La replica di un film già visto, succede ogni anno: si avvicina il 25 novembre e parte il martellamento antimaschile. Si, antimaschile, in quanto di violenza sulle donne si parla ormai 365 giorni all’anno quindi la giornata mondiale contro la violenza sulle donne diventa l’occasione per alzare ulteriormente l’asticella, criminalizzando il genere maschile nella sua interezza. L’anno scorso, ad esempio, quel bricconcello di Maradona fu tanto sprovveduto da morire proprio il 25 novembre; la notizia fece ovviamente il giro del mondo e las barricaderas feministas nostrane si indignarono di brutto perché Diego aveva rubato loro la scena. I media, di solito monopolizzati dalle scarpette rosse, dedicarono spazio a Maradona “in quanto personaggio monumentale non solo per lo sport. Una vita sulle montagne russe tra il vertice della popolarità e il baratro delle disintossicazioni, soldi a vagoni e figli illegittimi, impegno sociale e squalifiche per doping, conteso da amicizie prestigiose come Fidel Castro e Hugo Chavez e guai col fisco di due diversi continenti. Con tutti i suoi difetti è stato comunque un uomo per la cui scomparsa Capi di Stato, giornalisti e Federazioni sportive di mezzo mondo hanno espresso dolore. Il suo piede sinistro non era solo capace di virtuosismi, da quel piede è passato il riscatto sociale del sud del mondo, da Napoli che primeggia sulle corazzate di Agnelli e Berlusconi, al popolo argentino che vendica la sconfitta delle Falkland. È limitativo credere che abbia fatto solo calcio, ha fatto parecchio di più.”
Fosse venuto a mancare 15 giorni dopo non sarebbe accaduto nulla sul fronte femminista, invece ha scelto proprio il 25 novembre ed è successo un putiferio. Scandaloso parlare di Maradona poiché tradiva la moglie, seminava figli illegittimi, non pagava le tasse, si drogava, aveva amici malavitosi, eccetera. Nessuno ha mai elevato El Pibe de Oro a modello di rettitudine, nessuno lo ha indicato ai giovani come esempio da seguire. Un coro lungo 30 anni ha sempre riconosciuto i due aspetti contrastanti: nel privato un disastro, nel pubblico un idolo. Tuttavia la protesta si è focalizzata sul privato, era incontenibile la rabbia per l’affronto subito da parte di chi, inquantouomo, ha “segnato dei gol” ma in fondo era una merdaccia. Quest’anno per tirare la volata al 25 novembre si cambia registro, non sono moribondi né il Papa o Valentino Rossi, né Biden o Pelè, quindi meglio tornare al doppiopesismo più classico: riflettori puntati sulle nefandezze maschili e oscuramento su quelle femminili. Il tutto a dimostrazione del fatto che il 25/11 non serve a difendere le donne dalla violenza ma ad alimentare la guerra contro l’odiato maskio italico, che deve essere “rieducato”. C’è da dire che – sembra un caso – gli episodi mistificabili si moltiplicano a ridosso del 25/11, come se un disegno superiore facesse in modo di gettare benzina sul fuoco della strumentalizzazione. A momento in cui scriviamo vi sono tre episodi in pochi giorni concentrati nel modenese. Ovviamente spacciati per femminicidi prevalentemente compiuti da italiani che, come tutti sanno, odiano le donne e ne stanno pianificando lo sterminio.
I soliti non-femminicidi.
Ecco allora i “femminicidi”. Sassuolo: Nabil Dahir si suicida dopo aver ucciso moglie, suocera e figli. Modena: Carlo Evangelisti uccide la madre in un contesto multiproblematico di degrado fisico, psicologico ed economico. Montese: Grazio Lancellotti, 71enne malato di Alzheimer, uccide la moglie anche lei anziana e malata, poi tenta il suicidio. Forse il primo può essere catalogato come femminicidio, qualunque cosa voglia dire il termine che la Commissione Femminicidio non ha mai voluto definire ufficialmente. Sembra comunque una strage nata dalla crisi dei rapporti familiari, le cronache (come sempre) dicono che l’assassino “probabilmente non accettava la separazione”. I “probabilmente” rimarranno tali, tutti i protagonisti non possono più fornire alcun chiarimento. Non si sa se la separazione che Nabil non accettava non era quella dalla moglie ma dai figli, non si sa se fosse andato a incontrarli e la cosa gli fosse stata impedita, non si sa se avesse ricevuto minacce e di che genere da moglie e suocera, come la comunissima frase “ti rovino e i bambini te li puoi scordare” o roba del genere. Non vale la pena porsi degli interrogativi, meglio riciclare la motivazione evergreen: ha ucciso perché inquantouomo odiava le donne, le considerava un suo possesso (pure la suocera?) e ha lavato col sangue l’onta della separazione poiché nessuna donna può osare liberarsi dal giogo maschile.
