«La toponomastica può essere un potente strumento per il recupero della memoria storica delle donne che hanno inciso in maniera significativa nella vita della comunità locale, nazionale e internazionale, offrendo in particolare alle giovani generazioni importanti testimonianze che aiutino a superare gli stereotipi di genere che contrassegnano ancora troppo spesso la narrazione della storia». A Roma quote rosa pure per le strade. Su 16.377 toponimi di strade e luoghi pubblici il 4% è intitolato a donne, il 48% a uomini e il resto è neutro. «Obiettivo del Campidoglio, dunque, è riequilibrare la presenza femminile nelle denominazioni dei luoghi pubblici favorendo nella scelta le donne che in tutti i campi hanno contribuito a migliorare la società». Lagnanze come la summenzionata notizia sono diventate ricorrenti nell’ultimo decennio. Quando non è Roma, è Madrid, oppure Parigi, o Londra, o Milano. E quando non è la toponomastica, sono i libri di testo scolastici, oppure i musei di pittura, o le rassegne di filosofia, o le opere musicate nei concerti di musica classica. Sulla stessa linea di pensiero, ridotto esclusivamente all’ambito scientifico, si trova l’effetto Matilda, approfondito negli interventi precedenti (1, 2, 3). Tutte queste rivendicazioni convergono sullo stesso punto di partenza: nella Storia dell’umanità ci sono state molte donne che hanno inciso in maniera significativa sulla vita e il progresso della comunità sociale, in ogni ambito. Di conseguenza, se queste donne sono esistite, e i loro nomi e le loro vite non sono state divulgate pubblicamente in maniera proporzionale alla loro importanza, nella toponomastica, sui libri di testo, nei musei o nelle commemorazioni alla patria, dato obiettivo e inconfutabile, deve necessariamente esistere un processo di cancellazione di queste donne, messo in atto dal patriarcato, dagli uomini.
D’altra parte c’è quello che possiamo definire l’effetto Judith, immaginaria sorella di Shakespeare nel noto brano-denuncia di Virginia Woolf, anche questo approfondito negli interventi precedenti (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7). Secondo questo modo di vedere le cose, quest’assenza di donne non sarebbe dovuta a una presunta cancellazione patriarcale, ma all’impossibilità delle donne stesse di poter incidere in maniera significativa sulla vita e sul progresso della collettività, impedite da ostacoli e divieti patriarcali, all’istruzione, a praticare le arti, a governare, a comandare gli eserciti, ecc. L’esistenza, anche parziale, seppur in numeri ridotti, di queste donne che sono riuscite a incidere in maniera significativa sulla vita e sul progresso della comunità sociale, tramandate di generazione in generazione, provano tuttavia la possibilità di accedere all’istruzione o alle cariche di governo, e la volontà maschile di tramandarle nella memoria collettiva. La loro esistenza non è confinata a spazi geografici, imperi o limitata ad alcuni secoli o epoche, la loro presenza, anche se ridotta, rimane perlopiù una costante universale e atemporale. In pratica, queste donne proverebbero l’inesistenza di un divieto universale e generale all’istruzione femminile oltre all’inesistenza di una volontà maschile di cancellare le donne. In più, entrambe le ipotesi femministe, divieto e cancellazione, sarebbero sostanzialmente in contraddizione: o queste donne non sono esistite perché veniva loro impedito di mettersi in evidenza, o sono esistite ma sono state cancellate.
Una differenza anche qualitativa.
