Come ben ricorderanno i lettori, a giugno del 2020, il nostro amico è incappato nelle maglie della giustizia per difendere gli interessi di due congiunte: la madre e la sorella, entrambe disabili, verosimilmente circonvenute (da ignoti?). L’istante/reclamante ha finito in tal modo per vivere negli incubi (persino notturni) e le stesse donne nominate sono state investite da eventi traumatizzanti che hanno rivoluzionato la loro vita. Nel caos che da tanti anni governa la giurisdizione ci sembra doveroso rendere un omaggio a quei magistrati ancora rimasti allineati con quanto prevede il Diritto e con le aspettative del cittadino. La vicenda, frutto della negligenza che ha pervaso l’amministrazione della cosa pubblica dopo l’esautorazione/rimozione dello Stato, al fine di fare spazio esclusivamente al profitto privato, ha preso origine da una pratica ministeriale definitasi con un calcolo matematico errato: un 24 scritto al posto di un 25. La cosa, pur immediatamente segnalata dall’interessato, non è stata corretta dall’amministrazione ed ha prodotto un’avventura giudiziaria annosa (oltre che costosa per la collettività) che ha interessato la Corte dei Conti ed un tribunale ordinario. Dopo anni di contenzioso la storia ha trovato un suo felice esito. Proprio per la sua singolarità (è una delle poche sentenze inappuntabili che abbiamo personalmente registrato negli ultimi lustri) la riportiamo sinteticamente nella sua parte conclusiva: «La Corte, in accoglimento dell’appello ed in riforma dell’impugnata sentenza, Condanna I’INPS al pagamento in favore di XXXX della somma di xxxx al netto delle ritenute erariali, oltre interessi legali dalla maturazione del credito al saldo, nonché alla restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado (xxxx), oltre interessi legali dal pagamento; condanna l’INPS al pagamento delle spese del primo grado, che liquida in xxxx e delle spese di appello che liquida in xxxx oltre spese forfettarie nella misura del 15%; pone a carico dell’INPS le spese di C.T.U.».
La sentenza sinteticamente sopra riportata ha il pregio di provvedere, se non ai torti subiti e alle lunghe sofferenze dell’attore, all’intero suo risarcimento economico. Invece la storia che stiamo narrando non ha visto soltanto le perdite patrimoniali delle congiunte del reclamante, ma pure i suoi continui esborsi per “difendersi” personalmente dall’iter giudiziario. Al momento non esistono studi o statistiche di dominio pubblico per conoscere esattamente i risultati delle attività giurisdizionali svolte nel corso del tempo. Chi partecipa alla consuetudinaria cerimonia dell’apertura dell’anno giudiziario è assorbito dalla sceneggiatura e non da altro. Il desiderio di conoscere lo stato effettivo in cui versano i tribunali non è tra le questioni che interessano le istituzioni e quindi ci dobbiamo adattare con quello che raccogliamo estemporaneamente dai loro sfortunati “clienti”. Dalla documentazione spesso appare l’approssimazione, quando non addirittura l’arbitrio di alcuni operatori del diritto. Fa riflettere, ad esempio, pure un episodio che si riferisce alla nostra storia. L’A.d.S. della sorella del nostro amico intraprende azioni giudiziarie (nel proprio interesse) con spese e parcelle a carico della disabile contro lui stesso, che è stato da sempre la “spalla” della donna e ne è anche procuratore generale per sua espressa volontà. Semplicemente aberrante! Un estraneo nominato da un G. T. , grazie a delle calunnie, si incunea dentro una famiglia e, insieme allo stesso giudice, ne diventa “padrone” tagliando fuori chiunque altro.
