«Il gesto estremo compiuto da Sandra Laino è un atto d’accusa ma è soprattutto un atto contro il marito, un atto al quale lui non poteva più opporre nulla né violenza né insulti. Infatti, ha provocato la sua presenza chiamandolo al cellulare e davanti a lui s’è sparata il colpo mortale». Il marito, Antonio Vigilanti, è stato condannato a 3 anni di reclusione per maltrattamenti alla moglie, morta suicida il 14 maggio 2008. I contenuti delle motivazioni della sentenza sono pesanti, descrivono la «vita tormentata» della Laino, che amava alla follia un marito che la «tradiva costantemente» e che la «umiliava con maltrattamenti più psicologici che fisici». Secondo il giudice, «il rapporto tra l’imputato e la moglie era tipizzato dal carattere forte e volitivo del marito del quale la donna era succube in quanto profondamente innamorata e desiderosa di compiacerlo anche al punto da annullare i suoi desideri e sentimenti». «L’imputazione e la prova piena derivano principalmente dalla stessa vittima che in quelle poche righe degli scritti lasciati alla sua morte ha mirabilmente sintetizzato anni di dolore e sopraffazione». In somma sintesi, nei biglietti, scritti in stampatello, la moglie avrebbe accusato il marito di averle distrutto la serenità, di averla tradita con molte amanti, di non aver mai ricambiato il suo amore e di essere stata da lui accusata ingiustamente di avere avuto una relazione clandestina con l’insegnante di musica. Questo comportamento vessatorio e opprimente nei confronti della moglie l’avrebbe indotta a farla finita.
Si tratta della prima sentenza di condanna per istigazione al suicidio nei confronti di un uomo, a tutela della moglie, morta suicida. La cosa ha sinceramente del meraviglioso. Tutti sappiamo che i dati delle vittime di suicidio per sesso sono nettamente sbilanciati a danno dell’uomo. Malgrado la narrazione femminista e i presunti privilegi maschili, da oltre un secolo in Italia, in Europa e nel mondo il 70% circa delle vittime di suicidio sono uomini. La probabilità dunque che un processo simile riguardasse una donna, e non un uomo, era del 30% circa. Ma neanche questo è esatto, si tratta di una tipologia di suicidio, nell’ambito di un conflitto di coppia, in eventi di crisi matrimoniale, divorzio, separazione, tradimenti, dove le percentuali sono ancora più nettamente sbilanciate. Scrive l’INE (ente statistico ufficiale spagnolo, come l’ISTAT in Italia) in Mujeres y Hombres en España 2002: «il divorzio aumenta vertiginosamente i tassi di suicidio nella popolazione maschile». Quali sono le percentuali divise per sesso? Non si sa perché, misteriosamente, nessun ente ufficiale, di nessun paese occidentale, si è preoccupato di studiare il suicidio nell’ambito delle separazioni/divorzio, un fenomeno che colpisce prevalentemente l’universo maschile. È un dato che non interessa a nessuno, ma c’è un’altra tipologia di suicidio divisa per sesso che sì viene studiata, e forse riesce a fornirci un’idea approssimativa perché mostra certe analogie: il suicidio per motivi economici. Secondo l’Ansa, il suicidio per motivi economici «è un fenomeno quasi esclusivamente maschile (95%)». Non credo sia azzardato ipotizzare che entrambe le tipologie presentino delle percentuali divise per sesso molto simili.
Uomini mai indotti al suicidio.
Qualche dato, qui e là, offre un’idea della grandezza del fenomeno. La stessa relazione dell’INE del 2002 fornisce una cifra di circa 725 uomini divorziati suicidi per quell’anno in Spagna (per avere un parametro di paragone, nello stesso anno erano 42 i coniugi uccisi nell’ambito familiare). Da allora il governo spagnolo ha smesso di pubblicare i dati delle vittime di suicidio divise per stato civile. Negli Stati Uniti, dati dall’US National Longitudinal Mortality Study (NLMS), gli uomini divorziati sono 9,7 volte più propensi a commettere suicidio delle donne divorziate. In Italia, secondo i dati, i padri separati suicidi sono 200 ogni anno. Nella relazione dell’Eures, L’ultimo grido dei senza voci. Il suicidio in Italia al tempo della crisi, «l’indice di rischio complessivamente più alto si rivela tuttavia tra i separati e i divorziati (14,2 ogni 100mila abitanti, che sale a 28,4 tra gli uomini contro un indice pari a 4,8 tra le donne)». Malgrado ci sia un innegabile tentativo dei media e delle istituzioni occidentali a oscurare il fenomeno, la cronaca locale offre numerosi esempi di tragedie simili. La Federazione Nazionale Bigenitorialità – Osservatorio Permanente sulle Famiglie Separate (FeNBi) ha raccolto per anni una lunga casistica, elencata nelle sue relazioni, di questi eventi tragici. Uomini che in una separazione perdono tutto, la famiglia, i figli, il patrimonio, la libertà, che vanno fuori di testa per un tradimento, o perché non riescono a vedere i figli, o perché gettati sul lastrico, e cadono in una spirale autodistruttiva che annienta se stessi e purtroppo, qualche volta, anche quelli che ci sono intorno.
