Il terzo grado di giudizio dovrebbe, almeno in teoria, essere competenza della Cassazione in quanto Corte di Legittimità. La recente ordinanza relativa alla vicenda Massaro-Apadula, la n.9691/2022, tralascia la pura legittimità per entrare insistentemente nel merito, e già questo lascia comprendere quale sia il grado della ideologia gender oriented dalla quale è inquinata. Abbiamo letto diverse analisi dell’ordinanza di Cassazione di cui sopra pubblicata il 24 marzo c.a., alcune particolarmente pregevoli e sottili (tra cui spiccano le note degli avv. Rita Rossi e Marcello Adriano Mazzola, con accurate citazioni giurisprudenziali), altre invece oscillanti tra il delirio ideologico, l’ottuso tifo da stadio e l’incapacità di comprendere il contenuto degli atti. Noi non vestiamo la toga bordata di ermellino ma proviamo, dal baratro della nostra sconfinata incompetenza, a fare un’umile sintesi.
Per farla, tuttavia, sembra opportuno esaminare non solo l’ordinanza ma anche la sua genesi palese e occulta, vale a dire il ricorso della Procura di Cassazione depositato in Cancelleria il 28/12/2021 a firma del Sostituto Procuratore Francesca Ceroni, ma anche il supporto politico delle tante parlamentari che hanno utilizzato la sig.ra Massaro quale icona di una battaglia squisitamente ideologica, nonché le dichiarazioni della senatrice Valeria Valente. L’ordinanza appare altalenante, ondivaga, contraddittoria – ad altro tacere – nella misura in cui afferma alcuni principi che però smentisce nelle conclusioni. Gli argomenti trattati vertono principalmente su cinque punti-cardine: 1. PAS – Sindrome inesistente, 2. Bigenitorialità, 3. Ascolto del minore, 4. Comportamenti ostativi materni non dimostrati, 5. Allontanamento traumatizzante. Il primo argomento è quello che compare in tutti i titoli sui media e suscita grida di giubilo scomposte nel web: la PAS fuori dai tribunali. Veramente nel caso Massaro/Apadula la PAS non è mai entrata. Allora si stiracchia il concetto dicendo che non devono esistere né la PAS né eventuali corollari, vale a dire alienazione genitoriale, alienazione parentale, patto di lealtà, condizionamento psicologico o altre diciture che in qualche modo, a detta della ricorrente, potrebbero far pensare alla junk science, ossia alle superate teorie di Gardner del secolo scorso.
I dati statistici che non ci sono.
Che la PAS non esista è fuori discussione ormai da anni per la comunità scientifica. A sostenere che sia dilagante nei tribunali sono rimasti solo gli infervorati militanti del fronte NO-PAS che, in un curioso loop, continuano a nominarla per poterla contestare. Il biasimo per il valore a-scientifico dell’alienazione genitoriale non ha alcuna rilevanza, l’ordinanza richiama l’obbligo del giudice di accertare gli eventuali comportamenti ostacolanti. Le etichette non contano, contano i fatti e, piaccia o meno, le condotte ostacolanti non sono opinioni ma fatti concreti. In sede giudiziaria non ha alcuna importanza il riconoscimento sintomatico di una sindrome o presunta tale, la soluzione non è medica ma giuridica, ciò che rileva sono le condotte ostative, disfunzionali, pregiudizievoli. E le condotte ostative esistono, comunque le si vogliano chiamare. È un fatto incontestabile: vi sono genitori che esercitano pressioni palesi ed occulte sui figli al fine di allontanarli dall’altro genitore. Lo sanno perfettamente migliaia di avvocati di comprovata esperienza, ma anche qualsiasi praticante che frequenti lo studio di un civilista impara in fretta che i comportamenti ostativi sono materia quotidiana per chiunque, a qualunque titolo, si occupi di Diritto di Famiglia. Quindi non solo avvocati ma anche giudici togati ed onorari, consulenti dei giudici e delle parti, psicologhe, psichiatri e pedagogisti, curatori speciali, tutori e assistenti sociali si scontrano quotidianamente, da decenni, con una varietà immensa di stratagemmi ostativi ed escludenti messi in atto da genitori conflittuali che aspirano a fare dei figli una proprietà esclusiva.
