Un plauso all’efficienza, all’imparzialità, alla fulminea rapidità e alla lungimiranza del Tribunale di Termini Imerese. Riportiamo per sommi capi i passaggi di una vicenda surreale, dal finale già scritto nonostante sia ancora lontana dal concludersi. Nel 2013 Lola (spagnola, nome di fantasia) e Salvo (italiano, nome di fantasia) si sposano e hanno la sfortuna di risiedere in un paese siciliano che, per competenza territoriale, è nel Foro di Termini Imerese. Salvo ha una disabilità al 100%, non ha l’uso delle gambe e ha bisogno di una carrozzina. Nel 2017 nasce Miguel (nome di fantasia), il figlio della coppia. Nel gennaio 2020 Lola decide di andare in Spagna portando con sé Miguel, che ha appena compiuto due anni. Non è una fuga, almeno così non appare subito: la signora parte con il consenso del marito al quale ha chiesto di acquistare biglietti aerei A/R e ha fornito le massime garanzie, farà ritorno il mese successivo. Invece non torna più: la fuga era pianificata. All’inizio di febbraio 2020 comincia a costruire le “prove” con le quali motiverà l’esigenza di separarsi dal marito e trattenersi in Spagna col figlio. Strategia? La solita, diffusa in tutto il mondo: dichiararsi vittima di violenza, per dimostrare – o tentare di farlo – la teoria “non scappo perché voglio ma scappo perché devo, sono costretta a proteggermi dal marito violento”. In questo senso la Spagna ha precedenti notevoli, di cui ci siamo occupati giusto di recente.
Lola presenta un rapporto del Comune nel quale si è stabilita, all’insaputa del marito il quale ancora crede che moglie e figlio faranno ritorno secondo gli accordi precedenti alla partenza; la psicologa del servizio di informazione e attenzione alle donne (struttura analoga ai nostri CAV) certifica che Lola è vittima di violenza domestica; l’educatrice sociale (figura analoga alla nostra assistente sociale) deposita una relazione sulla base di tre accessi (5, 7, 12 febbraio 2020) secondo la quale Lola è vittima di violenza di genere. Il tutto senza lo straccio di una prova, nemmeno una denuncia pregressa o un certificato medico pregresso per vessazioni, insulti, lividi o altri esiti da imputare al marito, che prima della partenza di Lola non è mai stato violento né accusato di esserlo, e ora non potrebbe sfiorarla nemmeno se volesse poiché dal mese precedente è a 900 chilometri di distanza in aereo, 2.200 in macchina. Le accuse di violenza fisica sono oggettivamente poco credibili, allora si gioca la carta della violenza psicologica: come ulteriore “prova” Lola produce un referto dell’ICS (Istituto Catalano della Salute) per disturbo d’ansia generalizzato (11.2.2020). Fumoso, irriferibile al marito, ma tant’è. Quindi agli atti risulta che già dal 2 febbraio Lola aveva iniziato ad accumulare elementi probatori, o presunti tali, da spendere sul tavolo delle asserite violenze subite. I biglietti di ritorno hanno la data del 14 febbraio, ma il giorno precedente Lola invia al Tribunale di Termini Imerese istanza di separazione. Tiene la cosa nascosta a Salvo, che ne verrà a conoscenza solo in seguito, la signora vuole prendere tempo e inventa non meglio identificati motivi di salute per giustificare il mancato rientro.
I tempi biblici e la miopia dei giudici italiani.
