In coda al nostro discostarsi odierno dal tema che ci coinvolge personalmente parteciperemo al lettore le ultime novità. Avevamo la contezza di trovarsi fuori dell’aula magna di un grande tribunale. C’era stato detto che era in corso un importante congresso di magistrati. Il panorama all’esterno, tranne un grande numero di macchine scure da rappresentanza, non era per niente usuale. In adiacenza dell’enorme edificio sostavano in colonna delle ruspe, dei camion carichi di terriccio ed altri camion pieni di piccoli alberi. Su tutti i mezzi spiccava la scritta “Servizio Forestale Nazionale”. Ad un certo punto, come ad un segnale convenuto, tutte le ruspe si sono messe in moto convergendo sul fabbricato, iniziandone con grande celerità la distruzione. Alcuni passanti si sono messi ad urlare ed a sbracciare per segnalare che l’immobile era affollato di gente, senza però ottenere l’interruzione dell’opera di abbattimento. L’uomo in tuta mimetica, un “colosso” con casco arancione schermato, che sembrava coordinare le operazioni, ha risposto che stava eseguendo degli ordini tassativi. Quell’area, proprio per la grande concentrazione di materiale organico adatto, era stata destinata al rimboschimento con la messa a dimora di giovani piante indispensabili contro l’inquinamento ambientale. L’agitato sogno si è interrotto mentre era in corso il versamento del terriccio destinato alla copertura delle macerie e ci siamo trovati seduti sul letto madidi di sudore. Come se non bastasse il tran tran ordinario che ci piove addosso, malgrado la consegna del silenzio imposta nel segno dell’iguana, ci mancava anche questo tipo di visioni oniriche per colmare la misura.
Prima di andare a dormire avevamo letto questo articolo: “Magistrati arrestati: in appello annullata condanna”. Nel corso della lettura avevamo pensato all’epoca in cui esistevano le mafie autoctone ed i vari affiliati che garantivano, nel bene e nel male, una prevedibilità che dagli anni Novanta del secolo scorso, con l’americanizzazione/globalizzazione del Paese, si è perduta. Prima di quei tempi l’immaginario comune dei nostri connazionali identificava il Nord-America anche con i ghetti periferici delle grandi città, con gli homeless a qualche isolato di distanza dalla Casa Bianca, con le bande giovanili, le stragi pubbliche della follia, la diffusione delle tossicodipendenze, l’uso dei sonniferi, i poliziotti corrotti, la pena detentiva quale vendetta dello Stato, la camera a gas, il divorzio, l’istruzione pubblica poco o nulla curata, le famiglie poco coese, il mito del self made man, la mentalità forcaiola, la quantità di carte di credito impiegate ed altri tratti caratteristici di quella lontana terra. Là l’Italia era spesso sinonimo di pizza e mafia. La pizza lo è ancora, il “don” come espressione di uno stato d’animo, una filosofia di vita, un’interpretazione della società, un cifrario etico, elementi che costituiscono una maniera di essere e di pensare che fanno parte non solo degli uomini di una certa organizzazione fuorilegge ma che percorre l’intera cultura di un territorio, è scomparso. Insieme alla sua dipartita è subentrato tutto quello che ci ha resi omologhi di tanti altri occidentali, individui dotati di un’identità plastica senza riferimenti valoriali degni di essere difesi. Con la fustigazione giudiziaria (e non solo) dei politici avvezzi a farsi finanziare illegalmente, un reato di cui avevano consapevolezza tutti dalla fine degli anni Sessanta del XX secolo, da colui che per ottenere la licenza di costruire una casa versava nelle casse del partito una percentuale del valore del progetto da realizzare, all’imprenditore che “versava” per ottenere un appalto, ha preso origine la tanto invocata moralizzazione.