Il Diritto di Famiglia deve districarsi in un eterno slalom tra incontri ostacolati o negati del tutto, scuse pretestuose, boicottaggi di varia natura, denigrazioni da parte di un genitore ai danni dell’altro e figli strumentalizzati più o meno consapevolmente, ma soprattutto una mole immensa di false accuse costruite ad arte per dirottare sul penale quello che dovrebbe essere un iter civile di volontaria giurisdizione. Sarebbe interessante una statistica, mai effettuata dal Ministero di Giustizia, in merito alle richieste di affidamento esclusivo della prole: inoltrate da quale dei due genitori, con quali motivazioni, con quali esiti. Sarebbe utile per sapere, con dati oggettivi, ad esempio, in quale percentuale le richieste di affido esclusivo siano accompagnate da sconfinamenti nel codice penale con accuse di violenza – vera o presunta – del genitore da escludere e in quale percentuale tali accuse si dimostrino, alla verifica giudiziaria, prive di fondatezza ed esitino in archiviazioni, proscioglimenti o assoluzioni.
La malafede sulla bigenitorialità.
Il secondo argomento è la bigenitorialità, principio storpiato nel suo significato più profondo. Best interest del minore e diritto alla bigenitorialità coincidono, sono sovrapponibili e inscindibili. È un diritto inalienabile del minore, non è difficile, basta leggere: art. 337, primo comma – “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (…)”. Non è quindi un diritto della madre né del padre, il bene tutelato è a chiare lettere un diritto del figlio che però viene forzatamente propagandato come diritto di un genitore che quindi deve soccombere di fronte al best interest del minore stesso. Prova ne sia che l’ordinanza recita più volte tale forzatura: “la prospettiva di soddisfare il diritto-dovere del padre nei confronti del minore” … “il provvedimento impugnato ha inteso realizzare il diritto pretermesso di uno dei genitori alla bigenitorialità del figlio” … “La tutela del diritto del padre alla bigenitorialità non può comportare automaticamente la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale” … “configurazione non condivisibile del diritto alla bigenitorialità, che pur nella doverosa prospettiva di soddisfare il diritto-dovere del padre nei confronti del minore, induce a rimuovere la figura genitoriale della madre in quanto pericolosa per la salute fisio-psichica del minore”. Non è un diritto del padre, è un errore gravissimo definirlo tale.
Testimonia un pregiudizio sessista di fondo nonché la mancata comprensione della ratio della legge 54/06, subordinando i diritti della prole alla contrapposizione tra diritti di un padre e diritti di una madre: restaurando quindi esattamente ciò che il Legislatore del 2006 intendeva eliminare. In questa storpiatura entra a pieno titolo l’impostazione del ricorso Ceroni, che fa una capriola epocale retrocedendo al paradigma della patria potestà: “La retorica del minore “oggetto di potestà”, poiché incapace di autodeterminarsi, nonostante i fiumi di inchiostro scritti negli ultimi decenni da dottrina e da giurisprudenza, evidentemente stenta a scomparire e comunque non giustifica l’eliminazione dei diritti inviolabili del minore”. E ancora: “In ogni caso è urgente una interpretazione evolutiva degli art.330 e 333 cc., norme nate in un periodo storico in cui fondamenta della famiglia erano la “potestà maritale” e la “patria potestà” (…). L’evoluzione culturale e giuridica per la quale il minore oggi pacificamente è soggetto di diritti e non oggetto di potestà, deve avere risposte di giustizia coerenti, innanzitutto dandogli voce all’interno dei procedimenti che lo riguardano”.
Ascoltare il minore? Sì, se autodeterminato.