Le raggelanti vicissitudini del prof. Carlo Gilardi (le più scioccanti di cui abbiamo conoscenza, ma purtroppo non le sole) stanno ancora lì a fare scandalo, nella macroscopica indifferenza di coloro (parolai e pusillanimi formalmente dotati del potere per farlo) che avrebbero dovuto intervenire molto prima che la faccenda si incancrenisse a suo (inconvertibile?) discapito. Ci sembra che il collante a buon mercato dell’odio, in soprappiù, ha saldato le azioni di coloro che asseriscono di avere operato a tutela del suo patrimonio. Questi soggetti sono comprovatamente degli intoccabili. Il quadro della giurisdizione che crudamente ci si presenta è quello che mettiamo di seguito: (https://vod02.msf.cdn.mediaset.net/farmunica/2019/12/503971_16ecdcfa160965/16ecdcfa160965-22_0.mp4?fbclid=IwAR22Yh0rvDqgdvgaE-6YqfJxw-9PhDcmNAjYlu6r-oBDsjrQXTVs7kT75M4); (https://www.varesenews.it/2018/03/stefania-federici-lucrava-anche-sui-funerali-dei-suoi-assistiti/697641/). Lo sterile dibattito sulla “riforma” della giustizia orbita tutto su questo: (https://www.ilriformista.it/slitta-la-riforma-del-csm-a-3-anni-dai-proclami-di-bonafede-tutto-e-impantanato-per-lostracismo-di-pd-e-m5s-290545/) ed intanto possiamo leggere: (https://www.sardegnalive.net/news/in-italia/353142/giustizia-il-fatto-non-sussiste-storie-di-orrori-giudiziari-nel-nuovo-libro-di-irene-testa).
Tornando alla nostra storia, dopo che, qualche giorno fa, gli è stato bocciato dal tribunale un “reclamo mai presentato”, così da far riflettere l’interessato sull’opportunità di un ricorso straordinario per Cassazione, ecco le novità: il nostro amico, con notifica del 4 aprile 2022, è stato rinviato a giudizio. Tentare di rapportarsi con un tribunale, provare a discolparsi, anche se l’accusa è infamante, è un po’ come tentare di trasmettere un dato non previsto dalla procedura installata su un computer. La procura della Repubblica non è programmata per ricevere determinati dati ed è così che l’istante, per fortuna solo per l’ufficio citato, resta un ladro ed un bugiardo. Il pubblico ministero, T.M., NON SI E’ MAI ACCORTO CHE IL RIVIATO A GIUDIZIO E’ PROCURATORE GENERALE DELLA PROPRIA SORELLA E QUINDI NON HA RUBATO (avvertendo e lasciando ricevuta dell’operazione, cosa peraltro giuridicamente neanche dovuta) la somma xxxx, ma l’ha messa doverosamente al sicuro dai sempre presenti malintenzionati ed ivi conservata. L’imputato, contrariamente a quello che scrive il pubblico ministero, non ha mai avuto delle deleghe per operare perché, essendo appunto procuratore generale, non ne aveva bisogno. Il pubblico ministero NON SI E’ ACCORTO CHE LE INDAGINI DA LUI COORDINATE (ma come?) NON HANNO FATTO DELLE VERIFICHE SUI FATTI DENUNCIATI (neanche su uno di essi) MA HANNO DIVAGATO SOLO A MARGINE DELLA VICENDA (ipotizzata e denunciata). Ecco i documenti appena ricevuti dal reclamante:
«DECRETO DI CITAZIONE A GIUDIZIO, Art.550-552 c.p.c. – 159 comma 1 disp. Att. – Il Pubblico Ministero, concluse le indagini preliminari del procedimento in epigrafe indicato nei confronti di XXXX Assistito e difeso dall’avv. XXXX del foro di XXXX IMPUTATO del delitto di cui all’articolo 367 c.p., perché, con denuncia sporta contro ignoti dinanzi alla Stazione Carabinieri di XXXX per delitto di cui all’articolo 643 c.p., di cui sarebbero state vittime l’anziana madre di anni 91, XXXX e la sorella affetta da disturbi psichiatrici, XXXX, attestava falsamente l’avvenuta commissione del delitto, atteso che dalle indagini svolte nell’ambito del procedimento penale n. 4487-20 r.g.n. noti non emergeva nulla di quanto da egli riferito e, anzi, si accertava che lo stesso si era appropriato, in data 6.5.2019, della somma di euro xxxx, prelevandola dal libretto postale xxxx, cointestato alla madre e alla sorella e sul quale aveva la delega a operare, depositando tale somma sul proprio conto corrente, all’insaputa delle aventi diritto».