Qualche giorno fa si è tenuta una conferenza stampa tutta al femminile tenuta dalle donne che, come ministro, partecipano al Consiglio dei Ministri. Da una veloce analisi del relativo comunicato ufficiale, emergono alcuni interessanti spunti. Non abbiamo il testo integrale, rimandiamo a una analisi più approfondita dopo averlo esaminato dettagliatamente, tuttavia le riflessioni nascono da quanto emerso nella conferenza stampa di presentazione. Tutte le norme, per loro stessa natura, nascono asessuate in nome della imprescindibile imparzialità che uno Stato di Diritto deve mantenere. Una novella deve quindi essere applicabile a qualunque persona a prescindere da religione, estrazione sociale, età, fascia di reddito, orientamento sessuale ed ovviamente, genere.
La riforma presentata in conferenza stampa viene definita “provvedimento di prevenzione e contrasto al fenomeno della violenza” e fin qui ci siamo in quanto ad imparzialità, ma poi arriva la restrizione dell’ambito applicativo: “nei confronti delle donne”. Restrizione ribadita: “Il disegno di legge si compone di 11 articoli e persegue un duplice obiettivo: quello di rafforzare sia gli strumenti di prevenzione sia quelli di protezione delle donne (…) ed inaspriscono le pene per i reati di violenza contro le donne”. Una prima reazione a questa originalissima iniziativa arriva dall’agenzia di stampa nazionale del femminismo suprematista, ovvero l’Agenzia D.I.Re. (quella il cui editore, preme ricordarlo, è agli arresti per una storiaccia di corruzione con il Ministero dell’Istruzione…), secondo cui l’iniziativa governativa ha due difetti: primo, è troppo blanda. Non prevede la crocifissione preventiva di tutti gli esseri umani di sesso maschile né procedure di rieducazione da “Arancia meccanica” per i nuovi nati di sesso maschile, quindi non va bene. Secondo: le nuove norme sono state elaborate e proposte senza una preventiva consultazione della rete dei centri antiviolenza (l’Agenzia D.I.Re. non lo dice apertamente, ma intende ovviamente il coordinamento casualmente omonino D.I.Re.). Insomma come si permettono di fare leggi senza prima consultare le lobby di riferimento?
O è razzista la norma, o è razzista l’ideologia con la quale viene propagandata.
Al di là di queste scaramucce interne al movimento sovversivo femminista, riteniamo opportuno sviluppare alcune riflessioni. La prima: è mai possibile che le norme nascano con un grave vizio di costituzionalità, prevedendo tutele preventive e protettive esclusivamente per metà della popolazione, escludendo e quindi discriminando l’altra metà? Seconda riflessione: può darsi – ripetiamo di non avere letto il testo integrale – che le norme non siano viziate da discriminazioni di genere, tuttavia è rilevante la propaganda ideologica con la quale vengono presentate in quanto la comunicazione è marcatamente unidirezionale, come se la violenza domestica non avesse mai registrato una sola vittima di genere maschile. Il fattore numerico non può essere rilevante per condizionare il Legislatore, non poggia su basi giuridiche la teoria secondo la quale le vittime femminili sarebbero più numerose di quelle maschili quindi diventa obbligatorio legiferare esclusivamente a protezione delle donne. Sarebbe folle (nonché incostituzionale) escludere dalla protezione le vittime disabili di violenza perché le vittime normodotate sono più numerose; sarebbe folle escludere dalla protezione le vittime omosessuali di violenza perché le vittime eterosessuali sono più numerose; sarebbe folle escludere dalla protezione le vittime immigrate di violenza perché le vittime autoctone sono più numerose.
È singolare che diventi legittimo, anche fosse solo sul piano comunicativo, escludere dalla protezione le vittime maschili di violenza perché le vittime femminili sono più numerose. Una misura protettiva deve tutelare ogni persona, qualsiasi discriminazione equivale ad una malcelata forma di razzismo. Non possono esistere nel nostro impianto normativo reati a protezione dei settentrionali, anche se la casistica testimonia come la microcriminalità sia più diffusa nel meridione. È compito del Ministero dell’Interno a rilevare a fine anno eventuali differenze nelle denunce per furto, rapina e truffa a carico di 1.000 napoletani e 10 torinesi, 1.000 romani e 10 milanesi, 1.000 baresi e 10 veneziani; però la distinzione non può e non deve essere fatta a monte e soprattutto nessun parlamentare propaganderebbe un eventuale inasprimento delle pene come “misure a tutela dei settentrionali”. Sarebbe una forma di razzismo. Quindi le norme presentate in conferenza stampa sono viziate da una discriminazione razzista. O sono razziste le norme, o è razzista l’ideologia con la quale vengono propagandate. Tertium non datur. E nonostante l’anomalia (forse di legge, sicuramente di comunicazione) sia chiara come il sole, nessuno dice una parola, nessuno eleva un’obiezione, tutti tacciono impauriti, tutto passa come se fosse normale.