Terzo argomento, l’ascolto del minore. Sia il ricorso Ceroni che l’ordinanza 9691/22 raggiungono vertici di meravigliosa ipocrisia: un bambino dall’età di 3 anni vive esclusivamente con la madre; dopo averlo lasciato per 9 anni invischiato in un ambiente apertamente, accanitamente e ferocemente ostile al padre, lo si vorrebbe ascoltare per chiedergli un parere imparziale. In sostanza: “ragazzino, dicci in tutta sincerità: preferisci vivere con mamma bella buona e brava che si è sempre occupata amorevolmente di te, o col papà cattivo e violento che ha fatto tanto del male a te e alla mamma, e anni di lontananza forzata hanno reso ormai un semisconosciuto? Dai, sbrigati a rispondere così verbalizziamo la tua dichiarazione spontanea e possiamo legittimare la cancellazione del padre”. Ogni minore ha diritto ad essere ascoltato anche se infradodicenne, è vero, ma qualora sia capace di autodeterminazione. È questo l’elemento fondamentale che manca. Lunghi anni di full immersion in un ambiente familiare in guerra col padre non rendono il ragazzo sereno, imparziale e oggettivo in ogni sua valutazione sul presente e sul futuro. Davvero vogliamo credere che qualunque sua dichiarazione potrebbe essere valutata come libera da turbamenti o condizionamenti di qualsiasi tipo? In sostanza, l’autodeterminazione del figlio può essere realmente “auto” o piuttosto si tratta di etero-determinazione in quanto pesantemente eterodiretta?
Il fattore tempo è fondamentale, lo riconosce la Cassazione stessa: “il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello del genitore che non vive con lui”. Quindi il figlio rimane a decantare per anni in un ambiente tossico lasciando che assorba gradualmente quell’ostilità antipaterna che respira ormai da 9 anni, per poi chiedergli un parere che solo con ipocrita malafede si potrebbe definire imparziale, sereno, genuino. Si tratta di nostre opinioni personali farcite di cronica incompetenza, tuttavia condivise da chi di competenza ne ha, come il curatore speciale che dichiara: “l’interesse ad ascoltare il minore sarà senz’altro urgente, allorquando potrà esprimersi in un ambiente neutro, non certo in quello condizionato della madre in cui si trova costretto in questo momento”. Altro aspetto rilevante sul fronte dell’ascolto del minore è quello relativo all’art. 403 cc, sul quale torneremo anche in seguito. Nessun parere del minore viene preso in considerazione al momento di allontanarlo d’autorità dalla famiglia d’origine, a nessuno viene mai chiesto se è felice di essere portato altrove, in nessun caso il mancato ascolto annulla la validità del decreto di allontanamento.
Come riconoscere una madre ostacolante?
Accade ogni anno a migliaia di bambine e bambini tolti ai genitori e collocati in casa famiglia. Si tratta di misure protettive del minore stesso, a prescindere dalla sua volontà. È il sistema giudiziario (non sempre con motivazioni fondate, vedi inchiesta Angeli & Demoni, ma questo è un altro discorso) a valutare “a rischio” la situazione nella quale vive il minore, e l’allontanamento è una forma di protezione che, per sua stessa natura, nasce come temporanea. Anche nel caso di specie è il sistema giudiziario a valutare dannosa la situazione in cui vive il minore, anche nel caso di specie l’allontanamento non è una misura punitiva nei confronti della madre ma una misura salvifica per il minore stesso, anche nel caso di specie la casa famiglia è una collocazione transitoria. Sono veramente tanti i punti di contatto con quanto accade quotidianamente in tutti i Tribunali per i Minorenni d’Italia, è singolare che solo in questo caso la Cassazione ritenga inapplicabile ciò che in mille altri casi costituisce una prassi consolidata. Il mancato ascolto di un minore da mettere urgentemente in sicurezza è una violazione sempre, o è una violazione ad personam valida solo in questo caso? Così, per sapere … noi siamo incompetenti, lo ripetiamo, ma magari può essere utile a chi incompetente non è.