Di recente ho visto due film storici di figure pressoché contemporanee, Miss Potter (2006) e Le montagne della luna (Mountains of the Moon, 1990). Il primo è un film basato sulla vita dell’artista Helen Beatrix Potter (1866-1943), ricordata per i suoi libri illustrati per bambini. Il suo significativo contributo al progresso dell’umanità è stato la creazione di piccole animazioni collegate a personaggi-animali nati dalla fantasia della stessa, coniglietti, scoiattoli e via dicendo. Il secondo film non è strettamente biografico. Basato sui diari originali di Richard Francis Burton (1821-1890) e John Hanning Speke, il film racconta la scoperta del Nilo e la diatriba sorta tra i due. Il protagonista principale del film è il primo. Francis Burton, esploratore, traduttore e orientalista britannico, viaggiò da solo e sotto travestimento alla Mecca, tradusse Le mille e una notte, Il giardino profumato e il Kama Sutra, viaggiò con Speke alla scoperta dei grandi laghi africani e della sorgente del Nilo (argomento del film), visitò Salt Lake City insieme a Brigham Young, viaggiò in lungo e in largo, e scrisse molto. Fu probabilmente il terzo miglior spadaccino europeo del suo tempo. Servì come console britannico a Trieste, Damasco e Fernando Poo. I contributi in vita forniti da Beatrix Potter e da Francis Burton hanno meritato in entrambi i casi la produzione di un film e la dignità di essere tramandati nella memoria collettiva. Sia detto per inciso, ho l’impressione che il mondo cinematografico tende a intitolare i film biografici femminili come le loro protagoniste – ad es. Miss Potter, Giovanna d’Arco (1999), Marie Curie (2016), Frida (2002), Becoming Jane (su Jane Austen, 2007), Colette (2018), Coco avant Chanel (su Coco Chanel, 2009), Mary Shelley (sulla storia d’amore tra Mary Shelley ed il noto poeta Percy Shelley, da notare che la trama si concentra su di lei e il film è intitolato a lei, 2017), Effie Gray (2014), Elizabeth (1998), Diana (2013), ecc. –, ciò che conferisce loro dignità personale. I titoli dei film biografici maschili tendono invece a mettere in risalto le loro gesta o conquiste – ad es. Le montagne della luna, North Face, Una storia vera (su Toni Kurz, 2008), Viaggio ai confini della terra (su Amundsen, 2019), La teoria del tutto (su Stephen Hawking, 2014), Nanga Parbat (su Reinhold Messner, 2010), ecc. –, ciò che conferisce dignità agli uomini (anonimi) solo per le loro azioni o scoperte.
E qui si pone una domanda molta rilevante: quale contributo possiede il valore degno di essere ricordato, quale merita omaggio e di essere tramandato nella memoria collettiva? Il contributo di Beatrix Potter e di Francis Burton al progresso dell’umanità è stato parimenti significativo? Quest’asimmetrico contributo viene messo fortemente in evidenza quando trattiamo la Storia. Quali sono gli eventi storici degni da esseri tramandati nella memoria storica? Prendiamo come semplice esempio la fine degli eroi dell’indipendenza dei paesi latinoamericani: sono morti fucilati Miguel Hidalgo, José María Morelos, José Miguel Carrera e Francisco de Morazán; Antonio José de Sucre è morto ucciso in un omicidio; Tiradentes è stato impiccato e squartato; sono stati mandati in esilio José Artigas, José de San Martín, Andrés de Santa Cruz e Ramón Betances; sono morti in prigione Toussaint L’Ouverture e Juan José Castelli; José Martí è morto sul campo di battaglia; infine Simón Bolívar è morto in solitudine, scrisse nell’ultimo anno della sua vita: «Sono vecchio, malato, stanco, disilluso, nauseato, calunniato e pagato male. Non chiedo altra ricompensa che il riposo e la salvaguardia del mio onore; disgraziatamente è quello che non riesco a ottenere». Tutti loro hanno avuto in vita compagne, mogli, amanti… Che meriti hanno loro per comparire nei libri di Storia alla pari dei loro uomini? Facciamo un altro esempio, le sofferenze dei primi esploratori e militari spagnoli più rilevanti nella conquista d’America: molti di loro sono stati imprigionati e processati dalla corona spagnola, Cristoforo Colombo è stato riportato in catene in Spagna; anche Pedro de Alvarado fu incarcerato e processato, morto successivamente sul campo di battaglia; Vasco Núñez de Balboa fu condannato e decapitato; Diego de Almagro fu garrottato per volere del suo antagonista Francisco Pizarro; Rodrigo de Bastidas morì accoltellato dal suo luogotenente; Cristóbal de Olid fu preso prigioniero in battaglia e decapitato; Hernán Cortés, fu il conquistatore più fortunato, morì sul letto, ma in vita non riuscì a sfuggire al processo dell’inviato del re. Quali meriti e sofferenze hanno patito le loro compagne per comparire assieme ai loro uomini nei libri di testo? Quali rischi hanno affrontato?
Patriarcato o semplici circostanze?
