembre 2021 al Parlamento europeo, dove ha annunciato inoltre di voler presentare una legge contro la violenza di genere. Questa dichiarazione merita una profonda riflessione, per la gravità della denuncia e per la persona che la proclama, non una persona qualsiasi alla fine di una serata di bevute con gli amici in un bar ma la più alta carica dell’UE nel Parlamento europeo. L’affermazione è molto vaga, non è accompagnata da dati o riferimenti contrastabili né specifica date o luoghi. Si tratta quindi di un’affermazione soggettiva che non è possibile falsificare. «Poter tornare» richiama un’epoca nella quale le donne vivevano «libere ed autonome». A quale epoca si riferisce von der Leyen? Al Medioevo? All’Impero Romano? Alla Preistoria? O intende il fantasioso matriarcato protostorico? Von der Leyen non ha precisato. Il fatto che lei abbia rilasciato questa dichiarazione al Parlamento Europeo ci fornisce invece un indizio sul luogo: si tratterebbe delle donne di Europa, non delle donne ad esempio dell’Afghanistan o della Corea del Nord. Ma questo elemento chiarisce poco, anzi, per quanto mi riguarda è un nuovo motivo di preoccupazione: ma in quale posto d’Europa abita Von Der Leyen? Ma chi frequenta? Nel luogo dove abito io, basta uscire di casa per vedere donne libere e autonome. Ho trascorso la mia adolescenza e gioventù negli anni ’80 a Madrid, durante la nota movida, e già all’epoca di sera per le strade c’erano più ragazze che ragazzi, libere e autonome, di cui io sono testimone diretto.
Lei, presidente della Commissione Europea, sul serio non è libera e autonoma (o sarebbe piuttosto più conveniente chiedere se non si sente libera e autonoma?)? Evidentemente se le donne non sono libere e autonome, le istituzioni devono promuovere leggi per far tornare le donne libere e autonome. Inutile ricordare che in linguistica si parla di “formulazione di inferenze”, intesa come la comunicazione che si trasmette non solo con ciò che viene detto ma anche con ciò che non viene detto, dedotto in maniera conscia o inconscia dal messaggio esplicitato. Tutte le comunicazioni e gli slogan femministi hanno sempre un’altra lettura, che molto spesso ci dimentichiamo di mettere in luce. In questo caso, quando Von Der Leyen dichiara che «le donne dovrebbero poter tornare a vivere libere e autonome», sta comunicando anche, per opposizione – l’umanità è divisa in due sessi, uomini e donne, e se una metà non è libera e autonoma, non lo è necessariamente per opposizione rispetto all’altra –, che gli uomini sono liberi e autonomi e quindi non c’è bisogno che le istituzioni promuovano politiche a loro favore. Credo che non sia più necessario approfondire la dichiarazione di Von Der Leyen. Si tratta di un’asserzione che ricade nel mondo della soggettività e non è falsificabile, che sfida la logica e la realtà, realizzata dalla più alta carica dell’UE. Appello al buon senso e all’esperienza di ogni lettore, uscite di casa e guardate, oppure tra le vostre conoscenze, riflettete se vi trovate in presenza di donne schiave o di donne libere e autonome come lo siete anche voi. Questa dichiarazione è pura e semplice propaganda, un chiaro esempio di spazzatura ideologica propinata alle masse ignare del reale vissuto storico e desiderose di aiutare in qualsiasi caso le donne mediante il ricatto emotivo.
La propaganda e la grande massa.
Come funziona la propaganda femminista? Ecco le parole, che il movimento femminista segue alla lettera, di un noto e stimato pensatore, Adolf Hitler, tratto da La mia battaglia (Mein Kampf): «La capacità recettiva delle masse è molto limitata, e la loro comprensione è scarsa; d’altra parte, essi hanno una grande capacità di dimenticare. […] A chi si deve rivolgere la propaganda? Ai ceti intellettuali o alle masse meno educate? La propaganda deve rivolgersi soltanto alle masse. All’intelligenza, o per ciò che oggi si chiama così, la propaganda non serve quanto una chiarificazione scientifica. […] Tutta la propaganda dovrebbe essere popolare e dovrebbe adattare il suo livello intellettuale alla capacità recettiva del meno intellettuale delle persone a cui si desidera rivolgersi. Quindi deve affondare la sua elevazione mentale in proporzione alla quantità delle masse a cui si deve aggrappare. Se l’obiettivo è quello di radunare un’intera nazione nel suo cerchio di influenza, l’attenzione per cercare di evitare un livello intellettuale troppo elevato non è mai sufficiente. . […] Le masse popolari non consistono in professori o diplomati. […] Ci può essere soltanto successo quando si conquista l’anima del popolo.