Il secondo: Evangelisti ha ucciso la madre quindi non una partner né ex partner, non c’era gelosia, possesso o mancata accettazione della fine di un rapporto. Il movente è economico, la richiesta di soldi da parte di un tizio disturbato in quanto alcolista cronico. Le cronache riferiscono un ambiente domestico profondamente degradato, tipico di chi abbia problemi – tra l’altro – di accaparramento compulsivo. Il terzo: da diversi anni abbiamo coniato il neologismo “eutanasico” per definire l’omicidio causato dalle patologie degenerative e dalla conseguente impossibilità di contenerne le sofferenze. Né il secondo né il terzo caso possono essere catalogati come omicidi del genere “o mia o di nessuno”, forse il primo potrebbe esserlo ma per ora nulla lo certifica e chissà se le indagini potranno mai chiarirlo. Resta un fatto incontestabile: Nabil Dahir non è italiano, Carlo Evangelisti non è partner o ex partner della vittima, Grazio Lancellotti non è un odiatore seriale che ha ucciso la moglie inquantodonna. Poi c’è il filone degli uomini brutti, sporchi e cattivi che uccidono i figli.
Nessun VIP disturbi, morendo, la kermesse misandrica.
Su questo fronte si spende Beppe Boni, che sul Carlino pubblica “Il male oscuro degli affetti che si trasformano in violenza e morte”. Scrive: “(…) Nell’animo umano può succedere che dai buoni sentimenti e dagli affetti nasca il fiore del male della violenza e della morte. Questa valutazione non spiega del tutto ma se non altro inquadra tragedie come quella di Viterbo dove un padre ha assassinato il figlioletto di 10 anni con una coltellata alla gola o peggio, a Sassuolo, in provincia di Modena dove un uomo ha ucciso due figli di 2 e 5 anni . (…). In entrambi i casi alle spalle di questa violenza senza limiti ci sono state vite felici, grandi sorrisi, abbracci di tempi gioiosi che sembravano non finire mai. E invece no. Gli affetti, quando l’armonia si è rotta, si sono trasformati in odio e morte anche verso i bambini, le vittime innocenti di una guerra di famiglia. E sono proprio loro i bambini che in questi casi diventano arma di ricatto e simboli sacrificali di vendetta (…) ”. Fin qui la cronaca, anche se infiocchettata di melensa retorica, poi le conclusioni alle quali arriva Beppe Boni: “L’uomo che uccide vuole togliere alla madre oltre che la vita anche l’affetto più profondo, quello dei figli. E dietro queste esplosioni drammatiche ci sono sempre scenari precedenti di minacce fatte da uomini che non sopportano la fine di un rapporto, lo strappo di un amore prima intenso e poi svanito. A tutte le donne bisogna urlare di non aver mai paura di denunciare situazioni giunte al limite e che fanno presagire il peggio. E’ una difesa preventiva, un’arma che ogni donna deve cercare di utilizzare quando teme il peggio(…)”.
Beppe dimostra di aver fatto bene il compitino, termina con l’invito a tutte le donne: denunciate! Peccato che addossi solo al maschile le colpe che narra, come se l’infanticidio per mano femminile non esistesse. Cita due casi e lancia l’allarme “uomini violenti che ammazzano i figli”, ma ci permettiamo di confrontarli con altri due recentissimi, entrambi di ottobre 2021 che, distrattamente, forse non ricorda. Verona: Sachitra Mahawaduge Dewendra, cingalese, strangola le due figlie e poi si toglie la vita. Più volte aveva dichiarato, anche a medici e assistenti sociali: “piuttosto che darle al padre le ammazzo e mi ammazzo”. Perugia: Erzsebet Bradacs, ungherese, uccide il figlio a coltellate e lo deposita sul nastro di una cassa del supermercato. Infanticidio per vendetta, odiava il padre del bambino e per farlo soffrire gli ha inviato delle foto del bimbo morto. Non vogliamo dilungarci sulla crudezza degli episodi, che tuttavia rispondono in pieno alle definizioni che il buon Beppe Boni ha riferito come prerogative esclusivamente maschili. “L’uomo che uccide vuole togliere alla madre oltre che la vita anche l’affetto più profondo, quello dei figli”. Anche la donna Beppe, anche la donna. “Dietro queste esplosioni drammatiche ci sono uomini che non sopportano la fine di un rapporto”. Purtroppo può capitare che nemmeno le donne la sopportino Beppe. Nemmeno le donne. Abbiamo citato solo due episodi, recentissimi, per non surclassare i due esempi di uomini terribili fatti da Boni, ma l’elenco è più lungo, estremamente più lungo. A partire da Annamaria Franzoni e Veronica Panarello, per proseguire con strangolamenti, annegamenti, coltellate, forbiciate e avvelenamenti, la scia di infanticidi materni è costellata di episodi uno più raccapricciante dell’altro, in un paio di casi i bambini sono stati persino centrifugati in lavatrice. Però non bisogna dirlo, meglio parlare di quanto sia terribile la violenza al testosterone: il 25/11 si avvicina. E allora che riparta la giostra della criminalizzazione maschile. Sperando che quest’anno nessun VIP decida di morire proprio il 25, facendo un altro dispetto alla kermesse misandrica.