Messaggio del Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati in occasione della Festa del Lavoro, 1° maggio 2022: «Proprio alle donne va oggi un mio particolare pensiero: tra esse si registra il maggior numero di vittime di incidenti mortali sul lavoro, che sono in aumento così come gli infortuni. E penso anche alla parità salariale, ancora da conquistare, benché la Costituzione riconosca alle donne gli stessi diritti e le stesse retribuzioni che spettano agli uomini». Così si è espressa la seconda più importante carica della Repubblica Italiana, dicendo stupidaggini durante la Festa dei lavoratori. È interessante notare come, fra tutti i discorsi pubblicati nel sito del Senato (Discorsi del Presidente del Senato della Repubblica Maria Elisabetta Alberti Casellati), proprio di questo discorso del 1° maggio non ci sia più traccia (salvato in screenshot dal sottoscritto e comunque pubblicato integramente da alcuni media, come si può accertare cliccando sul link). Qualche funzionario ha dovuto sentire un certo disagio e un minimo di pietà, e ha deciso di cancellarlo. A parte il fatto che il gender pay gap, cioè la differenza di retribuzione tra uomo e donna per un uguale lavoro, viene da anni smentito per attiva e per passiva, in italiano, in tedesco, in inglese, in francese, in tutte le lingue del mondo, con grafici e senza grafici, con video, per iscritto, con disegni, ma niente da fare: per carità, a ognuno le sue fisse. Ma sulla prima stupidaggine è difficile glissare. Da quando il mondo è mondo gli uomini sono la stragrande maggioranza delle vittime di incidenti mortali e di infortuni sul lavoro. Con divergenze numeriche molto rilevanti. Una verità che sanno persino i bambini. Ora, come è possibile che la seconda più importante carica di un paese occidentale possa proclamare simili stupidaggini senza doversi dimettere o essere destituita ipso facto? Quale invisibile forza oscura la protegge? Oggi mi sento magnanimo, concedo alla Presidente del Senato l’esimente dell’ignoranza: rinchiusa nelle stanze del potere lei non poteva avere dimestichezza con il mondo lavorativo e le sue tragedie.
Luigi Sbarra, il segretario del sindacato Cisl, durante il discorso del 1° maggio ad Assisi, ha affermato: «C’è una strage infinita, vergognosa, che ha visto oltre 13 mila vittime nell’ultimo decennio, quasi 1.300 ogni anno, più di tre al giorno, soprattutto giovani e donne». Qui il discorso diventa più imbarazzante, in teoria si tratta di un “esperto” del mondo lavorativo che afferma le stesse stupidaggini. In questo caso non si può più invocare l’esimente dell’ignoranza. Naturalmente entrambe le affermazioni sono false, non muoiono più spesso i giovani e non muoiono più spesso le donne. Sinceramente non ho più voglia di smentire per l’ennesima volta bufale simili, mediante dei dati che possono essere ritrovati senza grosse difficoltà con una ricerca massima di cinque minuti su internet. Altri prima di me l’hanno già fatto. Tutti sappiamo che le morti di uomini sul lavoro s’aggirano intorno al 95% del totale. Sarebbe piuttosto più interessante chiedersi come sia possibile asserire pubblicamente delle bugie gigantesche che sfidano la ragione senza le dovute ripercussioni negative per chi le pronuncia. Ad esempio, da qualche decennio le istituzioni e i media divulgano un nuovo concetto femminista, la “femminilizzazione della povertà”. Il Parlamento europeo ha asserito che «la povertà ha un volto femminile», eppure se voi chiedete a un bambino di disegnare un barbone, il bambino disegnerà quasi certamente un uomo. Il bambino disegna ciò che vede, e per le strade delle grosse città i senzatetto sono nella stragrande maggioranza uomini. Per qualsiasi bambino “la povertà ha un volto maschile”, il bambino disegna la realtà, ma il Parlamento europeo e i media proclamano proprio il contrario, sfidano la realtà anche al costo di violentare la ragione.
La legge del doppio standard.
Il peggior nemico del femminismo non è il maschilismo o il patriarcato, ma la logica e i dati. Lo scandaloso doppio standard di giudizio che mette in atto sistematicamente il femminismo è reso possibile solo da una continua ridefinizione della logica e dei dati. Gran parte delle affermazioni femministe si proclamano in maniera dogmatica, senza la necessità di dover presentare alcuna evidenza a conforto di quanto affermato. Per questo motivo la teoria femminista è più vicina a una fede religiosa che a una dottrina filosofica. Ciò spiega perché le discussioni con le femministe sono perlopiù sterili, una femminista non ha bisogno di evidenze, può affermare una cosa e il suo contrario, ad esempio può proclamare che grazie al femminismo gli uomini stanno rivalutando la paternità ed è giusto che i padri si impegnino a trascorrere la metà del tempo con i figli e si prendano più cura di loro e nel contempo proclamare, come è stato fatto esplicitamente, che l’affidamento condiviso nei casi di separazione è una forma di violenza di genere. All’interno del movimento femminista la logica è una perfetta sconosciuta e il suo uso molto pericoloso, può far tremare verità incontrovertibili. Se ad esempio non esistono differenze tra un uomo e una donna – importantissimo dogma proclamato dal femminismo dell’uguaglianza –, se le donne possono fare tutto quello che fanno gli uomini senza alcuna differenza, governare, dipingere, fare sport o andare nello spazio, che differenza fa se a governare, a giocare a calcio o ad andare nello spazio è un uomo o una donna? Che necessità c’è di promuovere le donne al governo o tra gli astronauti? Perché insistere continuamente sulle quote, la promozione di accademiche nelle università e di donne nei consigli dell’ONU? Per quale motivo dunque dà fastidio la presenza maschile nelle diverse sedi, se non ci sono differenze?