Quarto argomento, i comportamenti ostativi non dimostrati. Sarebbe troppo lungo e noioso ripercorrere nel dettaglio anni ed anni di strategie ostacolanti. L’avv. Mirella Zagaria li ha riassunti più volte per sommi capi, nell’audizione in Commissione Infanzia e non solo: denunce a raffica per tutti i componenti della filiera giudiziaria, denunce al padre sistematicamente dimostratesi prive di fondatezza, boicottaggi degli incontri padre-figlio, denunce anche per i responsabili delle strutture preposte a ristabilire un rapporto, opposizioni, impugnazioni, ricusazioni. Un gigantesco gioco dell’oca in cui per Apadula esce continuamente la carta “riparti dal via”. Tempi dilatati a dismisura, mentre tutti i provvedimenti evidenziano l’urgenza di agire nell’interesse del minore. Sempre l’avv. Zagaria ha più volte dimostrato come la sig.ra Massaro abbia impedito gli incontri poiché a suo dire il padre sarebbe incapace di occuparsi del figlio e quindi non sarebbe necessario alcun ripristino del rapporto. Inoltre l’ordinanza riporta gli esiti convergenti delle tre CTU depositate in successione, la Cassazione stessa riconosce che il bambino ha subito, negli anni, continue pressioni psicologiche a causa dei comportamenti disfunzionali materni, finalizzati ad allontanare la figura paterna; la condotta della madre, prolungata negli anni, non consentiva al figlio l’accesso alla figura paterna, da lei ritenuta non necessaria. Lo stesso Tribunale per i Minorenni aveva evidenziato la condizione di pregiudizio del bambino, intrappolato in un vincolo di lealtà con la madre che non gli permetteva di autodeterminarsi ed esprimere la propria volontà in autonomia e senza coercizioni. Sorvolando sulle migliaia di pagine agli atti, consideriamo un altro elemento: l’ordinanza di Cassazione n. 6538/22 ribadisce “la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore” come requisito essenziale di idoneità genitoriale. Atteso che l’idoneità genitoriale si valuta anche attraverso la capacità di favorire l’accesso all’altro genitore, ci si chiede cos’altro debba fare una madre per risultare oggettivamente ostacolante.
La visione “progressista” del Pubblico Ministero.
Quinto argomento: il biasimo (ipocrita) per la modalità “traumatizzante” di allontanamento del bambino. Solo in questo caso. Si tratta infatti di un allontanamento giocoforza traumatizzante per qualsiasi minore, comunemente utilizzato grazie ai molteplici procedimenti ex 403 cc, che torniamo a citare. Pensiamo ancora, come in precedenza, alle decine di migliaia di bambine e bambini allontanati negli anni dalle famiglie d’origine per essere collocati nelle strutture di accoglienza. Procedimenti anche inaudita altera parte, le famiglie portano i figli a scuola e quando vanno a riprenderli non li trovano più, prelevati a loro insaputa e condotti altrove. Nessuno può affermare che quei bambini siano felici di non vedere improvvisamente più genitori, nonni e cugini, di essere prelevati da sconosciuti e trasferiti piangenti in luoghi sconosciuti ove vengono affidati a persone sconosciute. Si tratta sicuramente di modalità traumatizzanti, sorprende però come in Cassazione non sappiano o fingano di non sapere che vengono messe in atto da decenni nei confronti di migliaia di minori, con tutti i canoni della legalità. È la teoria del “male minore”, una dinamica sicuramente non ottimale per i minori ma necessaria per non lasciarli immersi in contesti pregiudizievoli. Nel caso Massaro /Apadula la situazione venutasi a creare è esattamente la stessa: il bambino è da anni in un ambiente gravemente pregiudizievole dalla quale deve essere protetto. Che l’ambiente materno sia dannoso per il minore non siamo noi a dirlo, ma una trentina di giudici in diversi tribunali e diversi gradi di giudizio. Però in questo caso – solo in questo caso – il “male minore” sembra essere lasciare il bambino nell’ambiente dal quale dovrebbe essere allontanato. Quindi, per non causargli un pregiudizio, è meglio che rimanga invischiato nel pregiudizio del quale è vittima da anni. Giova ricordare che l’ordinanza ritorna più volte sul punto, dimostrando di abbandonare ogni elemento di legittimità per esprimere giudizi di merito apertamente gender oriented : “sottrazione improvvisa del dodicenne alla madre e all’ambiente familiare in cui è cresciuto serenamente ed accudito amorevolmente”. E tanti saluti all’imparzialità.