Alcuni scrivono, avvertono che lo faranno, informano amici e parenti, lasciano lettere nelle quali individuano i responsabili del loro gesto, con nomi e cognomi. Il caso dell’ispettore di Pubblica Sicurezza Saverio Galoppo è raccontato nel libro “… perché i giudici non sono bambini…” . L’ispettore si spara alla tempia al termine di una strage; sul luogo del suicidio lascia una lettera, ne aveva preventivamente inviate 20 copie ad altrettanti amici e parenti, dove individuava nei giudici e negli avvocati la molla scatenante del gesto disperato. Non c’è bisogno di fare una strage. Ad Antonio Sonatore veniva impedito di vedere la figlia. Tutti lo sapevano. Si dà fuoco. Altri esempi possono essere facilmente elencati. Qualcuno mi accuserà di pensare male: il sesso della vittima e dell’imputato non c’entrano, è stato soltanto una coincidenza del caso, statisticamente improbabile, ma pur sempre una strana coincidenza del caso. Forse… o forse no. Ecco un’altra strana coincidenza del caso. Tre anni dopo la morte di Micol, il pm Francesco D’Olio ha chiesto il rinvio a giudizio del fidanzato, Francesco Sciammarella, con un’accusa molto pesante: istigazione al suicidio. La criminologa Roberta Bruzzone afferma: «Ho parlato con i familiari, le amiche e chi la conosceva, ho letto i suoi messaggi sul cellulare e sui social, ho costruito una sorta di “autopsia psicologica” della ragazza. La mia impressione è che si tratti di un caso di femminicidio per interposta persona, che mani invisibili abbiano spinto Micol giù da quella finestra». «Secondo la ricostruzione del magistrato, Sciammarella avrebbe umiliato e distrutto Micol: ci ha messo tre anni, l’avrebbe smontata pezzo per pezzo. Al punto di farla ingrassare di 20 chili in tre mesi, lei che era bellissima, alta e con un fisico leggero, da modella. Ingozzandola di cibo come un’oca da foie gras per “piacergli di più”».
A pensar male si commette peccato…
Centinaia di uomini (o forse migliaia) nel mondo occidentale che confidano a amici e parenti il loro stato d’animo, che individuano minuziosamente i responsabili delle loro disgrazie, e si suicidano. Alcuni addirittura preannunciano il loro gesto estremo. Giudici, procuratori, avvocati ma soprattutto mogli, compagne e amanti, centinaia (o forse migliaia) di loro individuate come le responsabili del loro suicidio. Mai sentito di qualcuno incriminato per istigazione al suicidio di un uomo? A parte individuare i responsabili e suicidarsi, cosa altro deve fare un uomo suicida perché la Procura addebiti la responsabilità del suo suicidio a qualcun altro? A parte sottrargli i figli, impedirgli di vederli, levargli il patrimonio, rovinargli la vita con false accuse, tradirlo o portarsi l’amante a casa sua e al suo letto dopo che è stato cacciato via, cosa altro deve fare una donna a suo compagno suicida perché venga incriminata per istigazione al suicidio? Migliaia di uomini triturati dall’industria del divorzio e dalla sottrazione dei figli e le uniche vittime spinte al suicidio, da uomini, sono donne. Non è statisticamente meraviglioso? Non si tratta di una strana coincidenza del caso, è stranissima.
Ma dato che non c’è due senza tre, eccone una terza. Per il suicidio di Simona Viceconte c’è anche un indagato: Luca, il marito, è accusato per la morte di Simona «come conseguenza dei maltrattamenti in famiglia». «No, niente botte. Non ci sono denunce, non ci sono precedenti. “Abito accanto a loro da quando sono venuti a vivere qui, una dozzina di anni fa, e non ho mai sentito una lite, altro che botte”, dice Francesca, la vicina di pianerottolo. Ma non è a questo tipo di violenza che ha pensato la procura quando ha scritto Luca sul registro degli indagati. «Non entro nel merito del caso — dice la pm Enrica Medori — ma nelle relazioni che si chiudono in modo drammatico spesso esistono maltrattamenti che nel lungo periodo creano fragilità. Di solito sono messi in atto contro la donna e possono avere natura molto varia: economica, psicologica, sessuale». «Contro la donna», avete letto bene, non contro chiunque ma «contro la donna», non importa quanti centinaia di migliaia di uomini si suicidano in occidente per gli stessi motivi, è il pm che parla: «contro la donna». Queste sono le premesse sulle quali i pm, gli avvocati e i giudici valutano i suicidi maschili. Gli uomini si suicidano e, per la prima volta, sono le donne che raccolgono la commiserazione e l’esigenza di giustizia. E io penso male… perché a pensare male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca.