Lo scorso mese, quando in molti hanno definito le ultime elezioni amministrative “la vittoria dei maschi bianchi etero cis”, ho fatto notare che avrebbero sempre potuto dare il proprio sostegno a Giorgia Meloni alle prossime politiche, se avessero ritenuto la questione di genere così importante. L’ironia era palese, ma questa tendenza della cosiddetta sinistra “woke” e del movimento LGBT che in essa trova tana ad inciampare nei propri stessi dogmi e cadere davanti alla realtà meritava una riflessione più seria. E ora che il DDL Zan è stato affondato nell’aula del Senato, in parte proprio grazie all’ossessione dei suoi sostenitori di vederlo passare ad ogni costo senza alcuna modifica, trovo sia arrivato il momento giusto per cimentarmici. Il discorso necessita di un lungo preambolo, giacché la sinistra è sempre stata quella parte di spettro politico tradizionalmente associata all’illuminismo, al raziocinio e al supporto della scienza, perlomeno nella propria autopercezione. Verrebbe da chiedersi dove possa aver trovato spazio un qualsiasi pensiero dogmatico al suo interno, se veramente così fosse. In tanti si sono espressi a riguardo. Stephen Hicks, nel libro “Explaining Postmodernism: Skepticism and Socialism from Rousseau to Foucault”, attribuisce al fallimento dei regimi comunisti del ‘900 l’ascesa negli ambienti accademici, dominati da intellettuali di scuola marxista, di filosofie volte a facilitare la negazione della realtà. Gad Saad, nel suo “The Parasitic Mind: How Infectious Ideas Are Killing Common Sense” descrive molto bene come la monocultura creatasi in questi ambienti, dove i liberali ad oggi superano i conservativi in proporzioni impressionanti, porti la ricerca dell’obiettività scientifica a esser prevaricata da meccanismi di coesione tribale.
Io sono un pirla che scrive su internet, ma cercherò di dare il mio umile contributo. Vedete, ero un ateo militante, da ragazzino: di quelli che ascrivevano, in modo molto semplicistico, la religione a una lettura falsata della realtà dovuta all’ignoranza scientifica. Nella mia ingenua supponenza, comune a tanti nel mio movimento, ero convinto non solo che prima o poi ce ne saremmo liberati alzando progressivamente il livello d’istruzione, ma che liberandocene avremmo reso il mondo migliore, diventando tutti più razionali. Ciò che mancavo di riconoscere era che la ricerca di una dimensione spirituale, o in qualche modo “sacra” dell’esistenza fosse un bisogno imprescindibile della psiche umana, la cui crescente negazione stava portando una buona fetta dei progressisti secolarizzati, me compreso, ad una depressione nichilista, quando non a compiere inconsciamente questa ricerca all’interno del mondo “profano”, abbracciando con una devozione a tutti gli effetti religiosa idee o cause sociali meritevoli di un approccio più critico ed inquisitivo. Un esempio? Constatai lo scorso anno, in questo post per la pagina “Smascheriamo il Femminismo”, come l’UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, un tempo riferimento di pensiero critico contro i dogmi ideologici, ne stesse cadendo vittima a sua volta rigurgitando bufale sul divario salariale di genere come frutto dell’oppressione sistemica della donna e altri precetti intersezionalisti. Precetti ai quali, da brava pagina “votata alla ragione”, tentava e tenta tutt’ora di dare una patina di oggettivismo.
Priorità al gruppo rispetto all’individuo.
E nel farlo, ricalca appieno quanto Jonathan Haidt descrive nel libro “The Righteous Mind: Why Good People Are Divided by Politics and Religion”, in cui evidenzia come la capacità di argomentare logicamente non si sia evoluta nella nostra specie allo scopo di trovare una verità oggettiva, bensì di riuscire a persuadere e manipolare meglio il prossimo, poiché essere in grado di fornire convincenti razionalizzazioni a posteriori aiutava la cooperazione sociale. Sì, per oggi ho finito con le citazioni pompose, promesso. Tutto ciò è utile menzionarlo a chi sostiene che le proprie idee morali, e di conseguenza politiche, siano le più corrette in quanto “razionali”. La verità è che non esiste un modo del tutto logico e consequenziale per argomentare l’etica, ma il rischio di credere di averlo trovato è tanto più ampio quanto più ci si ritiene immuni a pensieri di tipo mistico. E qui sta una fondamentale differenza fra i due estremi dello spettro: mentre nella destra clericale la mancata separazione fra “chiesa” e “stato”, fra “sacro” e “profano”, fra questioni di principio e questioni pragmatiche è alla luce del sole, e si tratta almeno in parte di una vestige della tradizione, nella sinistra dei social justice warriors la contaminazione fra questi due mondi è una deriva inconsapevole, facilitata dalla negazione dell’esistenza del primo. Il motivo per cui il DDL Zan ha ricevuto e sta ricevendo così tanta mobilitazione in piazza è che gli attivisti arcobaleno hanno trasformato, da qualche anno a questa parte, la battaglia per i diritti delle persone LGBT in una guerra santa (analogo è il caso della battaglia contro il Green Pass, che è così dal principio. Perché la gente scende in piazza per quello e non per il carovita che ci attende questo inverno? Perché la libertà di scelta sul proprio corpo, a torto o a ragione, è considerata valore sacro, a differenza dell’accessibilità delle bollette).
