Il dato di fatto è uno soltanto: non c’è volta che l’approccio “verificazionista” all’abuso sui minori non venga condannato, quando viene sottoposto a un giudizio formale, equo e ponderato. Che si tratti del Forteto, della Bassa Modenese, della Val d’Enza o dei tanti altri disastri simili sparsi per il Paese e per ora ignoti, non appena lo si sottopone al vaglio di un giudice e di esperti “terzi”, viene fulminato sul posto e apparentemente espulso con ignominia dal novero delle metodologie utilizzabili. Per chi non lo sapesse, in breve: l’approccio “verificazionista” è quello che, nell’analisi di un minore, presuppone sempre che sussista un abuso sessuale, nel 99,9% dei casi perpetrato dal padre. Tutto ciò che fanno un perito, uno specialista, uno psicologo o un assistente sociale seguaci di quell’approccio, è orientato a trovare prove di quel presupposto. Nient’altro. Il bimbo fa un disegno asimmetrico? C’è stato abuso sessuale da parte del padre. Il minore esita a parlare di questioni familiari? Anche questo è segno di un abuso sessuale paterno. Il ragazzino si mostra timido e introverso? Be’, ovvio: è stato stuprato dal padre. Questa, e non altra, è la linea ragionativa e analitica di un “verificazionista”. Chi la adotta è spesso talmente fanatizzato da forzare la realtà, pur di avere elementi a sostegno della propria tesi precostituita: così si verificano casi di disegni modificati o perizie manipolate. Chiaramente di genitori, madri o padri, snaturati e criminali, che abusano dei figli, ce ne sono, ma grazie al cielo in una proporzione sideralmente lontana dalla quasi totalità ipotizzata per preconcetto dai verificazionisti. I quali, sparando nel mucchio, può capitare che di tanto in tanto colgano un bersaglio, ma è una casualità che non fa testo. Com’è noto, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno.
Dietro a quello che più che un approccio scientifico, pare l’applicazione pratica di un’ossessione maniacale, si possono identificare quattro elementi di base. Il primo è il fattore sessocentrico: il verificazionista esclude a priori qualunque altro tipo di abuso che non abbia carattere sessuale. Maltrattamenti, percosse, violenze psicologiche, sfruttamento, umiliazioni, lavaggi del cervello, sono tutte fattispecie che per il verificazionista non esistono. Se qualcosa di anomalo c’è, è riferibile soltanto a un avvenuto abuso sessuale. Il secondo elemento è la colpevolizzazione sistematica della figura genitoriale maschile, il padre, così mostrando una parentela strettissima con l’idea-base del femminismo. La madre viene coinvolta nelle prassi manipolative del verificazionista in genere soltanto se fa resistenza rispetto alle chiavi interpretative usate. In quel caso però viene soltanto denigrata, non colpevolizzata. Il terzo elemento è di metodo, ed è un po’ il bug più evidente del sistema verificazionista: l’idea secondo cui bisogna credere sempre alle parole di un bambino. I minori non mentono mai, non sono influenzabili, non confondono ricordi, idee e fantasie. Una sciocchezza autoevidente, che pure fa da fondamenta all’approccio verificazionista (e, se si cambia il soggetto dal minore alla donna, risulta identico al famigerato believe women del femminismo). C’è poi un quarto elemento molto importante, quello che determina la diffusione del metodo verificazionista: esso ben si sposa con il raccapricciante business degli affidi. Un bambino messo in mano a un verificazionista è certo che presto o tardi verrà sottratto alla famiglia e inserito nel ricco circuito delle case-famiglia prima e degli affidi poi.
Foti umiliato durante il processo.