Trascorrono altri 10 giorni tra scuse varie, il 25 febbraio Salvo capisce che Lola non ha alcuna intenzione di tornare – anche se ancora ignora che la moglie va dicendo in giro di essere fuggita dal marito violento – quindi sporge denuncia per sottrazione di minore e il 5 marzo istanza di rimpatrio di Miguel ai sensi della Convenzione dell’Aja 1980. A questo punto si aprono due procedimenti paralleli, in Spagna per il rimpatrio di Miguel, in Italia per la separazione dei coniugi. La Spagna riconosce da subito la sottrazione illecita di Miguel da parte di Lola ma inizialmente (26 agosto) nega il rimpatrio del bambino, accettando la tesi materna delle presunte violenze subite e accogliendo l’eccezione di cui all’art. 13 della Convenzione dell’Aja (L’Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno, dimostri (…) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile). In data 13 ottobre 2020 il tribunale italiano emette i provvedimenti provvisori ed urgenti (urgenti? Istanza a febbraio, sentenza ad ottobre! Senza urgenza sarebbero arrivati l’anno successivo?): affidamento condiviso, collocamento del minore presso la madre, modalità di visita per il padre due pomeriggi a settimana nella città del suo domicilio. Si, hanno proprio scritto nella città del suo domicilio senza specificare quale sia, perché in Italia nessuno sa dove risiedano Lola e Miguel: né il padre, né gli avvocati, né tantomeno i giudici. La denuncia per sottrazione di minore era pendente già da 8 mesi, ma in tribunale non l’hanno nemmeno presa in considerazione. Misure standard: il bimbo vive dalla madre e il padre può vederlo due volte a settimana.
Questo provvedimento, al di là della oggettiva impossibilità di applicazione – visiti i due incontri infrasettimanali da effettuarsi compiendo il tragitto Italia-Spagna – si rivelerà il maggiore ostacolo al rientro del minore. La Corte d’Appello spagnola, infatti, a parziale modifica di quanto stabilito in primo grado, ritiene illecita la sottrazione di Miguel e inapplicabile l’opposizione al rientro ai sensi dell’art. 13 Aja, pertanto è doveroso il rientro di Miguel in Italia. Tuttavia l’esecuzione è bloccata dal riconoscimento italiano della residenza di Miguel presso la madre. Il provvedimento spagnolo snocciola dottrina e diritto con riferimento sia alla convenzione dell’Aja che al regolamento comunitario Bruxelles II bis, cita ed analizza una corposa giurisprudenza di merito delle Corti spagnole con la restituzione di minori in Ungheria, Lettonia, Romania, Irlanda, Francia, Austria, Polonia. Solo con l’Italia non funziona e la colpa è proprio dell’Italia. Vediamo perché. La Corte d’Appello spagnola (26 gennaio 2021) riconosce l’infondatezza dei presunti maltrattamenti subiti da Lola, in merito ai quali l’unica “prova” è il racconto della presunta parte lesa. Si legge testualmente: “le relazioni fornite si limitano a una puntuale assistenza della psicologa e dell’educatrice sociale le quali affermano che il loro intervento è dovuto alla violenza, senza ulteriori specificazioni o dettagli. Non c’è una perizia, né viene indicata la metodologia applicata, né c’è una diagnosi , né una valutazione, in modo tale che non si può concludere, nemmeno per indizi, che la causa dell’ansia sia la precedente sottomissione a una situazione di violenza psicologica da parte del marito (…) non ci sono denunce precedenti o altre prove da cui si possa dedurre l’esistenza di una convivenza con asservimento e abuso” . Non esiste quindi alcun impedimento al rimpatrio del minore, che non corre alcun rischio di essere esposto ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile. Però… C’è un però, e si annida nello scellerato provvedimento italiano.
L’intervento degli assistenti sociali.