Questo cambiamento ha causato la virata della stessa da gioco finito, con obiettivi concreti e plausibili, a gioco infinito, con obiettivi sempre più astratti o al limite dell’assurdo. Dieci anni fa si volevano i matrimoni e le adozioni per le coppie omosessuali, adesso si vuole “la fine dell’eteronormatività”, qualsiasi cosa voglia dire. Si spinge per insegnare la teoria queer ai bambini, introdurre le donne trans negli sport e negli spazi femminili, storpiare le definizioni di genere e orientamento sessuale al punto da renderle non più rappresentative della realtà. Il tutto, lasciandosi dietro nella frenesia anche gli iniziali sostenitori della causa, tacciati di essere reazionari, retrogradi o, parola del secolo, “transfobici”, man mano che smettono di abbracciarla appieno e cominciano ad obiettarne gli eccessi. Di pari passo con questo gioco al rialzo, si sta verificando un graduale annichilimento dell’importanza delle persone per cui la battaglia è nata, intese come individui, a favore del simbolo che hanno cominciato a rappresentare in corso d’opera. Una riduzione di donne, gay e categorie varie a stereotipi omogenei e caricaturali, tanto utile all’occorrenza per fare appello ad un’inesistente “comunità” quanto propensa ad accartocciarsi quando chiamata a render conto di se stessa. Ad esempio, appunto, quando si urla di volere più donne nei ruoli istituzionali, ma non “certe donne”; quando si insinua che essere gay debba in qualche modo sottintendere anche un certo orientamento politico; quando si afferma di voler dar voce alle minoranze, ma ben volentieri se ne screditano gli appartenenti che non seguono il copione. Quando si prioritizza, insomma, l’identità di gruppo all’identità del singolo, che può esserne estromesso a piacimento nel momento in cui l’unica, immutabile caratteristica di sé che lo accomuna agli altri membri non basta più a farlo rientrare nel canone estetico impostogli.
Ostracizzati se dissenzienti.
Un canone in cui, fra le varie cose, non è ammesso che un gay storca pubblicamente il naso di fronte a ciò che è diventato il Pride, o esprima perplessità di natura pratica nei confronti delle leggi proposte in sua difesa. Un canone che nell’ossessione di apparire inclusivo esclude le sue componenti più scomode, o semplicemente più “vanilla”, a favore di una rappresentazione sempre più caricaturale e grottesca. E se state pensando a Fedez che indossa le scarpe della moglie e Damiano dei Mäneskin che ordina i vestiti di scena su MySecretCase… sì, erano esattamente le immagini che intendevo evocare. Quante versioni della bandiera arcobaleno esistono ormai? Un gruppo che non ha alcun reale principio unificante al di là dell’identificazione nel diverso, nel non accettato in quanto fuori dalla norma, non avrà altra scelta che espandersi, estremizzarsi e, di conseguenza, frazionarsi sempre più per rimanere rilevante e continuare a giustificare il proprio attivismo man mano che della norma entra a far parte. E se devo sbilanciarmi in previsioni “scorrette”, arriverà il momento in cui comincerà seriamente a spingere per l’accettazione della pedofilia come orientamento sessuale, postulando che anche i bambini siano in grado di esprimere consenso a un rapporto. Non ci siamo nemmeno così lontano: lo stesso Zan già sostiene che debbano poter intraprendere un percorso di transizione.
Per quel che riguarda il suo DDL, mi dispiace sia finito così, e dico davvero. Come avevo ampiamente espresso, le preoccupazioni che mi suscitava erano di natura pragmatica, relative a specifiche sottigliezze. Avrei preferito vederlo passare con opportune modifiche, ma a quanto pare lo stesso non posso affermare di chi lo ha portato in aula. Inutile girarci intorno: l’incidente diplomatico è stato apertamente cercato, e persino Prodi lo ha rimproverato a Letta. L’evento palesa quanto ai senatori arcobaleno, al pari degli attivisti, davvero importi delle persone per cui professano di combattere, e quanto invece di farsi vedere dalla parte giusta della storia. Sarebbero potuti uscire acclamando “lo abbiamo approvato tutti insieme dopo aver trovato un compromesso”, hanno preferito andarci a muso duro e poi dire “la destra ce lo ha affossato perché è fascista e omofoba”. Sì, ero anche un attivista LGBT, da ragazzino, ma è ormai da anni che il movimento non parla più per me. Allo stato attuale, non mi sorprende che l’accettazione di gay, lesbiche e trans, dopo decenni di faticosa salita, stia subendo una flessione. Tali sono le conseguenze di aver creato un sistema ideologico in cui fermarsi e dire “ragazzi, non stiamo sbagliando qualcosa?” porta alla scomunica dal gruppo, fornendo peraltro munizioni a quella parte effettivamente omofoba della società che non aspetta altro per rimarcare “visto che sono tutti dei fanatici?”. Se non fossi cis ed etero, sinceramente ora come ora il mio timore non sarebbe quello di essere ostracizzato per ciò che sono, ma per ciò che chi dice di battersi per i miei diritti fa credere che io sia.