«La libertà intellettuale dipende da cose materiali. La poesia dipende dalla libertà intellettuale. E le donne sono sempre state povere, non soltanto in questi duecento anni, ma dagli inizi dei tempi. Le donne hanno avuto meno libertà intellettuale di quanta non ne avessero i figli degli schiavi ateniesi. Le donne, pertanto, non hanno avuto la più piccola opportunità di scrivere poesia», afferma Virginia Woolf nella sua opera Una stanza tutta per sé. Per prima cosa non posso che rivelare che quanto affermato nel testo deve essere frutto o della malafede o dell’ignoranza di Virginia Woolf. Nell’opera enciclopedica sulla Storia Mondiale delle Donne, vol. 3 (Historia Mundial de la Mujer – Oriente, Africa negra, Asia, Oceanía y América Precolombiana, p. 351) c’è scritto: «se dovessimo scrivere un’opera sulla letteratura femminile in Cina, sarebbe un libro straordinariamente voluminoso», e non hanno torto. Nella Storia dell’umanità ci sono state poche scienziate e matematiche, ma scrittrici e poetesse non sono affatto mancate, in ogni cultura e continente, dall’Antico Egitto, al Giappone alla cultura Maya. Quando Virginia Woolf scrive queste righe, la società pullula di aspiranti scrittrici e poetesse, annoverate anche tra la sua cerchia di conoscenze.
Per amor di precisione, quando l’autrice denuncia l’impossibilità di scrivere di Judith, l’ipotetica sorella di Shakespeare (1564-1616) nel brano di Virginia Woolf, contemporaneamente Anne Seymour (1538-1588), nobile scrittrice inglese, assieme alle sue sorelle Jane e Margaret, compone il poema Hecatodistichon in onore di un’altra donna, la regina Margherita di Navarra. Nel frattempo, senza alcun problema di sorta, Lady Margaret Hoby (1571-1633) scriveva il suo diario, e così faceva anche Lady Anne Clifford (1590-1676), figura di riconosciuto prestigio già all’epoca dentro dell’ambito letterario, elogiata dal poeta John Donne. Se circoscriviamo il discorso alla letteratura drammatica, ambito nel quale non riuscì a sfondare Judith dovuto, secondo Virginia Woolf, ai pregiudizi, nella stessa epoca in Spagna scriveva romanzi e opere di teatro María de Zayas Sotomayor (1590-1661), autrice di successo, le sue opere tradotte in altre lingue, elogiata dal contemporaneo celebre drammaturgo Lope de Vega. Vorrei rammentare che la Spagna allora, al contrario dell’Inghilterra, era la potenza mondiale dell’epoca, tanto militarmente che culturalmente, impero al quale si specchiava il resto d’Europa – non ancora per molto.
“Coscienza di sesso” al posto della “coscienza di classe”.
Il problema di Virginia Woolf (e di tutte le femministe) è quello di aver sostituito, nella sua immaginazione, e poi trasferito alla realtà, la “coscienza di classe” con la “coscienza di sesso”. Mediante delle generalizzazioni semplicistiche, attraverso l’infantilizzazione del pensiero, divide l’umanità in due gruppi: i buoni (le donne/vittime) e i cattivi (gli uomini/oppressori). Purtroppo però nella realtà non è tutto bianco e nero, ma ci sono un’infinità di sfumature di grigi. Nella Storia dell’umanità la condizione di tanti uomini è stata ed è infinitamente peggiore della condizione di tante altre donne, e questo riguarda anche l’istruzione. In certi ambiti ed epoche talvolta le donne hanno trovato maggiori difficoltà, ma non è sempre stato così. Le donne erano più istruite ad esempio durante il periodo carolingio o in America durante la conquista del far west, finché gli uomini erano occupati dalla spada e dal fucile. Sono proprio le suffragiste all’inizio del XX secolo ad appellare esplicitamente alla maggiore istruzione femminile per richiedere il diritto di voto! Ma al di là dei numeri tra i sessi, la popolazione istruita per secoli è sempre stata una minoranza. La poetessa statunitense Emily Dickinson (1830-1886) studiò l’Eneide in latino, ma anche botanica, geologia, storia, filosofia, algebra, geometria e teologia. Quanti altri uomini contemporanei ebbero la stessa educazione? Quando Virginia Woolf denuncia le difficoltà di Judith per ottenere un’istruzione, la popolazione maschile analfabeta si contava in milioni. Interessa a Virginia Woolf la sorte di questi milioni di uomini che stanno peggio di Judith? Affatto, perché nella sua mente la