Si susseguono, com’era prevedibile, gli articoli sulla sentenza Depp-Heard. Le posizioni – in gran parte femminili – sono prevalentemente a favore di Johnny, ma non mancano i pareri allarmistici – esclusivamente femminili – per il pericolo che quella sentenza rappresenta e rappresenterà anche in futuro. Me ne vengono segnalati in continuazione: di solito sorvolo poiché sarebbe impossibile e anche noiosamente ripetitivo commentarli tutti. Fa eccezione un articolo a firma di tale Debora Attanasio, ex segretaria di Riccardo Schicchi, giornalista e social media manager. L’intervento merita qualche minuto di attenzione per come si distingue in termini di faziosità, menzogne e ideologia tossica che ne trasuda. Debora la prende larga, parte dal 1977 citando alcuni casi famosi all’estero tra i quali infila anche il caso Bobbit e la spara davvero grossa: secondo la brillante social media manager, Lorena Bobbit sarebbe diventata «il simbolo della malvagità delle donne», testuale. Non ricorda, o finge di non ricordare, che le cose andarono esattamente al contrario. Lorena fu eletta a simbolo delle donne che hanno trovato il coraggio di ribellarsi al maskio violento, è uscita tra gli applausi delle associazioni femministe che hanno riempito le piazze e presidiato il tribunale a ogni udienza del processo. Poi ha fatto il giro di tutte le emittenti tv, ha rilasciato interviste alle principali testate, ha firmato contratti televisivi e cinematografici e ha dato alle stampe l’immancabile libro di memorie. Ancora oggi, a distanza di decenni, incassa i diritti su serie tv, film e documentari tradotti in più lingue e venduti non solo negli Stati Uniti. Lo show business USA l’ha resa ricca e famosa, era ed è ancora una paladina dei diritti delle donne, ma la Attanasio si sforza di dipingerla come vittima del patriarcato, perseguitata per aver amputato “il coso” a suo marito e quindi etichettata come simbolo della malvagità delle donne e di cosa siano capaci di nascondere dietro la bella facciata.
Dove però Debora Attanasio tocca vertici sublimi è nelle osservazioni al processo Johnny-Amber: «(…) questa vicenda ha prodotto danni con i quali si troveranno ad avere a che fare le donne dai 40 in giù nei prossimi anni. (…) La sentenza servirà da oggi ai misogini per giustificare quel vittimismo con cui fingono di non sapere che un uomo può uccidere una donna a mani nude mentre l’inverso è impossibile». Capolavoro! Andiamo per gradi, la carne al fuoco è tanta. La sentenza – dice lei – ha prodotto danni che sconteranno le donne in futuro. In realtà a scontarli non saranno “le donne”, ma “le donne bugiarde e diffamatrici”, quelle che fanno leva sul fatto che un uomo non viene creduto e glielo sbattono in faccia… c’è una certa differenza. È una strategia classica del femminismo più becero quella di generalizzare per far sentire sotto attacco l’intero genere femminile. Funziona sempre così, ormai la tatticuccia da quattro soldi è smascherata: una pacca sul sedere è “una violenza a tutte le donne”, un fischio per strada è “una violenza a tutte le donne”, una battuta riferita ad una singola persona è “una violenza a tutte le donne”. Quindi Amber perde una causa e parte l’allarme collettivo “siamo tutte in pericolo, sorelle”. Non solo: la Attanasio dice poi che la sentenza servirà ai misogini per giustificare il vittimismo. Certo, chi non appartiene alla falange siamotutteamber odia le donne. Potete pensare liberamente tutto ciò che volete, ma se la pensate diversamente da lei siete nemici da insultare. Infine: i misogini fingono ipocritamente di non sapere che un uomo può uccidere una donna a mani nude mentre l’inverso è impossibile. Una tattica che emerge spesso nella narrazione femministicamente corretta: non guasta mai introdurre ad minchiam un pistolotto sul femminicidio, è un evergreen del peggiore vittimismo, un classico che va su tutto. Anche se il processo era per diffamazione, è buona cosa infilarci il femminicidio.
Una casistica infinita di donne assassine.
