La Fionda

Magistratura da incubo: una storia vera a puntate (58)

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Aggiorniamo la nostra vicenda che, anche un individuo con quoziente di intelligenza pari a 80, potrebbe collocare all’interno di un sistema giudiziario, seppure patologico, senza porsi delle domande inquietanti. Ad ogni buon conto ricordiamo che il reclamante, ancora nel 2020, si occupava in tutto della madre e della sorella da circa quattordici anni. Per loro conto, tra l’altro, maneggiava denaro e faceva pagamenti. Avrebbe potuto approfittare di questo stato di cose con facilità e, se già lo faceva, PER QUALE RAGIONE AVREBBE DOVUTO RICHIAMARE L’ATTENZIONE DELLA MAGISTRATURA SU DI SE’ ESPONENDO, IL 16 GIUGNO 2020, IN UNA STAZIONE DEI CARABINIERI, FATTI NON VERI RIGUARDANTI I PROPRI FAMILIARI ED I LORO AVERI? Persino un minus habens si sarebbe ben guardato dal farlo. La sorprendente piega presa dagli avvenimenti, dopo la presentazione dell’esposto citato, ha prodotto rilevanti perdite ed impreviste fuoriuscite economiche su tutti i fronti, per l’intera famiglia. Forse, ancora oggi, sono altri a trarre vantaggi dal dichiarare il falso o ad insinuare sospetti nei confronti dell’uomo. Nell’affrontare il calvario che stiamo raccontando il nostro amico ha avuto modo d’incontrare un magistrato, presidente di sezione, che si ritiene particolarmente dotato nel valutare i suoi interlocutori. Possibile che neanche questa toga (dalle doti eccezionali) si sia posta un così spontaneo interrogativo?

Nel Paese delle ombre che si allungano sui misteri peggiori che hanno caratterizzato la sua storia, con tante opacità istituzionali, i servizi d’intelligence (almeno parte di essi) servono più a ricattare che a prevenire e curare i mali che affliggono questa disgraziata Italia. Lo abbiamo detto in tempi non sospetti ed oggi, con più titoli per farlo, in quanto voci provenienti dall’interno, Luca Palamara e Alessandro Sallusti scrivono: “Logge e lobby che decidono se avviare o affossare indagini e processi e che usano la magistratura e l’informazione per regolare conti, consumare vendette, puntare su obiettivi altrimenti irraggiungibili, fare affari e stabilire nomine propedeutiche ad altre e ancora maggiori utilità. Per cambiare, di fatto, il corso naturale e democratico delle cose”. Prima di passare agli aggiornamenti che ci riguardano più da vicino, ci soffermiamo su alcune specificità che contraddistinguono questi anni dominati (pur in subordine) da una classe “dirigente” costituita da animali a sangue freddo e nel segno dell’iguana. Lo spettacolo mediatico, dall’ammuina parlamentare sulla “riforma” della giustizia, alla narrazione della guerra “voluta da Putin”, serve per ammantare l’esercizio quotidiano del dominio puro. Si avvale dell’incertezza di redditi decorosi e di mille altre paure. Le bugie diluiscono fatti duri e crudeli che altrimenti sarebbero indigeribili per i più. C’è lo stato d’emergenza che ritorna con regolarità. Abbiamo registrato quello giustificato dalla “dichiarazione di guerra” alla Mafia, diventato da temporaneo a permanente (dura da trenta anni), quello per la pandemia di Covid-19 e quello più recente per la situazione di guerra in cui versa l’Ucraina.

giudice

Bisogna riconoscere che questo stato d’emergenza perpetuo rimuove un sacco d’intralci al governo in carica, come ad esempio i confronti politici di ogni genere, non ultimi quelli che dovrebbero essere di spettanza parlamentare. Anche la Corte Costituzionale, in uno dei suoi periodici ma poco significativi sussulti, dichiarò che “l’emergenza, nella sua accezione più propria, è una condizione certamente anomala e grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa legittima, sì, misure insolite, ma che queste perdono legittimità, se ingiustificatamente protratte nel tempo”. La Costituzione, nel corso degli ultimi anni, è stata appallottolata e cestinata. E’ di questi giorni la decisione di mandare armi agli Ucraini “asfaltando” per l’ennesima volta l’articolo 11 della Carta. Soltanto 25 deputati hanno votato contro questa poco saggia scelta. Da non dimenticare la recente bocciatura, da parte della Corte Costituzionale, del quesito referendario sulla responsabilità dei magistrati. La politica avrebbe anche potuto consentirlo e poi prendere per i fondelli il Popolo, eludendo il risultato (anche plebiscitario) del referendum come è già precedentemente accaduto. Che non sia stata preferita questa strada è la riprova che chi decide impera e non ha più bisogno di nascondersi. Ormai è impossibile immaginare una catarsi istituzionale per vie ordinarie.

