Capita di tanto in tanto di avere qualche scaramuccia sui social. Roba rara, ben intesi, cerchiamo di non perdere tempo su Facebook, Instagram, Twitter o simili… In ogni caso, ci siamo accorti nelle più recenti diatribe di come sia rimasto molto impresso nell’immaginario delle zucche vuote (tali sono i frequentatori assidui dei social network) il fatto della pacca sul sedere alla giornalista Greta Beccaglia. Ci è capitato ad esempio di commentare alcuni post e tweet che alcuni politici hanno pubblicato per esprimere solidarietà rispetto alla tragedia di Ravanusa. Una solidarietà a cui noi ci associamo totalmente, ovvio, senza però che ciò ci impedisca di notare qualcosa di consueto, dalle immagini dei soccorsi che girano in rete. Tra le macerie a scavare, sotto a muri in procinto di crollare, alla guida di ruspe in bilico o dall’altro capo di pale e picconi ci sono solo uomini. Le poche volte che appaiono delle donne, sono sedute sotto una tenda a compilare moduli.
Ancora sotto l’effetto dell’ennesimo documento ufficiale e istituzionale che afferma il principio ideologico assoluto per cui l’unica violenza e gli unici omicidi degni di essere considerati sono quelli degli uomini contro le donne, gli uni per loro intima natura portati alla ferocia e alla persecuzione delle altre, che così risultano le uniche ed eterne vittime (per approfondire, leggi qui e qui), abbiamo ritenuto opportuno commentare quei post e quei tweet facendo notare come numerose donne coinvolte nella tragedia di Ravanusa, e tante altre prima di loro, abbiano avuto la vita salva per mani maschili. E come dunque la narrazione dominante sugli uomini e le donne sia totalmente falsata: con generosa approssimazione per difetto, per ogni criminale di sesso maschile che uccide una donna c’è una cinquantina di uomini che salva la vita ad altrettante donne. Non sono mancati i contro-commenti critici. C’è stato chi ha mostrato fastidio semplicemente insultandoci: risulta oggi talmente distonico che qualcuno celebri un ruolo positivo del “maschio”, da indurre molti semplicemente a reagire con una violenta opposizione “di pancia”. Non ci si congratula con gli uomini, mai: troppa è la colpevolezza che portano sulle spalle… C’è poi stato chi si è appellato al mestiere («lo fanno per dovere professionale», ha detto qualche coraggioso), senza però considerare che tutti i mestieri dove si corrano pericoli sono appannaggio esclusivo maschile e neppure il fatto che i soccorsi in condizioni di rischio vengono portati usualmente e istintivamente anche da uomini che per vivere svolgono tutt’altra professione che non i soccorritori.
La crescita ai due poli del corpo maschile e del corpo femminile.
Disperati e attoniti per lo schianto a cui sono stati obbligati dalla verità fattuale della nostra asserzione, chi ci criticava alla fine si è rifugiato proprio lì, incredibile a dirsi, nella pacca sul sedere a Greta Beccaglia. «Anche certi ristoratori sembrano persone per bene, ma nella vita privata…», ci ha provocati un depensante tra i tanti su Twitter, in riferimento proprio al tifoso screanzato (di cui, in quanto mostro da prima pagina, si sa tutto, anche la professione). Una frase idiota sotto ogni profilo, in sé e per ciò a cui allude. Una di quelle reazioni che fanno venire subito voglia di chiudere il PC e aprire un libro. O di riflettere. Ed è quello che abbiamo fatto, concentrandoci su come un semplice atto di maleducazione, pari per gravità al gesto delle corna fatto a chi ci taglia la strada, all’esplorarsi le cavità nasali mentre si pranza, a indulgere in rumorose flatulenze quando si è pressati sul tram, abbia così tanto colpito l’immaginario collettivo da fissarsi come elemento argomentativo contro chiunque abbia l’ardire di difendere l’ebreo del nuovo millennio, ossia l’uomo, il maschio. La ragione di questo bizzarro meccanismo è nel corpo e nella sua diversa percezione se si tratta di un corpo maschile o femminile.