Ancora la sentenza spagnola: “quarto punto – impatto delle misure temporanee adottate in Italia. Il tribunale italiano ha stabilito come domicilio del minore prevalentemente quello della madre, non dice dove, ma nel regolare le visite dice che devono essere evitati i viaggi internazionali quindi si capisce che autorizza in modo temporaneo e provvisorio che il minore abiti con la madre in Spagna. Questa decisione non comporta quindi il cambiamento della residenza abituale del minore”. Residenza che è e resta in Italia, scrivono i giudici spagnoli, ma non metteteci i bastoni fra le ruote per eseguire il rimpatrio, stante il diverso oggetto del procedimento. “L’oggetto del procedimento di sottrazione di minore in Spagna è diverso dall’oggetto del procedimento di separazione in Italia. la Convenzione dell’Aja non è una convenzione sull’affidamento, non riguarda la responsabilità dei genitori e quindi non ha lo stesso oggetto o la stessa causa di un’azione sul merito di tale responsabilità. (…) La decisione che ordina il ritorno non è in alcun modo una decisione sull’affidamento, ma piuttosto un ordine di rientro del minore nel Paese di residenza abituale in modo che le autorità competenti di quel Paese possano decidere sull’affidamento (…) ma abbiamo una decisione del tribunale competente che autorizza temporaneamente il soggiorno del minore in Spagna con la madre. Questa decisione non cambia la classificazione dell’allontanamento come illecito, ma condiziona il rispetto di un ordine di ritorno fino a quando non ci sarà una decisione finale”. Principio ulteriormente ribadito: “un ordine di restituzione sarebbe contrario all’ordinanza provvisoria della Corte italiana, ma la provvisorietà della misura non cambia la qualificazione del trasferimento e quindi non può portare a un rifiuto di restituzione, anche se ne condiziona l’esecuzione.
Più chiaro di così… “la decisione definitiva che verrà adottata dal tribunale italiano è esecutiva in Spagna e avrà un chiaro impatto sull’esecuzione o meno dell’ordine di rientro che sarà contenuto se il cambio di residenza del minore in Spagna verrà definitivamente autorizzato o dovrà essere rispettato se la residenza abituale italiana verrà mantenuta”. Ed infine: “concludiamo che la misura temporanea e provvisoria adottata dalla Corte italiana non rende legittimo l’allontanamento o il mancato rientro, ma costituisce un ostacolo al ritorno (…) la decisione che in questo specifico procedimento dobbiamo limitare, per il suo scopo, di ordinare o negare il ritorno del minore in Italia in quanto non c’è eccezione sotto la Convenzione dell’Aja 1980, ma condizionato nela sua osservanza ed esecuzione dall’ordinanza provvisoria del Tribunale italiano che ne impedisce l’efficacia in attesa di una decisione definitiva sull’autorizzazione del trasferimento”. Viene quindi chiesto espressamente al tribunale italiano di prendere una decisione in merito alla separazione: affido condiviso o esclusivo? Miguel collocato dal padre o dalla madre? Un decisione è indispensabile per dare seguito all’esecuzione dell’obbligo di rimpatrio o per revocarla definitivamente. Il limbo non serve a nessuno, né al padre, né alla madre né soprattutto al figlio. E allora il tribunale italiano si pronuncia. Come? Prendendo tempo, rinviando a una ulteriore udienza nel maggio 2022 senza assumere nessuna decisione definitiva in merito alla separazione, all’affidamento e al collocamento di Miguel. Nel frattempo, con calma, piano piano, senza fretta, incarica i servizi sociali del luogo dal quale il minore è stato sottratto a contattare i colleghi spagnoli in merito: a) alle condizioni di vita e di relazione delle parti e del figlio minore, evidenziando eventuali situazioni di disagio in cui il medesimo versi, nonché le possibili ragioni di esse; b) all’inserimento sociale del minore interloquendo, in particolare, con gli insegnanti ed il dirigente scolastico dell’istituto dallo stesso frequentato e relazionando su eventuali criticità da questi ultimi riferite, o su un’eventuale situazione di malessere del minore; c) alle dinamiche personali intercorrenti tra i genitori, avuto specifico riguardo allo stato di conflittualità tra di loro esistente e alle modalità di gestione, da ognuno di essi adottate, di tale rapporto conflittuale; d) alle dinamiche intercorrenti tra i singoli genitori ed il minore, evidenziando eventuali condizioni di disagio derivanti dalla relazione di questi ultimi con ciascun genitore; e) riferiscano, alla luce degli accertamenti da essi espletati, sul modello di affidamento più rispondente all’interesse del predetto minore, nonché sulle modalità e di svolgimento la frequenza degli incontri, tra il figlio e l’eventuale genitore non affidatario.
Collaborare con chi ti vuole eliminare.
