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Le trame e le immedesimazioni dei vari personaggi che calcano il palcoscenico, in piena decadenza valoriale, ci hanno portato addirittura sull’orlo della guerra della Nato contro la Russia. Il presidente del consiglio, mettendo l’elmetto in testa ai governati e facendo virtualmente indossare loro la tuta mimetica, invia armi in Ucraina, nel contempo si impegna ad aumentare le spese militari del 2% del Pil. Fedele servitore delle élites bancocratiche bypassa sistematicamente il Parlamento costituito da individui adattabili a qualunque circostanza, fa professione di sudditanza in politica estera, mentre si defila sul grave stato dell’amministrazione della giustizia che, così come è ridotta, affligge qualunque cittadino sia costretto a rapportarvisi. L’ipnosi collettiva in atto, con le istituzioni che hanno perduto ogni attendibilità, con una classe “dirigente” che si batte per le peggiori cause più del ragionevole e più di coloro che ne sono direttamente interessati, che opera impudentemente nel segno dell’iguana, fa prevedere scenari sempre più foschi e nefandi.
Il nulla continua ad avanzare anche tramite la carcerazione di mille innocenti all’anno; la chiusura di una caserma dei carabinieri per spaccio, arresti illegali, estorsione e tortura; le vicende consumatesi nel carcere di Poggioreale; Luca Palamara che ha chiesto la ricusazione dei giudici del processo di Perugia in cui è imputato; la Corte d’Appello di Lecce, che ha dichiarato la propria incompetenza territoriale annullando la sentenza con la quale un gip era stato condannato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari; i dodici anni, cinque mesi e tredici giorni che la giustizia ha impiegato nello stabilire irrevocabilmente le responsabilità per l’uccisione di Stefano Cucchi; l’inchiesta Alibante, con la presunta corruzione di un magistrato; la conclusione del processo Eternit (c’è stata la sentenza ma non è stata fatta giustizia); le esortazioni di Papa Francesco ai vertici della magistratura per “lottare fortemente” affinché la realtà che il Csm conosce “bene” – “le lotte di potere, i clientelismi, le varie forme di corruzione, la negligenza e le ingiuste posizioni di rendita” – “non crescano”; i quattro giudici denunciati per abuso d’ufficio nel capoluogo abruzzese; la vicenda del prof. Carlo Gilardi, con le annesse rituali, quanto “infruttuose”, interrogazioni parlamentari; la stessa storia che stiamo dettagliatamente raccontando.
Il protagonista (da poco spedito a processo) non è un avvocato che, in certe situazioni, potrebbe essere guardato con pregiudizio; l’uomo non ha mai avuto la tessera di qualche partito così da inimicarsi degli avversari politici; il reclamante non ha mai svolto delle attività imprenditoriali tali da entrare in conflitto con degli agguerriti concorrenti. Il nostro amico è una persona molto conosciuta, diffusamente stimata e con una condotta di vita da sempre inappuntabile. Ha ricoperto anche l’incarico di A.d.S. per un familiare malato, NULLATENENTE E CON TANTI DEBITI ACCUMULATI A MOTIVO DELLA PROPRIA PATOLOGIA. Nel corso dello svolgimento di detto incarico il giudice tutelare (lo stesso che ha presieduto le due procedure appellate ed ancora in corso) non ha mai eccepito su qualche questione, ha sempre approvato tutti i suoi bilanci periodici, non ha mai messo in discussione la sua correttezza. Sembra un paradosso, eppure quello che stiamo raccontando è solo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. La produzione cinematografica nazionale annovera la “trilogia dei mostri”, tre film realizzati rispettivamente nel 1963, 1977 e 2009. Nel primo film Dino Risi ci racconta l’Italia con venti episodi nei quali il cinismo, il menefreghismo, la falsità e le più basse forme di malignità morali, fanno da padroni. Nel secondo film Dino Risi, Ettore Scola e Mario Monicelli caratterizzano dei “mostri” non tanto cattivi come quelli della prima pellicola, ma ancor di più pervasi di cattivo gusto e cinismo. I mostri degli anni duemila, diretti da Enrico Oldoini, sono mostrati attraverso sedici scene nelle quali emergono ancora vizi, ipocrisie e debolezze degli Italiani.
