Vedi le puntate precedenti
Non abbiamo novità da riferire sulla storia che stiamo narrando. Diamo un veloce sguardo altrove. Da circa sei mesi Carlo Gilardi, professore airunese, è stato trasferito nella RSA Airoldi e Muzzi. Da allora è stato quasi ininterrotto il battage mediatico sollevato dalla trasmissione “Le Iene”, che dalla fine di ottobre 2020 racconta, per voce della giornalista Nina Palmieri, la vicenda. Molte le accuse mosse dal programma, a cui hanno fatto seguito anche numerose persone del territorio locale e nazionale. Tra loro anche Giovanni Colombo, già consigliere comunale lecchese, a cui un dipendente della residenza sanitaria avrebbe consegnato una lettera per le Iene. Nella lettera si legge che al personale è stato fatto divieto di parlare con il professore e di salutarlo. Non gli vengono più consegnati gli occhiali per leggere o il materiale per scrivere nonostante le innumerevoli richieste da parte sua. “Lo hanno isolato sentendolo gridare di notte ” si legge. “Capivi che c’era come un terrore” spiega Colombo, riferendosi agli autori della missiva e ribadendo la gravità del suo contenuto. Il presidente della Repubblica è vincolato dalla sua carica ad esprimere l’ovvio, possibilmente in maniera pacata, senza indulgere a parzialità. Quando si trova a commemorare eventi connessi a storie tragiche ed oscure, tra le sue espressioni d’obbligo si annovera il “bisogna fare piena luce”. La vicenda cupa di qualche mese fa, che ci ha colpito personalmente, è quella che riguarda l’internamento del prof. Carlo Gilardi. In essa notiamo tanta protervia, certezza d’intoccabilità, cinismo ed ipocrisia. Da alcuni mesi una giornalista sta tentando di venirne a capo. Ha scritto anche a Mattarella che così le ha risposto: Gentile Dottoressa Palmieri, in riferimento alla lettera del 18 marzo 2021 in cui si segnala il caso del Professore Carlo Gilardi, ci corre l’obbligo di ricordare che quelli di cui si parla sono compiti e responsabilità che, in base alla Costituzione, sono affidati alla Magistratura e, al di fuori delle parti coinvolte, nessuno — neppure il Presidente della Repubblica — ha il diritto o la possibilità di inserirsi in queste procedure. La democrazia è presidiata da regole e le istituzioni devono rispettarle. Non mancano, peraltro, strumenti idonei, a partire dagli organismi di garanzia – come il Garante per i diritti delle persone private della libertà personale — in condizione di intervenire per una gestione rispettosa dei diritti di ciascuno. Certamente le diverse istanze della Magistratura e questi organismi saranno in grado, anche nel caso da voi evidenziato, di prendere in considerazione segnalazioni motivate. L’Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica. Ad uso del lettore rammentiamo il silenzio che cala su alcune RSA, quelle che sembrano godere di giurisdizione “speciale”. In certi luoghi accade di tutto e nessuno interviene, alla faccia di qualunque possibile “garante” senza reali poteri.
L’ultimo sconfortante episodio che riguarda l’attività della magistratura, riportato dalle cronache il 26 aprile scorso, si riferisce all’arresto di un giudice di Bari. Insieme a lui è finito dentro anche un penalista a cui sono stati sequestrati 1200000 euro contanti (dazioni per prestazioni illecite?). La legge italiana, fatte pochissime eccezioni, non consente ai cittadini la possibilità di autopatrocinarsi, quindi l’interfaccia obbligatoria per rapportarsi con la magistratura, in qualunque situazione ci si trovi, è sempre uno o più avvocati. Alla loro azione è generalmente affidato il destino giudiziale del cliente. Sono loro in costanti liaisons dangereuses con i magistrati. Dalla frequenza con cui certe notizie appaiono sui media, sembra che questa contiguità operativa troppo spesso favorisce sodalizi disonesti. Di non poco conto è anche il ruolo che svolge il perito nominato dal giudice. Basta un’opportuna relazione per far acquistare con pochi soldi un bene destinato a finire all’asta, basta un certificato medico di “idoneità” per derubare legalmente una rimbambita, basta un certificato medico che attesti falsamente “le compromesse capacità critiche e dell’indebolimento di quelle volitive” per internare un vecchio ricco, sottrargli la possibilità di amministrare il proprio patrimonio e fare in modo che muoia al più presto rinchiuso in una camera d’ospizio. Gli episodi di corruzione e di collusione dei magistrati sono fatti di una gravità senza pari. Da un magistrato ci si aspetta di avere giustizia e quindi pensare che possa esistere nel sistema giudiziario un soggetto che dietro pagamento, promesse di carriera o di altro vantaggio, aderisce ad un patto criminoso confonde, disorienta, destabilizza. Di casi ce ne sono in abbondanza. C’è la perla del sindaco innocente tenuto sotto indagini per dieci anni, capita che venga creato dal nulla un “colpevole” perché ha osato fare una denuncia, succede che una p.m. (nota attivista politica) chieda la condanna di un “picchiatore” comprovatamente innocente, si istruiscono procedimenti per fare un danno ad personam, si verifica che un amministratore di sostegno ottenga da un giudice tutelare “poteri di vita e di morte” su un amministrato come se questa persona ricadesse nella normativa calzante per finire a Guantanamo. Un Consiglio Provinciale dell’Ordine degli Avvocati ha recentemente sottolineato “La necessità che l’intero sistema giustizia si mantenga saldo nei principi dettati dalla Costituzione, dalla legge e dalle regole deontologiche. Questo nella consapevolezza che gli avvocati e i magistrati svolgono le rispettive funzioni con dignità, onore e diligenza, onde vedere garantiti l’effettività della tutela del cittadino, l’imparzialità e l’indipendenza del giudizio, ovvero i cardini su cui si fonda la giurisdizione e, più in generale, la tenuta dello stato di democrazia nel quale viviamo”. Belle parole che non fanno dimenticare l’epilogo delle gravissime denunce fatte da Luca Palamara. Ovvero il nulla, garantito dal vertice della piramide in giù. Per dirla come si usa fare a Napoli: “O pesce fète d’ ‘a capa”. Non sappiamo cosa augurare ad ogni importante personaggio complice di questo sistema: la “damnatio memoriae” o, come dice l’eroico Leonida al traditore delle Termopili, Efialte, “possa tu vivere per sempre”.