Fin qui i fatti, ora passiamo a opinioni, riflessioni, domande. In Spagna, contrariamente a quanto accade in Italia, ancora sono convinti che in tribunale servano prove. Forse nei salotti televisivi è sufficiente una narrazione vittimistica per suscitare empatia e solidarietà da parte del pubblico, ma i giudici spagnoli sono convinti che un tribunale sia cosa diversa rispetto alle trasmissioni di Barbara d’Urso, Magalli, Toffanin, Signorini & co. Le affermazioni devono essere dimostrate, sorrette, avvalorate, altrimenti per Lola – o qualunque altra persona – sarebbe sufficiente dichiarare ogni nefandezza per essere creduta, in totale assenza di prove, denunce, referti di pronto soccorso, escussione testi e ovviamente in assenza di contraddittorio. Quindi le violenze nascono solo dalla fantasia di Lola, non esistono riscontri quindi non costituiscono impedimento al ritorno di Miguel nel Paese dal quale è stato sottratto. Altra certezza spagnola in contrapposizione con l’incertezza italiana: si tratta inequivocabilmente di sottrazione, Lola ha commesso un illecito trattenendo il figlio all’estero contro la volontà del padre. I giudici spagnoli non hanno dubbi in merito e lo scrivono già ad agosto 2020, mentre gli scrupolosissimi inquirenti italiani preferiscono indagare ancora per qualche mese, bisogna andare a fondo, mica si possono prendere decisioni alla leggera in soli 2 anni, quindi la denuncia presentata nel febbraio 2020 ancora attende risposta a fine 2021. La presidenziale poi è un capolavoro di nonsense, oltre che dei soliti tempi biblici nostrani. Istanza nel febbraio 2020, sentenza ad ottobre, “solo” otto mesi per partorire questa perla di saggezza: non si sa dove sia il bambino ma il padre può vederlo due pomeriggi a settimana nella città del suo domicilio. Non c’è un indirizzo, hanno proprio scritto “nella città del suo domicilio”. Ovviamente due giorni non consecutivi senza la possibilità che padre e figlio dormano insieme, il pernottamento non viene assolutamente citato. Un inno all’approssimazione.
Poi un dettaglio trascurabile che sembra essere sfuggito agli astuti giudici siciliani: due trasferimenti a settimana A/R comportano 4 biglietti aerei oltre ai trasferimenti dall’ex casa familiare nella quale Salvo continua a risiedere (che dista una sessantina di km dall’aeroporto più vicino) e il trasferimento dall’aeroporto di Barcellona al misterioso domicilio del figlio, che dovrebbe essere in un Comune diverso ma l’indirizzo è ignoto. Né Salvo né Miguel risiedono dentro gli aeroporti, quindi tempi e costi di altri trasferimenti si aggiungono ogni volta al mero tragitto aereo. Poi gli orari… riveliamo un segreto ai giudici: i voli di linea non sono come la metropolitana, non ce n’è uno ogni 15 minuti. Può quindi capitare che quando Salvo termina l’incontro con Miguel non vi sia più alcun volo utile per il rientro, quindi egli debba pernottare in Spagna in attesa del primo volo il giorno successivo. Altri disagi, altro tempo, altri costi, tanto mica paga il giudice. Il tutto da ripetere due volte a settimana, otto viaggi al mese Italia/Spagna/Italia. Anzi, “almeno” due volte a settimana, ancora di più se Salvo lo desidera. Mi correggo, non basta che Salvo lo desideri ma gli incontri devono essere liberamente concordati dai coniugi. Meraviglioso, Ponzio Pilato creperebbe d’invidia. Non è dato di sapere su quali basi i giudici pensino che la ex coppia felice sia in grado di concordare qualcosa. Lola ha pianificato una manovra ostile manifestando il chiaro proposito di escludere Salvo dalla vita del figlio, è scappata in Spagna con l’inganno, si è opposta al rientro del figlio e ha accusato il marito di violenze mai commesse, vuole dunque liberarsene definitivamente, escludendolo dal percorso di crescita di Miguel. Questa è la persona con la quale, secondo i giudici, Salvo dovrebbe serenamente concordare tempi e modi degli incontri col figlio: deve cercare collaborazione da parte di una persona che vuole eliminarlo.