Oltretutto è una menzogna al servizio dell’ideologia: non è vero che la donna non uccide, non è vero che è impossibilitata a farlo a mani nude. La Attanasio recita alla perfezione l’ennesimo postulato tanto caro alla vulgata femminista: il violento è lui, sempre; la vittima è lei, sempre. Slogan, striscioni e cartelli in tal senso compaiono immancabilmente nelle manifestazioni delle scarpette rosse. Bufale, strombazzate come sempre in piazza, sui giornali e in tv in assenza di contraddittorio, e chi osa dire qualcosa di diverso è misogino. Bene, allora chiamateci misogini ma siamo in grado di dimostrare le bufale sulle donne innocue, impossibilitate ad agire violenza a mani nude fino ad uccidere. Qualche esempio, tra i tanti possibili, nella rassegna qui di seguito.
Uomini strangolati a mani nude dalle mogli, uccisi a pugni e calci, persino vecchiette 80enni apparentemente innocue che massacrano i mariti. C’è anche il fuoco tra le modalità omicidiarie. Non serve una particolare forza fisica per accendere un fiammifero, anche se poi muore una persona diversa dalla vittima designata:
Sono solo degli esempi, in archivio abbiamo oltre 6.000 casi simili catalogati dal 1994 all’anno in corso. Per non parlare di altri filoni criminali che non comportano lo scontro fisico tra le assassine e le loro vittime come gli avvelenamenti (da sempre, anche nella mitologia, la donna uccide col veleno e l’uomo con la spada):
Poi c’è il classico delitto su commissione: coinvolgimento dell’amante oppure sicari assoldati per liberarsi del marito, di un collega, di un parente o di uno spasimante. La donna debole, fragile, indifesa e impossibilitata a essere violenta trova, se vuole, il modo di sopprimere qualsiasi uomo. Non sono opinioni ma fatti, fatti incontestabili testimoniati dalla cronaca giudiziaria curata evidentemente da giornalisti misogini, caporedattori misogini, direttori misogini ed editori misogini che, se non odiassero le donne, avrebbero il dovere morale di non dare spazio a notizie come queste:
Nel campo degli omicidi commissionati da una donna, oltretutto, ci sono anche delitti eccellenti con enorme eco mediatica, come il caso di Maurizio Gucci, fatto uccidere dalla ex moglie Patrizia Reggiani, che però Debora Attanasio “dimentica” di citare quando fa una scarna case history dei VIP violenti, da Roman Polanski a Mike Tyson. Infinito poi l’elenco delle donne che usano coltelli, forbici, accette, roncole, zappe o altre armi improprie per aggredire gli uomini. Migliaia i ferimenti che non esitano in assassinio grazie alla minore forza femminile, ma sono centinaia quelle che riescono a portare a termine il proposito omicidiario:
Meno corposa rispetto alle armi da taglio, ma non certo inesistente, la casistica delle donne che utilizzano armi da fuoco per uccidere. Per premere un grilletto non ci vuole alcuna particolare prestanza fisica, ma l’esperta giornalista nonché social media manager sembra non saperlo:
Inviterei la cara Debora Attanasio ad una riflessione: del fenomeno delle vittime maschili non se ne parla perché non esiste, o le persone disinformate, come lei dimostra di essere, sono indotte a credere che non esista proprio perché non se ne parla? Magari prima di avventurarsi in proclami ideologici sull’impossibilità delle donne di usare violenza, sarebbe il caso di informarsi un pochino. A volte potrebbe essere utile, per evitare di fare figuracce.