La fantasia dei quattro registi, che hanno spettacolarizzato la mostruosità nelle sue variegate manifestazioni, non è arrivata ad immaginare quella che è possibile trovare nei tribunali. L’unico episodio parzialmente in tema è quello raccontato nel primo film: “Testimone volontario”, dove l’avvocato D’Amore, consumato e senza remore, difende un soggetto accusato di omicidio. Si presenta un certo Pilade Fioravanti che, sentendosi obbligato dalla propria coscienza, vuole rilasciare un’importante deposizione. Prendendo tempo per indagare, l’avvocato scopre una serie di faccende poco chiare riguardanti il Fioravanti. Con queste acquisizioni riesce così a screditarlo fino al punto da far decadere la sua testimonianza, utile per ottenere la condanna di un assassino, con un formale rimprovero del giudice. Gli avvocati, anche loro operatori del diritto, forniscono uno spaccato in chiaroscuro del loro agire odierno. Non raramente, quando avvertono l’odore delle toghe che sembrano avere avuto lo stesso pessimo istruttore e quindi agiscono sotto condizionamento ideologico, rinunciano all’incarico o lo accettano già con lo spirito dei perdenti. Nelle sezioni delle aule di giustizia dedicate a “persona e famiglia”, a seconda del problema affrontato, l’esito previsto non lascia margini di manovra soltanto agli avvocati di determinate parti in causa. Un tempo ci sono stati giuristi che riconoscevano alla famiglia il potere di fissare regole proprie e, contemporaneamente, ritenevano di limitare o meglio di escludere da essa l’intervento dello Stato. Con il trascorrere degli anni è prevalsa l’idea di considerare la famiglia come un istituto complesso, soggetto alla variabilità storica, con annessa relatività delle sue dinamiche, naturalmente influenzate dall’ambiente culturale e sociale.
Lo Stato, con l’irruzione della magistratura in certi ambiti, ha consentito che l’istituto familiare si tramutasse in uno dei tanti aspetti monetizzabili della vita, come molti altri. Ancora oggi c’è chi ha la faccia tosta per raccontare che il prof. Carlo Gilardi è stato allontanato da casa sua, dai suoi animali, dai suoi boschi, dai familiari e dagli amici nel suo esclusivo interesse. Anche la vicenda del nostro attuale “imputato” ha delle oscurità su cui finora nessuno ha voluto ed intende fare luce. Tralasciamo la qualità delle indagini effettuate sulla vicenda illo tempore, già commentate (dalla puntata n. 8 alla puntata n.21) per soffermarci su altre cose altrettanto inquietanti. Ricordiamo una delle stranezze più rimarchevoli. In fase di denuncia contro ignoti il 16 giugno 2020 l’istante, tra l’altro, scriveva: “omissis – Personalmente non sono in grado di riferire se sono state indotte a firmare qualche documento – omissis”. Paura fondata perché quantomeno una cosa firmata, da una delle donne, è saltata fuori nella maniera più imprevista (durante un’udienza dedicata alla nomina di un A.d.S.). E’ la seguente delega fatta firmare da un avvocato alla sorella del reclamante l’11 marzo 2021 per una faccenda conclusasi e già definita nel 2019, riguardante il figlio della donna deceduto nello stesso anno:
PROCURA – Io sottoscritta XXXXXXXXXXXXXXXX nata il XXXX a XXXXXXXXXXXXXXXXXXXX ed ivi residente alla XXXXXXXXXXXXXXXXX C.F. XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX delego a rappresentarmi e difendermi in ogni fase e grado del presente procedimento di amministrazione di sostegno aperta a favore di mio figlio XXXXXXXXXXXXXXX l’Avv. XXXXXXXXXXXXXXXX conferendogli ogni e più ampia facoltà di legge, e dichiaro di eleggere domicilio preso il suo studio in via XXXXXXXXXXXX. Dichiaro di essere stata informata, ai sensi dell’art.2, co7, D.L. n. 132/2014, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita e disciplinata dagli art.2 e ss. del suddetto decreto legge. La presente procura costituisce autorizzazione al trattamento dei dati sensibili necessari ai fini dell’espletamento del mandato ai sensi del D. Lgs 196/2003
La “stranezza” di questo documento fuori posto, fuori tempo e fuori luogo è passata liscia come se fosse una cosa naturale nello strano mondo della giurisdizione che sta inquisendo il nostro amico. Con la memoria andiamo a quello che accadde, alcuni anni fa, nel distretto della Corte d’appello di Milano. Lì imperversò la cosiddetta “Compagnia della Morte”, la quale pilotava le assegnazioni di immobili pignorati a prestanomi riferibili a dei magistrati o a dei loro parenti. I “falliti” che si si ribellavano ai giochi di prestigio giudiziari rischiavano di finire, oltre che “mazziati”, anche denunciati. La prima mafia usava recapitare la testa mozzata di un cavallo per dire all’insofferente: “Fai attenzione che il prossimo sarai tu”. Non siamo arrivati in tutte le contingenze a questo genere di comunicazione estrema ma, secondo alcuni nostri lettori, il difficile dipanarsi della storia che stiamo riportando fa cogliere dei metamessaggi inequivocabili. Nel guardare qualche pellicola d’azione c’è una domanda che ci siamo fatti senza mai trovare una risposta soddisfacente: che genere di piacere prova un tizio a picchiare un suo simile legato come un salame e quindi impossibilitato a difendersi?