Il prestigio perduto della magistratura italiana.
C’è una corposa casistica che testimonia l’inefficacia di provvedimenti che sembrano ampi ma nella realtà si rivelano un capestro. Anche tra genitori residenti nella stessa città la formula “il padre vede il figlio quando vuole, previo accordo con la madre” è una trappola: basta che non ci sia l’accordo e le frequentazioni diventano impossibili, “quando vuole” si trasforma in “mai”. Tuttavia i giudici italiani, lungimiranti, offrono un’alternativa a Salvo: se proprio non vuole dissanguarsi economicamente e debilitarsi fisicamente (ricordiamo che non ha l’uso delle gambe) per viaggiare otto volte al mese, può vedere il figlio in videoconferenza. Splendido, quale padre potrebbe desiderare di più? La videocall deve sempre essere concordata tra le parti, ma per gli incontri virtuali compare l’opzione che sia impossibile raggiungere un accordo (opzione inesistente per gli incontri in presenza). In mancanza di accordo padre e figlio possono incontrarsi in rete nei giorni pari alle ore 17, visto che il bambino frequenta l’asilo, ma anche la durata deve essere concordata tra le parti. Ricordiamo che Salvo non ha rapporti significativi con Miguel da quando aveva appena compiuto due anni; ora, invece di abbracciarlo, stringerlo a sé, coccolarlo, giocare e disegnare insieme, gli viene proposto di fargli ciao con la mano attraverso uno schermo. Grazie, Italia. La Spagna, come abbiamo visto, riconosce l’illegittimità del trasferimento di Miguel, l’infondatezza delle accuse di Lola, il diritto del bambino di tornare in Italia. L’unico ostacolo è il provvedimento temporaneo italiano, al quale la Spagna chiede più volte di porre rimedio: prendete una decisione, qualunque sia, ma prendetela altrimenti a causa della vostra inerzia abbiamo le mani legate.
La situazione di stallo sembra essere lo sport preferito nei nostri tribunali, non solo siciliani, e tutto viene rinviato a maggio 2022. Però la più vistosa stortura non è nelle date ma nei contenuti, quando si chiede un parere ai servizi sociali spagnoli. Non entriamo nel merito della cristallina imparzialità dei servizi, gli stessi che hanno già spalleggiato Lola relazionando sulla base del nulla che fosse vittima di violenza di genere, piuttosto l’ipocrisia del tribunale italiano emerge da cosa si chieda ai servizi. Sembrano domande a risposta chiusa, non servono esperti in neuropsichiatria infantile per prevedere cosa ne potrà uscire. Appare chiara, a parere di chi scrive, la volontà di riconoscere il radicamento di Miguel nella nuova realtà ove è inserito, anche se illecitamente, volontà che fa il paio con il cronico allungamento dei tempi che ha l’effetto di allontanare sempre più padre e figlio. Come si può chiedere il confronto tra le dinamiche intercorrenti tra i singoli genitori ed il minore, quando Miguel ha un rapporto quotidiano con la madre e non vede il padre da due anni? Il timore, più che fondato, è che l’epilogo sia già scritto: Miguel rimane in Spagna perché sarebbe traumatizzante strapparlo da quello che ormai è diventato il suo contesto abituale. A tale scopo è utile ascoltare anche le insegnanti dell’asilo al quale è stato iscritto, per farsi raccontare quanto sia bene inserito, quanto sia affezionato ai nuovi amici, quanto parli bene lo spagnolo e abbia dimenticato l’italiano. Sarei felice di essere smentito, ma la casistica delle sottrazioni internazionali non è incoraggiante. Staremo a vedere. Intanto il Presidente della Repubblica rivolge un appello alla magistratura, affinché ritrovi il prestigio perduto. Beh, con questi presupposti l’impresa è ardua.