Eppure l’esperta giornalista (nonché aspirante criminologa, vista l’analisi che pretende di fare) non demorde e continua con la sua serena disamina sessista: «se qualcuno muore ucciso a coltellate gli inquirenti capiscono subito se l’assassino è uomo o donna, perché le coltellate dell’uomo rompono le costole e quelle della donna restano superficiali e sono fatali solo se fra le costole la lama ci finisce per caso». Ma guarda te, quando si dice la sfiga… tutti quei morti “per caso” sono dovuti alla lama che scivola casualmente fra le costole, altrimenti le donne infliggerebbero solo ferite superficiali. Mi domando dove sia il confine tra la semplice ignoranza della cronaca giudiziaria e una strisciante malafede che spinge a girarsi dall’altra parte quando gli uomini vengono ammazzati dalle donne. Le costole non c’entrano nulla quando le coltellate sono indirizzate con chiara volontà di uccidere all’arteria femorale o alla carotide, alla giugulare, alla trachea o comunque alla gola e gli uomini muoiono sgozzati o dissanguati. Poi c’è un lungo elenco di colpi mortali al cuore o ai polmoni, ma quelli – dice l’esperta – arrivano “per caso”. Il copione vittimistico di prammatica prosegue (corsivi nostri): «quando una donna rientra a casa di notte a piedi e incontra un gruppo di maschi ha paura, e se un uomo incontra un gruppo di donne magari si infila tra loro e fa lo scemo”. Stendiamo un velo pietoso sulle capacità divinatorie della nostra amica, lei “sa” che nelle strade buie gli uomini si infilano tra le donne e fanno gli scemi. Ha fatto la battuta … risate, applausi, sipario.
Bufale ideologiche dilaganti.
Ciò che rileva è la contrapposizione donne/maschi quale strategia narrativa costante. Come già scritto in molte altre occasioni, nella vulgata femministicamente corretta l’accoppiamento non è mai uomini-donne oppure maschi-femmine, ma rigorosamente maschi-donne. Donna è un termine alto e nobile, contrapposto a “maschio” che viene invece utilizzato in chiave dispregiativa, alla stregua di una tara genetica della quale doversi vergognare. La denigrazione lessicale non dovrebbe esserle sconosciuta, la Attanasio dice di essere giornalista quindi con l’utilizzo corretto dei termini dovrebbe avere una certa dimestichezza. Almeno più competenza di quanta dimostra per la casistica criminologica. Ancora: «la violenza sulle donne è talmente accettata socialmente che nessuna donna abusata ha mai potuto contare sulla stessa alzata di scudi della quale ha beneficiato Johnny Depp». Non ci si può credere! Qui siamo oltre la più ottusa negazione della realtà. Forse è la rabbia a farla straparlare, l’odio antimaschile, i pregiudizi ideologici o la captatio benevolentiae verso certe parlamentari, non saprei e nemmeno mi interessa saperlo, resta il fatto che definire la violenza sulle donne “accettata socialmente” è delirio puro. È in assoluto il fenomeno più condannato dai media e dalla politica, il suo contrasto è il più finanziato a livello istituzionale sia governativo che di enti locali, nel PNRR (varato in piena era Covid) i fondi per le politiche di genere sono superiori a quelli per la sanità, e poi campagne istituzionali per il 1522, la necessità di aprire nuovi centri antiviolenza e rifinanziare quelli già esistenti, case protette e sedi prestigiose affidate in uso gratuito ai CAV stessi, reddito di libertà per le donne, gratuito patrocinio per le donne che denunciano violenze, pacchetti di norme – in parte varate ed altre ancora da varare – ad esplicita tutela esclusivamente delle donne, tutte le emittenti pubbliche e private hanno in palinsesto programmi di approfondimento e talk show pomeridiani e serali con la violenza sulle donne come argomento topico, non passa giorno che non vi siano flash mob, manifestazioni con scarpette rosse ed inaugurazioni di panchine rosse… e costei dice che la violenza sulle donne è socialmente accettata. Manco vivesse nello Yemen.
