Elisa non perde tempo. La mattina di uno dei primi giorni di riapertura ci parliamo su Tinder e la sera siamo già in giro fuori, incuranti degli assembramenti, a chiederci che ci facciano tutti gli altri in giro fuori, incuranti degli assembramenti. Molto delicata e femminile nell’aspetto, soffre purtroppo di una maledizione che le preclude tantissimi uomini: essere molto forte e mascolina nelle attitudini. Trent’anni, ingegnere fisico, giornate fatte da dieci ore di lavoro e poco altro. La pressoché totale assenza di competizione femminile all’interno dell’ambiente professionale compensa, in parte, la sua scarna vita sociale nel crearle opportunità per esser corteggiata; opportunità di cui, però, non riesce ad esser soddisfatta. Ebbene, il problema non è che gli uomini siano “intimoriti dalle donne forti”, o altre tipiche stronzate che tante altre nella sua condizione raccontano a se stesse e agli uomini disposti a bersele.
“Il vero problema”, ammette, “è che li trovo tutti mosci. Sono una persona fredda e mi attraggono solo gli uomini più freddi di me, quindi a tutti gli effetti emotivamente disfunzionali, con cui è impossibile costruire una relazione. Ma non posso farci niente, già appena uno comincia a cercarmi per primo io perdo ogni interesse!”. La premierei con dei cubetti di ghiaccio sui capezzoli per la capacità introspettiva, ma, inutile a dirsi, neanche io passo la selezione. Dopo aver respinto il mio bacio, cerca di farmi sentire apprezzato ringraziandomi per la serata piacevole e il momento di ascolto che le ho dato. Tenta un possibilistico “magari ci rivediamo”, a cui rispondo, ridendo, “non pigliamoci in giro”. Chiaramente non posso salvarla da se stessa. “Avresti cominciato a cercarla per primo se ci fosse stata?”. “Ha trent’anni, Alexa, non scherziamo. Ho degli standard”. “Eviterò di commentare. Avanti la prossima”.
Fedele al suo principio…
La prossima, Gianna, si aggiudica il duplice premio alla durata più lunga e alla chiusura più triste fra tutte le ragazze conosciute durante il primo lockdown del 2020. Seconda, dopo Sarita, delle tre con cui parlo virtualmente per l’intera durata degli arresti domiciliari, le passa avanti nell’ordine di priorità quando questa decide di fare la preziosa e non acconsentire subito ad una prima uscita, appena uscire diventa possibile. Gianna non si pone problemi di sorta. O meglio, se li pone, ma li aggira efficacemente con l’ausilio di un arguto stratagemma mentale, noto come “se lo nego mentre lo faccio non conta”, trasmesso di generazione in generazione dalle migliori maestre di dissonanza cognitiva come mezzo per conciliare i propri comportamenti con l’immagine di sé che desiderano mantenere. “Non invito mai a casa mia uno che non conosco” mi dice, invitandomi a casa sua.
Definirla sempliciotta è un atto di grazia, ma compensa in simpatia quel che le manca in acume. Assieme non mi ci annoio, fintanto che adotto l’accortezza di evitare di aprire discorsi sul senso della vita, o della trama di Final Fantasy VIII. Ha ventotto anni, una passione per il crossfit che la tiene in eccellente forma fisica, e mentre prepara un aperitivo casalingo si lascia scappare di essere single da quando ne aveva ventuno. “Ogni volta che dico alle mie amiche che mi piace qualcuno”, racconta, “loro rispondono ‘ma…?’, perché c’è sempre un ‘ma’”. Nel dubbio su cosa stia cercando di comunicarmi, decido di effettuare un esame preliminare aprendole la bocca e infilandoci la lingua. In breve finiamo orizzontali e comincio ad apprezzare con mano i risultati dei suoi squat clean, ma giusto quando stiamo per toglierci l’intimo e provare un po’ di hip thrust decide di interrompere i giochi: ha il ciclo. E nel dirmelo, non nasconde un’espressione di sollievo. “Non la do mai al primo appuntamento”, spiega, “ma avrei ceduto se non fosse stato per questo. Così invece posso dire di esser rimasta fedele al mio principio”.
Le tipiche contraddizioni.
Ci sono due tipi di uomini: quelli che perdono tempo a ribattere a certe stronzate e quelli che scopano. Non ho dubbi sul gruppo a cui voglio appartenere e la saluto ammiccando ad un secondo appuntamento, al quale arriviamo alcuni giorni dopo, forse fin troppo entusiasti. In un gesto di carineria, questa volta mi accoglie con una pizza fatta in casa; la serata procede bene finché, terminata la cena, non riapriamo le danze e… le convulsioni allo stomaco mi impediscono di raggiungere l’erezione. In breve devo correre in bagno: la pizza non era cotta a sufficienza. Dopo aver espulso anche l’anima, fra la materia fecale uscita da sotto e le imprecazioni al divino uscite da sopra, cerco di farmi coraggio per ricominciare da dove ci eravamo interrotti, ma non c’è nulla da fare: l’ossigeno destinato alla vasodilatazione è finito bruciato nella peristalsi. Ci arrendiamo alla fatalità e decidiamo di riderci su. “Non dormo mai con gli uomini che mi porto a letto”, e si addormenta sulla mia spalla.