Quasi ovunque è stata buttata la maschera e la sfrontatezza, addirittura banditesca, là dove c’è modo di esercitarla, è diventata regola. Se non fosse inopportuno per il dramma vissuto dalla vittima, farebbe quasi sorridere lo stupore di un noto avvocato che, nel partecipare ad alcune trasmissioni televisive dedicate all’internamento “inspiegabile” del prof. Carlo Gilardi, si domanda perché non sia ancora intervenuta alcuna istituzione per sanare gli “errori” commessi dagli “addetti” al caso e restituire la libertà al “santo di Airuno”. Nei gironi infernali dove si incontrano, avvocati, toghe, tributaristi, rappresentanti delle forze dell’ordine, politici, amministratori e finanche tonache, dove si assolve dal reato, dove la pena detentiva diventa ritorsione, dove si perfezionano alleanze scellerate tra diversi attori del diritto, anche l’usciere di un tribunale sarebbe in grado di rispondere. A Lecco, pure buona parte della stampa locale tralascia di parlare esaurientemente della storia o si premura, ci sembra compiacendosene, di spostare l’attenzione su altro, come ad esempio la condanna penale comminata al “figlioccio”/badante (Brahim El Mazoury) del professore, il reato di circonvenzione d’incapace, l’acquisto di una bici elettrica o l’invio a processo (per diffamazione) dei giornalisti che hanno documentato i fatti relativi. Il ricordo di questa vicenda, più conosciuta ma non troppo dissimile da tante altre, ci riporta all’aggiornamento promesso all’inizio del nostro scrivere. L’avvocato C.T., dopo il giuramento in qualità di A.d.S. della sorella del reclamante, la sera del 28 febbraio 2022, ha inviato allo stesso la seguente comunicazione per posta elettronica:

anziana

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“Buonasera,
ho conferito con la collega XXXX (che mi legge in copia) che però non mi può essere di aiuto per una serie di informazioni di cui ho bisogno.
Come già comunicato alla collega ho urgente necessità di
1) conoscere quali sono le entrate e le uscite fisse di sua sorella.
2) sapere presso quale istituto/i bancario sua sorella ha rapporti
3) di entrare in possesso delle relative tessere bancomat/carte di credito di cui sua sorella è titolare
4) conoscere, grosso modo, a quanto ammonta la somma di cui mensilmente sua sorella necessita per le esigenze di vita ordinarie
Alla riunione del 23 u.s. la beneficiaria mi ha infatti comunicato di avere un conto corrente presso Unicredit ma di non essere in possesso della tessera bancomat che le ha consegnato per consentirle di prelevare il denaro contante, necessario per le sue esigenze quotidiane, che lei provvede a farle avere mensilmente.
Rimango in attesa di un suo cortese e sollecito riscontro
cordialmente
avvocata XXXX”

*******************************************************************************************************

Il nostro amico, tramite l’avvocato che ha delegato per non incontrare più i personaggi di questa vicenda giudiziaria, il 3 marzo 2022, ha così risposto:

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“Ho letto le richieste dell’avvocato XXXX
In attesa di nuovi eventi, derivanti anche dai reclami da me effettuati, preciso per lei quanto segue:
Non ho nulla di personale contro il citato avvocato. Sono invece particolarmente ostile all’abitudine consolidatasi nei tribunali per la distribuzione delle nomine come A.d.S. fuori della cerchia familiare.
Sono stato vittima (insieme alle mie congiunte) e lo posso dimostrare dettagliatamente a chiunque, di comportamenti delinquenziali che hanno portato alla mia situazione attuale familiare e giudiziale.
Sono stato coperto di calunnie strumentali senza uno straccio di prova.
Intendo avvalermi della procura generale sottoscritta solennemente in scienza e coscienza da mia sorella il 7 marzo 2013 (finita in rotta di collisione con la nomina di un A.d.S. diverso da me medesimo, peraltro da me sollecitata al G.T fin dal luglio 2020, mese in cui le condizioni di salute di mia sorella si sono improvvisamente aggravate).
Ad ogni buon conto partecipo all’avvocato XXXX quanto di seguito:
Confermo che dal dicembre 2019 sono io ad usare il bancomat (non ha altre carte) di mia sorella per prelevare i soldi che la stessa mi chiede periodicamente. Puntualizzo che (data la situazione
giuridicamente confusa) non ho prelevato dalla banca le sue due ultime pensioni.
Su domanda di mia sorella ho comunque fornito le somme da lei richieste fino ad una decina di giorni fa.
Nei prossimi giorni sentirò come la stessa è messa a liquidità.
Distinti saluti, XXXX

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Il nostro reclamante, con procura generale della sorella, attraverso bancomat, verificava anche i movimenti di denaro sul di lei conto bancario. Aveva fatto l’ultimo accertamento il 17 gennaio 2022. Ieri sera, nel recarsi a fare un controllo, ha scoperto che il bancomat della sorella è stato bloccato. Può darsi che si sia verificato un disservizio tecnico ma, il suo avvocato, subito interpellato, ha manifestato il sospetto che il “disservizio” possa dipendere da un’azione deliberata dell”A.d.S., avvocato C.T.. Aspettiamo lunedi prossimo per avere lumi in proposito.



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