scrittrice ha sostituito la “classe” di appartenenza per il “sesso”. Ancora nel XX secolo in Spagna, dopo la Guerra civile (1936-1939), la Guardia Civil andava nelle campagne a cercare i bambini che i genitori mandavano a lavorare in campagna invece che a scuola (mio padre, cresciuto in un paese di campagna, ne fu testimone diretto). Indovinate qual era il sesso predominante di questi bambini? Piuttosto Virginia Woolf si dovrebbe chiedere come mai la produzione creativa risulta asimmetrica anche tra quella sparuta minoranza di persone istruite, nell’aristocrazia e le classi agiate, dove l’istruzione era comune a uomini e donne, e le donne, in teoria libere dagli impegni di governo e delle guerre, avevano più tempo libero per poter dilettarsi a creare e a inventare. Il re Davide fu poeta, autore di molti salmi, Cantigas de Santa Maria è opera di Alfonso X il Saggio, persino Giulio Cesare ebbe il tempo di scrivere dei libri, tra una conquista e l’altra. C’è addirittura l’imperatore filosofo, Marco Aurelio. E nel frattempo le regine, parimenti istruite, cosa facevano? Forse bisognerebbe incominciare a cercare la spiegazione tra gli interessi diversi degli uomini e le donne.
Questo discorso è valido anche per tutti quegli uomini che, come tutte le donne secondo Virginia Woolf, «sono stati poveri» o addirittura «schiavi» come «gli schiavi ateniesi», malgrado le avversità, sono riusciti lo stesso a tramandare la loro impronta creativa. La schiavitù non impedì a Epitteto, Esopo o San Patrizio di sviluppare i loro talenti. La povertà perseguitò il pittore e incisore giapponese Hokusai, l’artista più famoso di tutta la storia del Giappone; quando Jan Vermeer morì, la vedova pagò i debiti dal panettiere con due quadri del pittore; Van Gogh, si sa, non riuscì a vendere nessun quadro; Cervantes, come il padre di Charles Dickens, fu imprigionato per debiti; Mozart fu seppellito in una fossa comune a seguito di un funerale “economico”. L’ingegnere scozzese Thomas Telford, protagonista durante la prima rivoluzione industriale, autore di innovativi progetti e realizzazioni di ponti, da giovane era spaccapietre. Il contadino spagnolo Justo Gallego Martínez è riuscito a erigere da solo una cattedrale a Medina del Campo. Alcuni sono stati autodidatti, il più noto è Michael Faraday, uomo privo di formazione scientifica, apprendista rilegatore, che aprì la via alla fisica moderna. A diciotto anni Django Reinhardt, chitarrista jazz francese subì un grave incidente. Vittima di un incendio, Django riportò gravi ustioni, perse l’uso della gamba destra e di parte della mano sinistra. Nonostante la menomazione alla mano sinistra e le dita atrofizzate sviluppò una tecnica chitarristica rivoluzionaria.
La tormentata vita di Dostoevskij.
Numerose altre celebrità possono essere citate, valga come esempio riassuntivo e in maniera più approfondita la tormentata vita di uno degli scrittori universali più celebri e noti, Fedor Dostoevskij (1821-1881). Durante molti anni lo scrittore visse in povertà e perseguitato dai debiti. Per sbarcare il lunario e poter pagare i debiti scriveva a un ritmo febbrile, e di notte traduceva dei libri, come l’Eugénie Grandet di Honoré de Balzac ed il Don Carlos di Friedrich Schiller. Secondo di otto figli, tra fratelli e sorelle, tutti quanti sconosciuti alla posterità – in riferimento al brano di Virginia Woolf, dal quale si desumerebbe che Judith, in quanto sorella di Shakespeare, avrebbe dovuto raggiungere le stesse vette creative se non fosse stata discriminata in quanto donna –, ebbe una salute cagionevole: le crisi epilettiche lo perseguiteranno per tutta la vita. A 27 anni venne arrestato per partecipazione a società segreta e condannato alla pena capitale tramite fucilazione. Lo zar Nicola I commutò la condanna a morte in lavori forzati a tempo indeterminato, ma Dostoevskij, ignaro del fatto, subì una simulazione di esecuzione nella fortezza di Pietro e Paolo (la Bastiglia russa) a San Pietroburgo. Questa finta esecuzione gli provocò un trauma. Seguirono quattro anni di duro lavoro in Siberia. In quell’esilio a Omsk, senza libri né famiglia, come qualsiasi altro recluso, lo scrittore pativa il freddo glaciale e levava gli scarafaggi dalle zuppe di cavolfiore.
