Torniamo ad affrontare un tema spinosissimo, che si dimostrerà tale già dal tenore dei commenti che probabilmente riceverà questo articolo. Vorremmo provare a confrontare l’approccio psico-sociale alla questione pandemia con quello relativo alle relazioni di genere. Siamo convinti che le due tematiche abbiano moltissimi aspetti in comune, a partire dalla straordinaria presa che il dogmatismo ha verso l’istinto dei più al conformismo. Lo si vede bene ora che il Governo sembra avere intenzione di fare l’ennesima capriola, imponendo i tamponi (che un mese fa venivano definiti talmente “inaffidabili” da richiedere la creazione del “Super Green Pass”) anche a chi si è vaccinato per poter partecipare a determinate occasioni d’aggregazione. Nei pochi social media dove il dibattito è ancora abbastanza libero, come ad esempio Twitter, alla notizia di questa ipotesi è esplosa una rabbia furente da parte di molti vaccinati, per altro con un divertente controcanto di prese in giro creative e spassose da parte dei non vaccinati.
Riportiamo alcune frasi tra le tante colte sul social che cinguetta (corsivi nostri): «mi sono sacrificato per avere l’immunità e ora devo fare i tamponi? Questo è un assist per i no-vax!»; «Ho fatto tre dosi, ho rispettato le regole fin dal primo giorno, mi sono fidato della scienza. Se ora chiedi a me ancora di più, con tamponi per andare al cinema o teatro, e non “togli” ai no-vax che se ne fottono, c’è un problema»; «Tamponi obbligatori per i vaccinati ottimo modo per dare ragione ai novax e per delegittimare noi poveri stronzi che il vaccino ce lo siamo fatto, complimenti vivissimi a tutti». È davvero un profluvio di messaggi di questo genere, una vera e propria rivolta del conformismo contro le presunte imminenti decisioni del Governo, ma soprattutto una perfetta cartina tornasole dell’humus psico-sociale in cui si radicano questioni come la lotta al fenomeno pandemico e l’impegno per una parità tra uomini e donne.
La realtà che sbriciola i dogmi.
Nessuna di quelle espressioni di disappunto, l’avrete notato, si richiama a un convinto orgoglio per aver fatto una scelta consapevole e protettiva per se stessi e per gli altri. Non c’è traccia di generosità o senso di responsabilità individuale o collettiva in quelle parole, bensì una pretesa di benefici conseguente all’aver rispettato le regole, perfezionata da una spinta verso la negazione di benefici per chi non le ha rispettate. Una delle parole chiave, in questo senso, è “immunità”. Chi è immune è più protetto, è privilegiato, come i politici che hanno l’immunità parlamentare. Emerge tra quei commentatori come la spinta alla vaccinazione sia venuta dal desiderio di essere (e soprattutto sentirsi) immuni nel senso di uguali ai più e superiori ai meno, e dal desiderio di vedere applicate severe restrizioni a una minoranza di nemici, fino magari a vederli annientati. Si tratta di persone che si sono vaccinate essenzialmente per essere “come tutti” e potersi sentire superiore a chi fa scelte diverse, definite riprovevoli a reti unificate, non per altri motivi più nobili, né per convinzione sulla necessità o sull’efficacia del vaccino. Conformismo in tutta la sua devastante e degradante bruttezza, insomma.
Ma è un conformismo derivato e indotto da qualcosa che sta al di sopra, al livello dei decisori e dei comunicatori di massa: il dogmatismo. Quello per cui esistono il bene e il male, predefiniti e debitamente descritti, l’uno con interminabili elogi, l’altro con biasimo feroce, e senza possibilità di confronti, approfondimenti o esercizio del senso critico. La persona comune, il conformista, non ha dubbi se gli chiedi di scegliere se stare tra i buoni o i cattivi, e poco gli importa che la qualifica sia data esternamente e dall’alto, ovvero non sia frutto di una sua riflessione informata. Il conformista fa sì con la testa e si adegua, per poi chiedere il beneficio, come quei cani che si aspettano il biscottino dopo aver alzato la zampa al comando del padrone. Parte integrante del beneficio che esigono è poter vedere direttamente la penalizzazione di chi ha fatto scelte non conformi, con ciò aprendo le porte alla naturale conseguenza politica del dogmatismo: il conflitto ideologico, con i “buoni” da una parte e i “cattivi” dall’altra. O meglio chi si è adeguato per potersi sentire legittimamente buono, da una parte, e qualcuno da poter additare come cattivo dall’altra. Con tutto il rabbioso disincanto che consegue all’irruzione dell’impietosa e sfumata realtà dei fatti, come sta accadendo in questi giorni.