I metodi di approccio corretti all’abuso sui minori sono ben altri, riconosciuti a livello internazionale e severamente disciplinati. Come tali, non si prestano allo sporco business di cui si è detto. Per questo ancora, nonostante gli sfracelli sistematici del verificazionismo, faticano ad affermarsi, il tutto a danno di bambini, genitori e famiglie. Un fatto, questo, si diceva, ampiamente provato dalle storie giudiziarie che hanno messo il verificazionismo sul banco degli imputati. Una recente prova la si ha leggendo le motivazioni della sentenza di condanna per Claudio Foti, da decenni il guru del verificazionismo italiano. I giudici di primo grado mostrano di avere le idee molto chiare: «Foti ha instillato nella minorenne il ricordo dell’abuso, ma anche il dubbio che a perpetrare tale violenza potesse essere stato il padre». Ossia la bambina non aveva quel ricordo, perché il fatto non era mai avvenuto. Secondo i giudici è stato Foti a inocularglielo nella mente «generando così nella ragazza grandissima sofferenza e un fortissimo disagio, tale da condurla, nel 2018, completamente fuori controllo». Oggi quella bambina, parte offesa nel processo contro Claudio Foti, soffre di «un disturbo di personalità borderline e un disturbo depressivo con ansia, accertati dal consulente tecnico del PM». In altre parole, secondo i giudici, Foti e il suo metodo hanno devastato direttamente l’esistenza di una persona e indirettamente quella della sua famiglia. E non va dimenticato che la bimba non è stata l’unica a passare nell’inferno del “sistema Bibbiano”. Quante e quanti come lei?
I bambini non mentono, dicono i verificazionisti come Foti. Sono impermeabili a qualunque tipo di suggestione. Nessun abuso, ricordiamolo, era stato perpetrato sulla bambina, che pure a un certo punto se ne era dichiarata convinta. Come mai? Le motivazioni della sentenza riportano le parole con cui Foti stesso manipolava la sua mente, registrate durante una seduta con la povera piccola. Roba da brividi: «Come ogni bambina credevi a tuo padre e vivi con l’esperienza pesante, violenta che ti fa perdere fiducia… non credi in tuo padre… ci credevi… non ci credi… in tua madre tante esperienze che hanno rovinato lei… ma cosa ti presenta il modello che alla lunga è rovinoso… modello intendo adesso definirlo servile… tuo padre ti aveva proposto sesso e violenza da quel che sappiamo… tua madre non ti ha assolutamente proposto sesso e violenza… ma comunque ti propone anche lei un modello cioè ehhh… da quello che avevamo visto… magari è da rivedere un attimo… cioè… io ti faccio attenzione, io ti seguo, io ti aiuto, io ti do delle cose… però poi tu devi seguire un certo modello di vita…». I magistrati, nell’emettere la sentenza, non hanno dubbi: Foti interveniva ripetutamente durante la terapia, sovrastava la bambina sul piano della narrazione, formulava ipotesi, interpretava e soprattutto suggeriva, con domande incalzanti e suggestive, le risposte della bambina. Come già era accaduto nella Bassa Modenese e in altri casi. Non alla ricerca della verità, ma solo ed esclusivamente di qualcosa che comprovasse la sua idea di partenza: c’è stato un abuso sessuale da parte del padre. Talmente ossessiva è stata questa ricerca (la maniacalità è un tratto caratteristico dei verificazionisti) da indurre Foti a utilizzare in modo totalmente scorretto la tecnica EMDR, ampiamente accettata in ambito psicoterapeutico ma disciplinata da un rigoroso protocollo. La testimone al processo Isabel Fernandes, presidente dell’associazione EMDR Italia, non ha avuto remore a denunciare e umiliare il guru di Bibbiano in aula: «Quella di cui mi è stata data lettura non costituisce terapia EMDR in quanto ben lontana dal protocollo dell’EMDR».
“Bibbiano” è un sistema. Ed è ovunque nel Paese.