Qualche osservazione sul già citato ricorso della Procura di Cassazione a firma Ceroni. Alcuni passaggi, lamentando dei pregiudizi, rivelano invece un profondo pregiudizio sessista. Sempre, ovviamente, secondo la nostra lettura da incompetenti cronici. È frutto di un pregiudizio non considerare il rifiuto di incontrare il padre “chiaramente e consapevolmente espresso dal minore”. La Dr.ssa Ceroni sorprende per i suoi molteplici talenti: oltre ad essere giusperito in quanto Procuratore di Cassazione, deve essere anche una sottile psicologa dell’età evolutiva e deve avere assistito personalmente alle dichiarazioni del bambino, per poterne classificare la piena consapevolezza con incrollabile certezza. È frutto di un pregiudizio il condizionamento del minore da parte della madre. La madre non ha condizionato nessuno, sono incompetenti – persino più di noi – tutti i professionisti che hanno sviscerato ogni aspetto della vicenda negli ultimi 9 anni. È frutto di un pregiudizio considerare dannosa la mancanza affettiva del padre. L’assunto che anche il padre sia importante si fonda sul pre-giudizio per il quale la famiglia monoparentale è “dannosa” per i figli. Ceroni dixit. La legge 54/06 (che chiama, sbagliando, approdo legislativo 1.40/2006) certamente non contiene in sé un giudizio negativo sulle tante famiglie monoparentali, sempre più diffuse nella società civile. Sembra impossibile ma l’ha scritto davvero. Leggiamo tra le righe, dal basso della nostra incompetenza: siccome esistono le famiglie arcobaleno, le fecondazioni artificiali, le adozioni e diversi altri strumenti, in Italia e all’estero, per garantire la filiazione anche a madri single, nulla accerta che l’apporto affettivo di entrambi i genitori sia fondamentale nel percorso di crescita della prole. In fondo nel primo e secondo dopoguerra l’Italia era piena di orfani di padre, ancora oggi un migliaio di figli ogni anno perdono il padre a causa di incidenti sul lavoro. Nulla certifica che ne ricevano un danno, secondo la progressista visione della dr.ssa Ceroni.
«Tutto, e anche oltre».
Di seguito un estratto, non l’unico, che lascia perplessi in merito a chi sia farcito di pregiudizi. Sul sito è consultabile il testo integrale: “A proposito del “rifiuto” di OMISSIS ad incontrare il padre, ha ragione, dunque, il ricorrente nel censurare l’omesso esame di questo fatto decisivo, omissione che è palese frutto di un pre-giudizio, che si fonda su un presupposto indimostrato, il condizionamento di OMISSIS da parte della madre, condizionamento secondo il Giudice delle Leggi non è “accertabile dall’interprete in base a criteri razionalmente ammissibili”. Solo condizionamenti accertabili su un piano scientifico a partire da comportamenti concretamente posti in essere, possono costituire la ragione per confinare nell’irrilevante giuridico la volontà chiaramente e consapevolmente espressa dal minore che il diritto vivente vuole al centro di ogni decisione che lo riguardi. Utile anche l’analisi dell’unica ragione che fonda la decisione della corte territoriale, sintetizzata nella seguente proposizione: “alla soglia dell’età adolescenziale è dannosa la mancanza della relazione affettiva con il padre e la presenza patema va vissuta continuativamente, in quanto è per lui importante e irrinunciabile fattore di crescita e maturità” (cfr.pag.3). L’assunto si fonda sul pre- giudizio per il quale la famiglia monoparentale è “dannosa” per i figli, soprattutto alla soglia dell’adolescenza, assunto privo di riscontro scientifico, storico, antropologico. L’approdo legislativo (1.40/2006) sul cd. diritto alla bigenitorialità, in realtà, promuove il diritto del minore ad essere curato da entrambi i genitori, come condizione astrattamente auspicabile per ogni bambino, ma certamente non contiene in sé un giudizio negativo sulle tante famiglie monoparentali, sempre più diffuse nella società civile; ne la corte territoriale riporta a supporto della sua affermazione studi sociologici o dati statistici per i quali i minori cresciuti in famiglie monoparentali hanno minori chances di crescere armoniosamente.”