Dopo i quattro anni di lavori forzati dovette scontare il resto della pena, per cinque anni, servendo nell’esercito come soldato semplice nel 7º battaglione siberiano. (È da notare come il “servizio militare” sia stato concepito universalmente e lungo tutta la Storia come una «pena da scontare», un modo per redimere condanne e debiti, un dazio da pagare da parte di tutti gli uomini, anche da innocenti). Lì iniziò una relazione con Maria Isayeva, una donna sposata. Morto il marito, Isayeva inizialmente rifiutò la proposta di Dostoevskij di matrimonio «perché non aveva risorse» e se ne andò con un altro corteggiatore. Alla fine accettò ed ebbe inizio un matrimonio infelice – già dal primo giorno: Dostoevskij ebbe un attacco epilettico la prima notte di nozze. Una volta vedovo, a San Pietroburgo, si innamorò di una giovane ammiratrice di 21 anni, Apollinarija Suslova, che pubblicava racconti protofemministi su delle riviste. Decisero di incontrarsi a Parigi, dove la Suslova si era trasferita. Una volta arrivato, la Suslova non voleva più vederlo perché si era innamorata di uno spagnolo di nome Salvador, che dopo una breve storia d’amore le aveva voltato le spalle. Tramite un amico Salvador gli disse che aveva la febbre tifoide. In realtà, era con un’altra donna, come poté verificare la Suslova quando, il giorno dopo, lo vide in perfetta salute nella via della Sorbona. La donna tornò nella stanza di Dostoevskij gridando che voleva uccidere l’imbroglione spagnolo.
Dostoevskij propose alla Suslova di fuggire in Italia. Ma lei era ancora furiosa con il seduttore spagnolo: «Va bene, non voglio ucciderlo, ma vorrei torturarlo per un po’». (Come si può notare, il comportamento violento di questa donna protofemminista per il tradimento sentimentale subìto rispecchia molto bene l’attuale racconto femminista sul carattere innocente e pacifico delle donne all’interno di relazioni sentimentali conflittuali). Sulla strada per l’Italia, Dostoevskij perse i soldi nei casinò e impegnò l’anello della Suslova. La loro relazione divenne tossica: lei si spogliava davanti a lui e poi lo mandava a dormire nella stanza accanto. Spesso lo ridicolizzava in pubblico, e per questo motivo lo scrittore si gettava ancora più disperato sul gioco nei casinò. Anni più tardi Freud concluse che per Dostoevskij giocare alla roulette era il suo sostituto della masturbazione. Fu il debito che portò Dostoevskij a cambiare vita. Nel 1866 firmò un contratto con il suo editore che prevedeva la pubblicazione di un nuovo romanzo entro un anno, diversamente avrebbe perso il diritto patrimoniale su tutte le sue opere. Dostoevskij assunse una stenografa, Anna Snitkina, che divenne sua moglie, e con lei arrivò finalmente, negli ultimi anni di vita, un’esistenza serena. Nel bene e nel male tutte queste vicissitudini condizionarono senza dubbio l’opera di Dostoevskij. Epilessia, prigionia, lavori forzati, simulazione di una condanna a morte, relazioni tossiche, povertà e indigenza non riuscirono a fermare la produzione creativa di Dostoevskij. In che modo Judith, l’immaginaria sorella di Shakespeare nel brano di Virginia Woolf, dovette superare maggiori ostacoli, penurie, fatiche e complicazioni di Dostoevskij? C’è qualche altro evento, oltre alla prigione, le torture o la povertà, come quelle subite da Dostoevskij, che può condizionare ancora in maniera più irrimediabile la creatività e l’inventiva dell’individuo? Naturalmente sì, come vedremo nell’intervento della prossima domenica.