Forse, però, Foti ha agito così per incompetenza. Famoso e apprezzato finché vuoi, ma magari era tutto fumo e niente arrosto. Secondo i giudici non è così: «Tutti questi elementi, tra i quali in particolar modo lo scrivente ritiene oltremodo significative le elevate competenze professionali possedute dall’imputato, portano a ritenere che Foti, nel condurre la psicoterapia con tali modalità scorrette ed invasive – modalità di cui certamente deve ritenersi consapevole – si fosse senza dubbio rappresentato con ragionevole “certezza soggettiva” la verificazione di conseguenze lesive dell’equilibrio psichico della paziente». In parole semplici, Foti ha agito con dolo, pienamente consapevole del suo potere e dei metodi che stava usando. Per i giudici è dunque indubbio che Foti sia riuscito volutamente ad «alterare lo stato psicologico della minore, convincendola della malignità del padre». Le motivazioni poi deviano sulla spiegazione della condanna, oltre che per lesioni, anche per frode processuale. Questioni economiche, parcelle gonfiate, rigiri strani di fatture e compensi che qui però non interessano. L’abbiamo detto all’inizio, il verificazionismo si salda perfettamente con il “sistema” degli affidi e il suo ricchissimo business, quindi non sorprende che quanto realizzato abbia avuto anche la conseguenza di gonfiare le tasche di alcuni. Ma questo è un aspetto, per quanto importante e scandaloso, che noi consideriamo secondario. Al centro della nostra attenzione c’è l’esistenza di quella bambina (e dei tanti come lei) e della sua famiglia (e delle tante come la sua), devastate non tanto da Claudio Foti, ma da un metodo. Ha senso personalizzare la questione solo limitatamente al caso giudiziario in questione, ma fermarsi a questo sarebbe miope. Sul banco degli imputati, impersonato da Claudio Foti, c’era in realtà un approccio metodologico, oltre che a un’ampia comunità di portatori di interessi tossici.
Quell’approccio, condannato per l’ennesima volta in un tribunale, è infatti uno dei tanti binari che corrono paralleli al binario femminista della colpevolizzazione e criminalizzazione dell’uomo-padre, affermato come sempre violento e violentatore. Anzi l’uno rappresenta la possibile soluzione delle contraddizioni dell’altro. Nei numeri, infatti, il postulato femminista viene smentito ferocemente: decine di migliaia di denunce e poche migliaia di condanne ogni anno. Un’anomalia che fa gridare alcune invasate alla necessità di considerare colpevole comunque un uomo anche se assolto (come accade già in Spagna). Il verificazionismo propone una via d’uscita dall’empasse: manipolare la mente dei minori per alienarli dal nucleo genitoriale e indurli facilmente ad accusare il padre, il tutto affermando solennemente in fior di convegni (in genere targati CISMAI) che i minori non mentono mai e non possono essere manipolati. Rubare la vita dal forziere dei bambini, asserendo però pubblicamente che quel forziere è a prova di ladro: questo fanno i verificazionisti, contestualmente offrendo molti assist al femminismo. Costoro per anni hanno fatto formazione agli operatori di giustizia e ai servizi sociali, si infiltrano e operano ovunque, ad ogni livello, senza nemmeno restare nell’ombra, come dimostrano gli scandalosi opuscoli del Tribunale dei Minori di Bologna. Dietro questa devastante ipocrisia si rifugiano in tanti. Qualcuno, come Laura Massaro e il suo entourage, ne fa anche occasione di cinico circo mediatico. Un horror show sulla pelle dei minori e quasi sempre dei padri, che solo la rara azione di magistrati coscienziosi (come la PM di Reggio Emilia Valentina Salvi) riesce a interrompere. Sebbene la realtà dei fatti ci dica che serve qualcosa di più delle condanne giudiziarie: Laura Massaro, pur avendo per sentenza revocata la responsabilità genitoriale, detiene ancora il figlio; il verificazionismo alla Foti, nonostante le continue condanne, dilaga ancora in quell’orrido mondo di mezzo di psicologi forensi minorili, case-famiglia, assistenti sociali e associazionismo femminista dell’antiviolenza di professione. Per interrompere questo male, oltre ai pochi giudici che fanno il loro mestiere, servirebbero controlli serrati, requisiti stringenti e nuove leggi, sostenute da una presa di coscienza collettiva del fatto che “Bibbiano” è un sistema. Ed è ovunque nel Paese.