Cita poi Depp come unico beneficiario di alzata di scudi, le vittime femminili vengono sistematicamente ignorate. Altro errore milady, altro grosso errore. Come già detto, Lorena Bobbit deve le sue fortune proprio alla levata di scudi della quale ha beneficiato a partire dagli anni ’90, è ricca e famosa solo grazie al circo mediatico che le è stato costruito attorno come eroina del girl power. Non ha altri meriti oltre ad aver ottenuto notorietà grazie al processo per aver amputato un pisello, al contrario di Depp che ricco e famoso lo era di suo da molto prima del processo. Comunque non c’è bisogno di cercare all’estero, i casi di clamorose alzate di scudi pro-donne li abbiamo in casa nostra. Lucia Annibali, per dire, non ha goduto solo del favor mediatico da sempre riservato alle vittime femminili, ma è stata eletta simbolo delle donne vittime di attacco con l’acido, ha fatto il giro delle sedi istituzionali, è stata ricevuta alla Camera dei Deputati dalla presidente Boldrini e al Quirinale dal presidente Napolitano, ove le è stato conferito il Cavalierato della Repubblica. Le è stato da subito cucito addosso un futuro in politica – infatti oggi siede in Parlamento – ha scritto il solito libro di memorie, ha girato l’Italia a fare conferenze nelle scuole e nei centri antiviolenza sulle donne vittime di violenza. Lo stesso dicasi per Valentina Pitzalis e Gessica Notaro, altri due celebratissimi simboli delle donne sfregiate dal compagno. Stride la differenza di clamore mediatico, politico ed istituzionale col caso di Rosario Almiento: probabilmente la Attanasio non lo sa, e lo sa non lo ricorda, ma ad oggi l’unica vittima deceduta come conseguenza di un attacco con l’acido è un uomo: Rosario Almiento, Brindisi, 2020. Qualcuno ne ha mai sentito parlare? La vicenda è mai stata oggetto di approfondimento in qualche dibattito televisivo? Qualche servizio speciale su quotidiani o rotocalchi? Niente, eppure Rosario è rimasto un mese in ospedale prima di morire, hanno tentato di salvargli la vita ma è deceduto dopo aver patito sofferenze indicibili. Silenzio assoluto, non bisogna parlarne altrimenti c’è il rischio che la gente sappia. E sapendo, capisca di venire nutrita a bufale ideologiche.
Stop alla faziosità: si faccia un’indagine oggettiva.
Inoltre tutte, ma proprio tutte le vittime maschili di acidificazione da parte di una ex hanno riportato danni enormemente superiori a quelli delle vittime femminili di identico reato; eppure le vittime maschili vengono ignorate dai media e dalle istituzioni mentre quelle femminili vanno in tv a ballando con le stelle e vengono ricevute al Quirinale. Però Debora Attanasio sostiene che la violenza sulle donne è socialmente accettata. Ci è o ci fa? La stessa conclude poi con «la sentenza Depp Heard ha solo coniato una nuova e pericolosa negazione di diritti per le donne, ha scritto un nuovo capitolo del doppio standard (…) ora abbiamo scoperto di non avere nemmeno diritto alla nostra quota di stronze, come gli uomini». Beh, ci vuole una bella dose di sfacciataggine per parlare di doppio standard come negazione dei diritti delle donne. Il doppio standard esiste (giudiziario, mediatico, politico, sociale) ma è spudoratamente, sfacciatamente, clamorosamente penalizzante per gli uomini. Si informi, studi un pochino una materia che non conosce affatto ma sulla quale ha la pretesa di pontificare. Aspettiamo un articolo della brillante giornalista sul doppio standard valutativo adottato nei tribunali, una bella inchiesta sulla differenza di pene, a parità di reato, erogate a soggetti maschili e femminili. Quante volte, e chi, sconta la pena in un centro di riabilitazione invece che in carcere. Magari anche con un’appendice sulle percentuali di donne violente graziate da miracolose perizie che le ritengono temporaneamente incapaci di intendere e volere, proprio dalle 16 alle 16,10 del 4 maggio di otto anni fa. C’è chi queste ricerche le fa, ovviamente non in Italia perché da noi creerebbe troppi problemi alla narrazione femministicamenta corretta. Ma quando vengono fatte emergono spunti interessanti per valutare il doppio standard. La dr.ssa Alessandra Bramante, criminologa, ne cita qualcuna nel suo testo “Dall’amore alla distruttività”, ma non è l’unica. Se la Attanasio la piantasse di sparare opinioni faziose e decidesse di documentarsi, qualche lettura interessante può anche trovarla in rete, come mostra questo slideshow:
In conclusione, lasciamoci alle spalle ogni sterile polemica. Invitiamo Debora Attanasio, qualora lo volesse, a una concreta collaborazione per realizzare insieme un’indagine che, senza essere sbilanciata da ideologie di genere, tracci i contorni dei molteplici aspetto della violenza sia maschile che femminile. Ci sta, gentile Debora Attanasio?