La sveglio, mio malgrado, a notte fonda, spostandomi per spegnere il televisore in salotto; al che, indecisa fra la coerenza e la cortesia, predilige la prima buttandomi fuori di casa, ma cerca goffamente di preservare la seconda rassicurandomi che ci saremmo rifatti. Annuso merda, e un suo messaggio la mattina dopo mi conferma che non si trattava della mia. “Ma tu pensi che fra di noi possa esserci feeling?”. Intuisco dove sta andando a parare e taglio corto: se le è passata la scintilla e non ha voglia di darmi una seconda possibilità, lo accetto. Lo accetto perché so che alle ovaie non importa nulla delle ragioni della performance deludente, anche se il cervello le conosce benissimo. Lo accetto e sono pronto a non fargliene una colpa, ma abbia almeno il coraggio di dirmelo in faccia.
Incompatibilità di forme.
E invece, fra il disagio e l’imbarazzo, tenta ogni possibile acrobazia verbale per sviare il discorso, alla ricerca disperata di un espediente, un qualsiasi espediente, che le permetta di razionalizzare le cose in modo diverso, convincendosi che fra noi non può funzionare, che è giusto chiuderla adesso, che questo suo sentire non ha alcuna correlazione con la mia performance e quindi, cosa più importante, che può avere la coscienza pulita. Suo malgrado, il limitato arsenale dialettico di cui dispone non basta a raggiungere l’obiettivo e per questo spera sia io a fare un passo falso, a dire qualcosa che possa rigirare a supporto della propria autoassoluzione; speranza che muore quando, consapevole della dinamica in atto, smetto di risponderle. La mia reazione la scuote, non che fosse quello l’intento, e un paio di giorni dopo prova a ricontattarmi per propormi di “parlarne” di persona. Lì per lì sono scettico, la tengo sulle spine per una notte mentre pondero se ne valga la pena, ma infine decido cogliere l’occasione per rifarmi e mi autoinvito a casa sua. Probabilmente pensando che sia stupido, quando sto per arrivare mi svela di non avere, in realtà, molta voglia di discutere.
E infatti a questo giro saltiamo i convenevoli e ci fiondiamo l’uno sull’altra appena mi apre la porta. Nonostante la mia erezione finalmente funzioni come si deve, però, incontriamo una difficoltà inaspettata nell’incastro. Sembro un caricatore Samsung che cerca di entrare in un telefono Apple. Stento a credere che dei genitali senza palesi deformità possano essere così anatomicamente incompatibili, ma farla godere senza spezzarmi l’uccello in due per via dell’angolo scomodissimo con cui sono costretto a penetrarla si rivela un’impresa. Solo dopo aver tirato per le lunghe, a tratti temendo di non reggere, riesco infine a portarla all’orgasmo e lavare via la macchia dell’incontro precedente dalla mia reputazione. A quel punto ho in corpo decisamente più dolore che piacere, ma poco importa, mi sento galvanizzato come il pilota dell’idrovolante rosso che ha portato in salvo l’antico vaso. “Non faccio mai la doccia assieme a qualcuno dopo averci scopato”, ed entriamo nella doccia assieme prima di salutarci.
Perché una farsa?
Vorrei poter dire che tutto è bene quel che finisce bene, ma una volta tornato a casa arriva, ahimè, il mio momento per dimostrarmi un sempliciotto e cadere nella falsa percezione, generata dall’aver superato un ostacolo difficile, che possa valer la pena continuare a frequentarla. È la trappola del costo affondato: quel perverso meccanismo psicologico che ci porta a voler continuare a coltivare qualcosa di palesemente infruttuoso, per il solo fatto di averci già speso tempo ed energie. Nemmeno mi è piaciuta la scopata, eppure mi lascio trascinare dalle fantasie di un’uscita “come si deve”. Faccio ben tre, patetici tentativi di proporgliela prima di rassegnarmi al fatto che lei, invece, sia passata oltre; cosa che mi fa inequivocabilmente capire quando, dopo avermi semplicemente chiesto di rimandare ai primi due, all’ultimo risponde di no con giorni di ritardo, confessando di essersi dimenticata di avermi lasciato in sospeso. Eppure continua a scrivermi. Con tutta probabilità, solo per poter dire a se stessa di non essere stata “anche” quella che è sparita. Lascio correre, ricambiando gli occasionali “come va” per spirito di cortesia, finché la farsa non finisce del tutto. “Come fai a dire che fosse una farsa?”. “L’ho fatto tante volte anch’io, Alexa”. “Capisco. Avanti la prossima”.