La verità è che la spiegazione dell’esiguo numero di donne nella trasmissione storica è molto più semplice di presunti divieti o di una ipotetica e incomprensibile cancellazione. Uomini e donne sono diversi, coltivano interessi diversi, affrontano i rischi in maniera diversa, vegliano sulla nostra incolumità e sopravvivenza in maniera diversa, spendono il tempo a socializzare o a indagare in maniera diversa, hanno bisogno di eroi in maniera diversa, ecc. Una risposta talmente semplice quanto inaccettabile per la narrazione femminista. Se Penolope avesse vissuto una vita spericolata e avventurosa come Ulisse oggi staremmo leggendo la “Penelopea” invece che l’Odissea (di Odisseo, nome greco di Ulisse). Invece di denunciare irreali prigioni e immaginari divieti patriarcali, le femministe dovrebbero chiedersi perché Penelope decise di rimanere a casa ad aspettare Ulisse. Perché non se ne andò mai? Al di fuori, c’era un mondo troppo pericoloso per lei? Si sentiva forse più sicura a casa? Penelope non era né incatenata né prigioniera, in qualsiasi momento avrebbe potuto decidere di partire per navigare i mari ed esplorare le terre ignote, e fornire così un significativo contributo al racconto dell’umanità, come stava facendo il marito. Alla ricerca di Ulisse, nel mondo ostile, partì il figlio Telemaco, un adolescente. Lei preferì rimanere a casa, perché? In che modo il patriarcato impedì a Penelope di partire e in che modo ha cancellato le sue gesta rispetto alle gesta di Ulisse?
Prendetemi per pazzo, ma io credo che in linea di massima il comportamento nell’universo maschile è sostanzialmente il contrario di quello che viene riferito dal femminismo. In ogni ambito dove prevale un gruppo sociale si tende a complimentare più del dovuto i membri degli altri gruppi che riescono a raggiungere prestazioni simili a quelli del gruppo prevalente. La logica vuole che se un uomo entra in una stanza, dove si trovano una ventina di donne impegnate a cucire, se lui riesce a farlo parimenti con le stesse prestazioni, tutte le altre donne si complimenteranno con lui, ma non tra di loro. Questo avviene in ogni ambito di predominio maschile, a pari prestazione gli uomini tendono a concedere più valore alle azioni femminili rispetto a quelle maschili, che passano inosservate. Il mondo dello sport è un esempio lampante, dove molte sportive di élite ottengono ricchezza, fama e vengono celebrate per prestazioni che sono raggiunte pacificamente da migliaia di sportivi, a tutti noi ignoti. Una volta, mentre stavo leggendo il libro dei Guinness, nella categoria “grandi viaggi o giri del mondo”, mi colpì il fatto di scoprire che quelli segnati come primati femminili erano in realtà percorsi già battuti prima di loro da uomini (in pratica erano primati femminili, non universali). I testi di storia risaltano molto spesso questi primati femminili, ad es. la prima donna pilota, quando ci sono stati centinaia di uomini pilota ignoti prima di lei. Quando una donna vince un premio in materia scientifica (come Maryam Mirzakhani, Medaglia Fields per la matematica), tutti i giornali riportano la notizia. Come si chiamano i numerosi vincitori precedenti o successivi? Tutti conosciamo chi è stata la prima vincitrice di un Nobel per la fisica e per la chimica, ma chi sono stati i primi vincitori? Ho già scritto in un altro intervento: «Agostina d’Aragona, eroina spagnola per antonomasia che combatté durante la Guerra d’indipendenza spagnola, caricò un cannone e accese la miccia, respingendo le truppe francesi che si avvicinavano. Chi conosce i nomi degli artiglieri caduti che Agostina aveva sostituito? Se sparare il cannone è meritevole di eroicità, quanti uomini in guerra hanno avuto pari riconoscimento per atti simili?». Si tratta di un fenomeno che avviene in ogni ambito di prevalenza maschile e che può essere denominato “effetto principessa”: a pari o addirittura a inferiore prestazione, gli uomini tendono a premiare e a lodare di più le azioni femminili. In verità è molto probabile che alcune delle donne presenti nella toponomastica debbano la loro presenza al fatto di essere proprio donne, le loro stesse realizzazioni eseguite da uomini non avrebbero meritato lo stesso onore.