Potrebbe sembrare, ma sicuramente sbagliamo a causa della nostra incompetenza, che il ricorso della Procura sia un passaggio pianificato, caldeggiato e alla fine ottenuto. Abbiamo detto e scritto più volte che la Sig.ra Massaro non avrebbe, ovviamente, potuto far vivere da latitante il figlio all’infinito, quindi come si poteva leggere il rifiuto di ottemperare alle disposizioni della Corte d’Appello? È lecito credere che qualche garanzia abbia ricevuto del tenore “tieni duro qualche mese, fai sparire il bambino e rifiuta di consegnarlo perché stiamo facendo carte false per pilotare la Cassazione a tuo favore”. Fantagiustizia? Forse. O forse no, qualche dubbio nasce dalle dichiarazioni della Senatrice Valente che l’11 luglio 2021, a valle della sentenza di Corte d’Appello che rigettava il ricorso della sig.ra Massaro, confermava la revoca della responsabilità genitoriale e disponeva l’allontanamento del figlio, scriveva:
Ah però! Tutti, da anni, si preoccupano di utilizzare “il minore”, “il figlio”, “il bambino” e anche “omissis” negli atti, mentre invece la Senatrice rivela che il figlio della coppia Massaro/Apadula si chiama Lorenzo. Ciò che tutti sapevamo ma per correttezza evitavamo accuratamente di scrivere. Da notare l’esplicito endorsement pro-Massaro, mentre altre parlamentari – sempre della nutrita falange siamotuttelaura – si preoccupano di proclamarsi imparziali, a supporto né della madre né del padre ma esclusivamente del bambino. Ciò che fa riflettere è il dico-non-dico della Valente, le allusioni neanche tanto velate a riservatissime manovre sottobanco, talmente segrete da non poter essere rivelate nemmeno alla diretta interessata. Tutto ciò che è potere della politica, ed anche oltre. Ed-anche-oltre. Poi esce il ricorso Ceroni e si attiva il terzo grado di giudizio, quello di una legittimità molto elastica che sconfina abbondantemente nel merito. Ma è solo una coincidenza, noi incompetenti non possiamo dire altro poiché non sappiamo cogliere le sottigliezze del Diritto. Resta il fatto che l’ordinanza non scrive la parola fine alla vicenda dicendo “la Massaro ha ragione”. Già è successo in passato: prima è un trionfo, poi viene contestato. Quella oggi celebrata come una grande vittoria in realtà rimanda tutto, per l’ennesima volta, alla Corte d’Appello in diversa composizione, senza però disconoscere le continue pressioni psicologiche subite dal bambino a causa del comportamento disfunzionale della madre, senza disconoscere la condizione di pregiudizio del bambino, senza disconoscere la condotta materna che volontariamente o involontariamente non ha consentito l’accesso alla figura paterna. Chissà se arriverà anche in Corte d’Appello tutto ciò che è potere della politica, ed-anche-oltre?