Anche sul fronte della logica, come su quello del doppio standard di giudizio, gli esempi possono essere pressoché infiniti. Infatti si parla di “logica femminista”, un eufemismo per indicare l’illogicità. «Le statistiche sulle università americane mostrano che le donne ottengono dei master universitari in maggior numero rispetto agli uomini, ciò significa che le donne hanno raggiunto la parità nell’istruzione» (Conferenza donne ispanoamericane, La cultura de la paridad, VII Encuentro de Mujeres Líderes Iberoamericanas, Fundación Carolina – CeALCI, 2011, p. 31). Logica: maggior numero = parità. «Nella provincia di Oristano, la presenza femminile fra il personale degli uffici postali è al 64%. Il dato oristanese supera di 10 punti in percentuale la media nazionale. Un risultato più che positivo su un tema sempre attuale come quello della parità di genere sul lavoro». Logica: 64% = parità. «Leva obbligatoria per le donne? Il no delle deputate . Prima di parlare di parità dei doveri, parliamo di parità dei diritti. […] Ritengo che quella di intraprendere una carriera militare debba essere e restare il frutto di una libera scelta. Sono insomma per lo status quo e dunque per lasciare la leva obbligatoria solo per gli uomini». Logica: libera scelta per gli uomini = leva maschile obbligatoria. (Da notare che dal primo giorno di arruolamento il soldato incomincia a fare carriera, dopodiché sta a lui decidere se rimanere o uscire dal corpo. Fanno carriera persino i soldati morti, ai quali vengono conferiti talvolta riconoscimenti o medaglie. Inoltre, doveri e diritti vanno sempre di pari passo, sono le due facce della stessa medaglia, un dovere è sempre un non-diritto: il dovere di leva è la mancanza del diritto di non essere richiamato).
Non è cambiato nulla.
A febbraio 2012, in una visita in Italia, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, dichiarò che il femminicidio «è la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni». L’anno dopo fu il Senato della Repubblica a proclamare un’asserzione simile. In entrambi i casi presentai un esposto-denuncia presso la Procura della Repubblica (c. p. artt. 656, 658, 661). Una bugia gigantesca, che poteva essere facilmente smentita da una semplice ricerca presso il Ministero dell’Interno o presso il Ministero della Salute. In allegato alle denunce (marzo 2012 e febbraio 2013), screenshot di articoli e video di questo falso dogma della violenza maschile come prima causa di morte delle donne a livello nazionale o internazionale nelle sue diverse varianti, realizzati dai media (Corriere della Sera, Ansa, RAI 1 tg1, Io donna, Il Giornale, La Stampa, La Repubblica, L’Unità, Il Manifesto, Focus, Napoli Today, Smtv San Marino, RAI tg3, Rete 4, Mediaset Tgcom 24) e da istituzioni (Consiglio di Europa raccomandazione 1582, Senato della Repubblica, Ministero delle Pari Opportunità, Consiglio Comunale e Provinciale di Ferrara, Provincia di Modena, Provincia di Firenze, Comune di Como, Associazione Ligure dei Giornalisti, Commissione pari Opportunità Fnsi Comune di Genova, sito Partito Democratico PD, Partito politico Rifondazione comunista, Associazione LibeRe, Unione Donne in Italia U.D.I., Centro Antiviolenza Pistoia). In allegato anche i documenti che smentivano tali falsità. In pratica non una persona qualsiasi, ma l’esperta dell’ONU sulla violenza ha proclamato una gigantesca stupidaggine che sfida la logica e l’esperienza di ognuno di noi: quante donne conoscete che sono morte uccise da un uomo rispetto a tutte le altre decedute per altre cause?
Da allora sembra che questa enorme bugia abbia perso la sua forza propulsiva (sostituita da altre). Già nel lontano 2009 Rino della Vecchia scriveva una lettera a La Repubblica per protestare: «Come è possibile affermare che 1 è più grande di 100, di 500 e di 1000?». Nella lettera Della Vecchia si domanda sulle intenzioni delle bugie, e di questa in specifico. Una lettera di lettura obbligata per la sua profondità di analisi. Siamo nani sulle spalle di giganti. Eppure, malgrado le proteste già nel 2009 e l’evidenza della falsità dell’asserzione, fino al 2013 il giornale La Repubblica ha continuato a divulgarla volutamente senza farsene un problema. Com’è possibile che i media e le istituzioni, come ha fatto La Repubblica, possano divulgare per anni e anni enormi e lampanti bugie, come la prevalenza delle donne tra i morti sul lavoro o la prima causa di morte delle donne, senza alcun imbarazzo né ripercussione? Semplice, perché il femminismo dimora nel regno delle emozioni, fuori dalla realtà e dalla logica. Tra i commenti alla lettera di Della Vecchia, un tale Carlo scrisse: «vedo che hai pubblicato la lettera di Rino anche tu!! Ottima iniziativa, prima o poi qualcosa deve succedere…». Fa anche tenerezza rileggerlo ora. No, non è successo nulla. Siamo dove eravamo. Elisabetta Casellati e Luigi Sbarra ne sono la prova.