Il vero virus è la mancanza di confronto.
Il grande problema, in questo senso, è che il dogmatismo la fa da padrone nelle stanze dei bottoni (ed è ovvio, essendo un efficacissimo strumento di governo delle masse) e il conformismo dilaga nel nostro Paese. Se non che una maggioranza di conformisti ha, per definizione, sempre torto, o per lo meno, essendo costituita da burattini, va sempre nella direzione sbagliata. Questo, lo si può ben dire, insegna la storia. Bastano alcuni commenti pubblicati da appartenenti all’esecrata minoranza per rendersene conto: «Ultrà-vax nel panico alla sola idea del tampone. Non per il tampone, non per il fallimento della scienza, ma perché: “se a noi i tamponi, allora ai non vaccinati almeno le scosse elettriche”. Il nemico ideologico sostituisce il virus e aiuta a nascondere errori e false narrazioni», scrive lucidamente Giampaolo Rossi. Gli fa eco Dayne: «MAI LETTO un cosiddetto novax scrivere cose tipo “eh ma così diamo ragione ai provax”. MAI. A parti invertite invece è un continuo. Alla maggioranza della popolazione interessa solo tenere il punto e sentirsi bravi e buoni in una diatriba immaginaria. A qualsiasi costo». Più tranchant ma non meno nella ragione Fabio Dragoni: «Milioni di italiani si tamponano ogni 48 ore per lavorare e campare la propria famiglia. Per loro avete avuto solo parole di odio e derisione. Ora che vi chiedono il tampone per andare a fare il trenino a capodanno parlate di “rottura del patto sociale”. Sarò chiaro. Siete FECCIA». E così tanti altri. Una minoranza che esercita senso critico, cerca di essere oggettiva o per lo meno non faziosa o settaria. E sono sempre queste minoranze ad essere dalla parte della ragione e della verità. Come noi quando presentiamo le nostre riflessioni sulle violenze contro le donne, i “femminicidi”, eccetera, per intenderci.
A questo proposito: rileggete tutto quanto si è detto finora e provate a sostituire concettualmente ogni espressione pro-vax con “femminismo” e ogni espressione non conformista con “critica al femminismo”. Vedrete che il meccanismo psico-sociale è lo stesso. Chi, indistintamente uomini o donne, si dichiara orgogliosamente femminista sta solo obbedendo a un dogmatismo dettato dall’alto apposta per far sentire chi ad esso si conforma “buono e bravo”, meritevole del biscottino dopo aver alzato la zampa. Cosa vera soprattutto per il conformismo maschile al femminismo, che spera di incarnare una nuova forma di cavalleria e di ottenere il beneficio del plauso femminile e generale, oltre che di sentirsi partecipe alla distruzione totale di chiunque osi avanzare nel merito un’opinione non conforme, un qualche argomento critico o qualche dato su cui confrontarsi. Sul piano psico-sociale di massa i fenomeni sono identici: chi contesta i dogmi (pandemici o femministi) viene estromesso, penalizzato, ostracizzato, tra gli applausi generali. Nell’un caso e nell’altro ci sono immense possibilità di confronto e di conseguente evoluzione comune che vengono abortite dal bisogno maggioritario di sentirsi conformemente buoni, giusti e meritevoli di ricompensa, e dalla necessità dei padroni del vapore di creare conflitti ideologici radicalizzati all’interno del corpo sociale, per renderlo più governabile e imporgli con agio tutto e il contrario di tutto. Nell’un caso e nell’altro si sente il bollore iniziale di una guerra civile strisciante. Nell’un caso e nell’altro basterebbe fare piazza pulita dei settarismi indotti, rinunciare al rassicurante conformismo e cominciare a guardare in cagnesco non più il proprio vicino che ha opinioni o ha fatto scelte diverse, bensì chi dall’alto cala i postulati su cui sprechiamo tempo ed energie sbranandoci vicendevolmente. Che si tratti di pandemia o di relazioni tra uomini e donne, già questo sarebbe l’imbocco di una via verso una soluzione sostenibile.
.