Grazie ad essa, a partire dagli anni Novanta del secolo passato, abbiamo cominciato ad essere trasformati in una specie di pais colonial bananero dove scorrazzare senza ostacoli e razziare a proprio piacere, dove effettuare la delocalizzazione di grandi imprese, dove impossessarsi a prezzi stracciati del patrimonio pubblico, dove provocare la sua dissoluzione culturale e realizzare la sua spoliazione sistematica. Di pari passo hanno cominciato ad arretrare i vecchi costituzionalisti, i grandi giuristi, i bravi magistrati che avevano dato e che davano prestigio alla giurisdizione, si sono insediati persino dei tagliaborse fino a ridurci nella situazione attuale. Nelle guerre di conquista la finalità delle invasioni è portare il caos, grazie a questo controllare le popolazioni e rubare a piene mani. Un pezzo di magistratura sembra essersi trasformato in forza d’assalto, una sorte di Navy Seals da impiegarsi in conflitti e guerre non convenzionali tra pezzi di Stato, in difesa corporativa, per azioni antistituzionali, per lacerare il tessuto sociale ed il raggiungimento di ambiziose mete personali. Era più rassicurante ieri rivolgersi ad un camorrista nella veste di mediatore di quanto tranquillizzi attualmente il cercare giustizia in determinati tribunali. Se volessimo esprimerci in maniera enfatica, con i tempi che corrono, invocare l’intervento di determinate toghe, per ottenere l’applicazione contemporanea di equità e diritto, sarebbe un po’ come caricare il tamburo di un revolver 357 Magnum con cinque proiettili, ruotarlo, puntarselo alla testa, premere il grilletto e sperare che l’azione non sia fatale. Persino alcuni magistrati sono rimasti vittime degli inquinamenti subiti da qualche procura della Repubblica. Ricordiamo, insieme al più conosciuto Paolo Borsellino, anche Mario Conte, morto di malagiustizia nel 2015 e Cesare Vincenti, con la famiglia distrutta da una perfetta macchinazione giudiziaria, colpito prima da depressione e poi suicidatosi nel 2019.
Da quanto ci è dato di sapere non sembra che esistano grandi mobilitazioni da parte dei magistrati per ostacolare la perdita di decoro della funzione che si accompagna alla conoscenza, da parte dei cittadini, di eventi giurisdizionali indecenti. Se la maggior parte delle toghe sembra non curarsi della perdita di credibilità che implicano certe storie non può però disconoscere l’enorme danno che da ciò deriva alle persone “oltraggiate” (https://www.ilriformista.it/simone-uggetti-assoluzione-annullata-in-cassazione-accanimento-senza-senso-io-ingranaggio-nella-lotta-tra-politica-e-giustizia-290). Ma veramente quelle poche voci che invitano a non disertare il referendum del 12 giugno (magari pure lasciando votare il giorno successivo) credono che in questa maniera si possa reinstaurare la “Giustizia”? C’è un’asimmetria di poteri e di facoltà irrecuperabili tra chi anela ad ottenere imparzialità giurisdizionali e chi è preposto (si può ben dire) ad elargirle. Torniamo al cuore della storia che stiamo raccontando e, prima di entrare nel vivo dell’argomento, richiamiamo l’attenzione sul raccapricciante caso del prof. Carlo Gilardi. Lui, nella sua impareggiabile bontà, è stato ritenuto “capace” di decidere quando ha donato ad alcuni, mentre è stato ritenuto “incapace” di farlo quando ha donato ad altri. La madre del nostro reclamante è stata ritenuta “capace” per consentire a qualcuno di ripulirla. La sorella, persona di ben altra levatura, anche se lapalissianamente “capace”, con documenti ufficiali e pubblicamente registrati che lo dimostrano fino al 10 giugno 2020, la si vuole per forza retroattivamente “incapace”. Naturalmente l’assioma giudiziario consentirebbe di alleggerire meglio anche lei, più di quanto sia stato già fatto con la madre. Il boss ndranghetista di un tempo non avrebbe stabilito un pizzo tale da uccidere l’attività commerciale. Chi oggi pirateggia per alcuni mari ha un’ingordigia insaziabile. Gli stretti legami tra deputati, senatori e magistrati non aiutano la dovuta separazione dei ruoli. La subalternità culturale del Parlamento, creatasi nei confronti del potere giudiziario, ha finito per bloccare irreversibilmente qualunque possibilità di garantire una giurisdizione, non “onnipotente” e “onnisciente”, ma al sostanziale servizio della gente. Ciò premesso riportiamo il messaggio elettronico dell’A.d.S., avvocato C. T., scritto al nostro amico qualche giorno fa: “Buonasera, dovendo procedere a relazionare al Giudice Tutelare ho necessità di confrontarmi con lei in relazione alla “questione dell’immobile della beneficiaria dapprima venduto a suo figlio e poi successivamente trasferito a lei”, immobile che ad oggi risulta ancora essere di sua proprietà. Attendo un suo cortese riscontro l’ADS avvocata C. T.”. Così ha risposto il contattato: “Salve, agli atti del GT ci sta la storia (spiegata anche con carte amministrative/contabili) delle transazioni (risalenti all’anno 2016) e le copie dei documenti notarili relativi. Probabilmente l’avvocato XXXX ne sa più di me perché si è occupato lui di avere rapporti con il G.T. per la pratica V.G. riguardante mia sorella. Come manifestato precedentemente le ribadisco che ho incaricato l’avvocato citato per sostituirmi. Distinti saluti, XXXX”.