I due corpi sono decisamente diversi, non solo nella loro morfologia, ma anche nel tipo di messaggio che, tramite la morfologia stessa, trasmettono all’esterno. Il tutto a scorno totale di chi si riempie la bocca di “uguaglianza”. Il corpo femminile si conforma, durante l’adolescenza, secondo le disposizioni date dal DNA, che per quanto complesso ha in mente una cosa sola e piuttosto semplice: la riproduzione. Ecco allora che il bacino si allarga (per ospitare i futuri feti), le forme si arrotondano e ammorbidiscono, si forma il seno (richiamo atavico all’accoppiamento da dietro) e tutto l’impianto, con le dovute eccezioni (le aberrazioni esistono, in natura), si conforma per essere desiderabile e desiderato dall’altro sesso, dunque per favorire ciò che il nostro software interno (sempre il DNA) è stato programmato, insieme a molte altre cose, per determinare: l’accoppiamento e la conseguente riproduzione. Il procedimento per l’uomo è del tutto diverso: al termine dell’adolescenza quello che era un bimbo si ritrova con spalle, braccia e cosce cresciute e rafforzate (e pelose, ma questo capita anche a molte donne…), necessarie per lavorare, combattere, agire. Niente di particolarmente attraente da contemplare nella sua essenza, diversamente dalla donna, a meno che non metta in opera quell’apparato osseo e muscolare di cui la donna è priva o assai meno dotata. Oltre a braccia, gambe e muscoli, all’uomo cresce anche il livello dell’ormone-guida per il loro uso e per il comportamento in natura: il testosterone, che è anche l’aggancio biologico atto a rendere irresistibile la visione della donna e il connesso desiderio di accoppiarvisi.
L’uomo criminalizzato fin tanto che non serve un soccorso.
Questo è naturalmente il livello basico, è ciò che si può trovare molto nel profondo al di sotto della corteccia cerebrale, che è lì proprio per filtrare questi elementi biologici essenziali, ossia per applicare quell’elemento “cultura” che trattiene la totalità degli uomini dall’assaltare sessualmente e indiscriminatamente ogni donna, e che induce la donna a gestire con intelligente prudenza e tattica quella vera e propria forma di potere che è il suo sex appeal. La parte dei condizionamenti culturali però non ci interessa, in questa fase. Più importante è capire quale percezione si ha, di base, dei due corpi così conformati. Ce lo racconta la storia: il corpo della donna, essendo generativo (ma non solo: essendo anche bello e armonioso), ha in sé una forma di intoccabile sacralità, da proteggere quanto più possibile. Quello dell’uomo no: anzi porta con sé un intrinseco significato di sacrificabilità. Qui sta la ragione profonda per cui la cafona pacca sul sedere alla Beccaglia viene vissuta e ricordata come una sorta di “lesa maestà”, mentre sottoporre un uomo allo stesso trattamento lascia perfettamente indifferenti. Questo perché il corpo dell’uomo diventa sacro soltanto quando fa, quando agisce, e non semplicemente perché è, come capita invece al corpo femminile. Quest’ultimo si qualifica per il solo fatto di esistere con tutte le sue caratteristiche (estetiche e generative), mentre quello maschile si qualifica soltanto nel momento in cui produce azione, altrimenti è una sorta di vuoto a perdere.
Lo schiaffo sul gluteo della Beccaglia è dunque, per la percezione diffusa, una sconsacrazione, e poco importa che il movente fosse goliardico e non orientato alla vera molestia sessuale. Si tratta di un gesto che è reso più grave proprio dalla natura intoccabile di chi lo riceve. Dal lato di chi compie la blasfemia si tratta di un gesto di rottura, di ribellione contro la proibizione culturale e quasi religiosa a violare lo spazio sacro che aleggia attorno al corpo femminile, in una certa misura è anche un modo per far scendere dal piedistallo un genere di interlocutore che può di frequente approfittare della propria posizione più elevata. Tutto ciò, però, non serve a ispirare indulgenza: toccare la donna senza il suo consenso (e talvolta per alcuni anche con il suo consenso) è percepito come impedirle di essere nella sua pienezza, è un atto contro natura e in un certo senso anche contro Dio. Si tratta di un richiamo profondo e antico, ecco perché, pur in questo mondo ipersecolarizzato, la vicenda si è ingigantita fino a rimanere nella memoria delle zucche vuote come prototipo di comportamento maschile “tossico” universale. La propaganda ha avuto buon gioco ad agganciarsi con efficacia a questo meccanismo, anche grazie alla mancanza di un possibile esatto reciproco. Lo si è detto: una donna che palpeggia il sedere di un uomo lascia indifferenti. Perché è diversa la natura sacrale dei rispettivi corpi: per quanto riguarda l’uomo, blasfemia è impedirgli di lavorare, combattere, montare e smontare, costruire e demolire, creare, soccorrere, agire, operare, ribellarsi, rivoluzionare. Un impedimento che è esattamente ciò che il pensiero dominante sta ottenendo dopo molti anni di violenta e ingiustificata criminalizzazione. Che però ha valore fin tanto che non c’è bisogno di un soccorso in condizioni critiche e pericolose che richiedano forza fisica, coraggio, determinazione e predisposizione al sacrificio di se stessi. Allora, e solo allora, si trova subito una risposta adeguata alla domanda beota: «che utilità hanno gli uomini?».