È ingiustamente passata sotto silenzio dalle nostre parti la direttiva 321 emessa il 7 giugno scorso dal governo di Kiev, in Ucraina. Essa stabilisce che a partire dal 15 giugno verranno mobilitate al fronte tutte le donne del paese già compatibili con il servizio di leva. Non solo: a partire dal 30 giugno verranno reclutate, addestrate e mandate al fronte tutte le donne abili al combattimento e di età compresa tra i 18 e i 60 anni. Motivo della decisione, secondo il testo della direttiva, è la necessità di rimpinguare i ranghi dell’esercito, sempre più decimati dai combattimenti contro le forze armate russe. Poco importa che le donne ucraine siano fuggite a milioni nei mesi scorsi verso vari paesi europei, spaventate più dal loro governo che dai russi: l’intenzione del governo di Kiev è comunque di rastrellare le strade e arruolare chiunque possa imbracciare un’arma (occidentale) e spedirlo al fronte, volente o nolente, come già è stato fatto e si continua a fare con uomini di ogni età.
Si tratta di una notizia di importanza colossale ed è davvero inspiegabile come i mass-media occidentali, sempre così attenti a tutto ciò che accade sullo scenario bellico orientale e soprattutto a mettere in luce le eccellenze ucraine, abbiano sostanzialmente ignorato questa iniziativa della leadership di Kiev. Di fatto, con questa decisione l’Ucraina è uno dei pochi paesi al mondo che realizza concretamente la parità tra uomini e donne, spezzando con decisione quell’odioso privilegio patriarcale e maschilista che riservava soltanto agli uomini la possibilità di servire in armi il proprio paese. Tra i tanti ambiti di predominanza maschile, quello militare era infatti il più antico e apparentemente intoccabile, tanto che nessuno stato europeo o atlantico si è mai azzardato a metterlo in discussione.
Ben intesi: ogni esercito in occidente ha la sua bella compagnia di soldatesse, aviatrici, marines, paracadutiste e quant’altro, tutte ottime per le parate o qualche shooting sui media di massa, ma nessuno (tranne forse lo Stato di Israele) si è mai sognato di dislocarle su scenari bellici reali, né in prima, ma nemmeno in seconda, terza o quarta linea. La complessione tipicamente femminile, si dice con vergognoso sciovinismo, non è adeguata ad azioni d’assalto o a ritirate rapide. Chi ha provato a utilizzare le donne al fronte (è capitato agli Stati Uniti in Iraq) ha finito per riscontrare che esse sono d’impaccio il più delle volte, oppure si distinguono per atrocità e abusi di potere (remember Abu Grahib?) ben oltre le regole d’ingaggio stabilite. Grazie a queste scuse il predominio maschile patriarcale in ambito militare ha potuto perpetuarsi indisturbato per secoli e fino a oggi. Fino alla direttiva 321 del governo di Kiev.
Grazie a quest’ultima finalmente le donne potranno essere partecipi di uno degli innumerevoli privilegi che la predominante e opprimente cultura patriarcale ha riservato da sempre al solo genere maschile: marcire in trincea in condizioni di vita miserabili e spesso sotto una pioggia di bombe, con il terrore costante che una colpisca la trincea stessa; vivere la realtà disumana del “uccidi o muori ucciso”; obbedire a ordini assurdi e non di rado suicidi; vedere la propria commilitona sbudellata o smembrata da una mina, cercare di rimettere insieme i suoi pezzi per poi abbandonarla lì a marcire o a venire divorata dalle bestie selvatiche; ricevere ferite sanguinose nelle più svariate parti del corpo e trovarsi poco dopo amputate; venire catturate dal nemico che, se va bene, ti riempie di botte e poi ti imprigiona, se va male prima ti stupra poi ti sgozza come un agnello a Pasqua; prendersi, infine (opzione forse tra le migliori), una pallottola in testa e dire addio in un istante a marito, figli, padre, madre, vita, sogni… Tutte queste meraviglie, finora appannaggio esclusivo degli uomini baciati dalla fortuna del privilegio patriarcale e maschilista, d’ora in poi in Ucraina saranno accessibili anche alle donne. Un eccezionale passo avanti su quella strada della parità dove noi europei e occidentali siamo ancora molto indietro. Le femministe nostrane prendano spunto, abbandonino temporaneamente la loro commendevole battaglia contro il catcalling, il mensplaining, il menspreading e il bodyshaming e inviino se stesse volontarie a combattere fianco a fianco con le loro sorelle ucraine. Esibire l’esercizio concreto della parità sarà lo schiaffo più forte contro l’intero sistema maschilista e un’umiliazione per tutti i critici del femminismo.