[…] Tutta la propaganda efficace deve essere limitata a pochissimi punti che devono essere esposti sotto forma di slogan finché anche l’ultimo uomo sia in grado di comprendere ciò che ogni slogan significa. Se si sacrifica questo principio per il desiderio di avere molte sfaccettature, si dissiperà l’efficace lavoro della propaganda, perché il popolo non sarà in grado di digerire o trattenere il materiale che gli viene offerto. Inoltre si indebolirà ed infine cancellerà la sua stessa efficacia. […] Il successo di ogni pubblicità, sia negli affari che in politica, è dovuto alla continuità ed alla consistenza con cui viene impiegata. L’esempio della propaganda nemica era tipico anche di questo. Si limitava a pochi punti di vista, era indirizzata soltanto alle masse, e veniva perseguita con instancabile perseveranza. […] La stragrande maggioranza delle persone sono così femminili in natura e nei punti di vista che i loro pensieri e le loro azioni sono governati più dal sentimento e dalle emozioni che dalla considerazione ragionata. […] L’ arte della propaganda consiste proprio in questo: che essa trovi la via dell’attenzione e del cuore delle grandi masse, in quanto ne comprende il mondo sentimentale e rappresentativo. Ma che ciò non sia capito dai nostri scaltrissimi intellettuali, dimostra solo la tipica pigrizia della loro immaginazione. Se invece si capisce la necessità di impostare la propaganda sulla grande massa, ne conseguono le seguenti dottrine. È sbagliato dare alla propaganda la varietà dell’insegnamento scientifico.
Nazismo e femminismo: perfettamente intercambiabili.
[…] Lo slogan può essere messo sotto diverse luci, ma ogni trattamento che si effettua su di esso dovrebbe sempre finire con lo slogan. La propaganda non può lavorare con solidità ed in maniera consistente in nessun’altra maniera. […] Non c’è alcun bisogno che la propaganda si preoccupi essa stessa del valore di ognuno dei suoi studiosi, per quanto riguarda efficienza, capacità, intelletto, o carattere. […] quest’arma intellettuale si può impiegare efficacemente soltanto con le masse. […] Sia nel soggetto che nella forma, la propaganda dovrebbe essere strutturata per raggiungere le masse popolari; l’unico mezzo per misurare la sua correttezza è il successo pratico. In un grande assembramento popolare lo speaker efficace non è quello che fa appello maggiormente alla fetta di persone istruite del suo pubblico, ma quello che cattura i cuori della folla. L’obiettivo di un movimento di riforma politica non si ottiene mai con spiegazioni dettagliate, o portando un’influenza al fine di tollerare i poteri che ci sono, ma soltanto impadronendosi del potere politico».
È incredibile come questo noto e stimato (modalità ironica) pensatore, Adolf Hitler, sia riuscito a descrivere con tale precisione il modus operandi della propaganda femminista. Si appella all’emozione, non alla ragione, nasconde l’altro lato della Storia, riduce la comprensione della realtà complessa che ci circonda a pochi slogan semplicistici e parziali: il gap salariale è dovuto alla discriminazione sessista, la violenza di coppia al desiderio di dominio patriarcale, lo stupro al desiderio di potere maschile… Ogni slogan viene ripetuto e ripetuto con perseveranza, e non importa quante volte sia stato smentito (come succede con il gender pay gap), che ogni volta riappare con la stessa forza. La dichiarazione di Von Der Leyen è un valido esempio di questa propaganda. Storicamente e attualmente le donne sono vittime, una condizione – o forse sarebbe meglio parlare di percezione – che è stata condivisa da pressoché da tutti i ceti e gruppi sociali: i proprietari terrieri si sentivano vittime derubate dai loro mezzadri, gli schiavisti del cotone vittime rapinate da schiavi parassiti e nullafacenti nei mesi di basso o nullo lavoro nei campi, le femministe europee (persino la presidente dell’UE) si descrivono come le afghane e aspirano ad essere «libere ed autonome». Il termine più ricorrente delle femministe e dei femministi storici per descrivere la condizione storica delle donne è stato quello di schiavitù. Le donne erano schiave e, naturalmente, dovevano essere liberate. Il femminismo è un Movimento di Liberazione. Anche gli ariani erano schiavi. Il femminismo, come il nazismo, è portatore di una missione universale di liberazione di una parte dell’umanità. Entrambi definiscono così il bene e il male, investiti dalla superiorità morale che conferisce loro la loro fede s’arrogano il potere di emanare leggi e di sopprimere costumi. Su questo nazismo e femminismo sono perfettamente intercambiabili. Concludo con qualche brano dell’inno nazista:
Milioni guardano
con speranza alla croce uncinata,
il giorno della libertà e del pane è arrivato.
…
Presto le bandiere di Hitler
Sventoleranno su tutte le strade,
la schiavitù durerà ancora per poco tempo.